Il mondo guarda l’America, riflettori su elezioni di mid term e meeting Fed
Obama e Bernanke. Sono loro i protagonisti assoluti di questa settimana, che segna l’inizio di un novembre colorato a stelle e strisce. Il presidente e il suo partito, secondo gli ultimi sondaggi, sono dati nettamente sfavoriti nelle elezioni di mid term, i cui risultati verranno diffusi nella notte italiana. Il governatore della Fed e il suo nuovo piano di quantitative easing sono attesi da settimane dai mercati finanziari di tutto il mondo.
Ma andiamo con ordine. Oggi gli americani sono chiamati alle urne per rinnovare l’intera Camera, un terzo del Senato e 37 governatori su 50. L’ultima rilevazione Gallup a livello nazionale è impietosa nei confronti di Obama e accredita i democratici al 40%, mentre i repubblicani sono visti al 55%. I sondaggi parlano di un ribaltone alla Camera, che passerebbe quindi in mano al Grand Old Party, mentre l’esito al Senato è più incerto che mai. Wall Street ieri ha chiuso le contrattazioni sostanzialmente piatta, fiutando lo spettro del “gridlock”, ovvero della paralisi di governo con un presidente democratico e un Congresso in mano ai repubblicani.
Tutto il dibattito intorno alle elezioni ruota intorno all’economia. E non potrebbe essere altrimenti, vista la fatica dell’America a rialzarsi dalla più grande recessione mai capitata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La prima lettura del Pil del terzo trimestre ha certificato questa debolezza: +2% dopo il +1,7% del secondo trimestre, i più bassi livelli di crescita in un periodo post-recessione. Ma la grande spina nel fianco dell’amministrazione Obama si chiama disoccupazione. La percentuale dei senza lavoro sfiora i 10 punti percentuali, per salire negli Stati più popolosi: California, Florida, Michigan. La Florida, inoltre, detiene un primato non invidiabile: il record dei pignoramenti di case, saliti del 12% a 157 mila case nel periodo luglio-settembre.
Tutti fattori che hanno portato alla ribalta le posizioni più estremiste in entrambi i partiti, mentre il consenso verso Obama è sceso in maniera sensibile al 45% dal 54% di un anno fa. Il presidente in questi due anni non è però rimasto con le mani in mano: ha varato nel febbraio 2009 un maxi pacchetto di stimolo anticrisi da 800 miliardi di dollari ed ha approvato due riforme da lui fortemente volute: la riforma sanitaria e quella di Wall Street. Le scelte di Obama hanno però scatenato dure polemiche sia all’interno dei democratici sia nel Grand Old Party: i primi volevano un’azione più incisiva da parte del presidente, come più volte sottolineato da Paul Krugman (premio Nobel 2009), mentre i repubblicani hanno contestato l’eccessivo “statalismo” della politica obamiana.
Lasciando le elezioni di mid term, l’attenzione degli operatori è inoltre focalizzata sul meeting della Federal Reserve, che si concluderà domani, da cui dovrebbe uscire il nuovo piano di quantitative easing. Le ultime aspettative degli investitori, alimentate da un recente articolo del Wall Street Journal, parlano di un piano di poche centinaia di miliardi di dollari. “Su questo punto permangono diverse opinioni”, affermano gli economisti di Mps Capital Services, “anche se il consensus punta all’annuncio di un piano di acquisti per complessivi 500 miliardi di dollari nei prossimi 6 mesi”.