Nel 2035 si andrà in pensione con metà dell’ultimo stipendio
Il futuro si fa sempre più incerto per i lavoratori italiani, soprattutto per le nuove generazioni. Dopo avere dato l’addio al sogno del posto fisso, con la cassa integrazione e licenziamenti all’ordine del giorno e, come se non bastasse, affrontato la bufera finanziaria ed economica peggiore dal dopoguerra a oggi, a impensierire c’è anche la “questione pensione”. Un lavoratore dipendente con un contratto a tempo indeterminato che nel 2035 andrà in pensione con 65 anni di età e 35 anni di contributi riceverà “solo” il 58% dell’ultimo stipendio rispetto all’attuale 70/80%. Peggio andrà a un lavoratore “parasubordinato” nella stessa situazione avrà circa il 43%. Un problema, quello dell’adeguatezza delle future pensioni, affrontato nell’ultimo Rapporto sullo stato sociale 2010 realizzato dal Dipartimento di economia pubblica dell’Università La Sapienza di Roma e presentato lunedì 22 febbraio all’Università Bicocca di Milano. “La progressiva riduzione dei tassi di sostituzione può essere compensata aumentando l’età di pensionamento che, peraltro, è una tendenza già spontaneamente in atto e ha l’effetto di accrescere gli attivi e di ridurre i pensionati”, si legge nel rapporto. Non è detto che questo effetto migliori la capacità di crescita economica, anzi può accadere il contrario. “Imporre l’aumento dell’età lavorativa fa infatti aumentare il numero potenziale degli attivi, ma non implica la capacità del sistema produttivo di occuparli. In presenza di un tasso di disoccupazione sostenuto e crescente, l’aumento forzoso dell’età di pensionamento ostacolerebbe ulteriormente l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro”.
In uno scenario così incerto il ricorso alla previdenza integrativa privata rimane l’unica possibilità data ai lavoratori per aumentare la copertura pensionistica. Si tratta di un paradosso duplice poiché, da un lato, lo stato non consente ai propri assicurati di ampliare il finanziamento della propria copertura già in essere che, tra l’altro, genererebbe anche un miglioramento immediato del bilancio pubblico; d’altro lato, in nome della libertà di mercato, s’impedisce ai lavoratori di impiegare liberamente i propri risparmi previdenziali aggiuntivi, l’adesione ai fondi privati è addirittura irreversibile e spesso viene affacciata anche l’ipotesi che diventi obbligatoria.