L’inflazione pesa su tutti, è tempo di cambiare le abitudini di spesa. Il crollo di Walmart & co. è più che un indizio
L’impennata dell’inflazione si fa sentire sempre di più sui consumatori. All’iniziale batosta legala al caro energia tra bollette record e costo della benzina, adesso le ricadute sono a macchia d’olio. Basta andare al supermercato e fare la spesa per capire che per l’acquisto degli stessi prodotti è necessario sborsare molto più di un anno fa. Gli ultimi riscontri Istat indicano ad aprile un rincaro del 5,7% del ‘carrello della spesa’, ossia di quei prodotti alimentari e per la cura della casa e della persona che rientrano nella spesa quotidiana. Dato in ulteriore accelerazione rispetto al +5% del mese precedente. I prodotti che hanno registrato i maggiori rialzi sono state carne (14%), pesce (11,1%) e prodotti per la cura degli animali (7,5%).
Considerando che in media famiglia spende ben 209 euro ogni mese per alimenti, prodotti per l’igiene personale e della casa stando a una recente indagine di altroconsumo, l’impennata dei prezzi al supermercato si traduce in un aggravio di quasi 12 euro al mese, ossia oltre 140 euro all’anno in più.
Consumatori reagiscono per contrastare i rincari
Come fronteggiano i consumatori questi rincari? Le strategie sono pressoché obbligate: o si continuano a comprare gli stessi prodotti andando a sopportare i costi maggiori, oppure si modificano le abitudini di spesa. In che modo? Da un’analisi condotta da NielsenIQ sono due le strategie percorribili: un cambio del mix di prodotti nel carrello e una maggiore attenzione a selezionare i prezzi più bassi.
Proprio questa settimana sono arrivati da oltreoceano segnali tangibili che i consumatori stano effettivamente rispondendo attivamente all’inflazione. Nonostante i prezzi più alti, i consumatori continuano a spendere. Le vendite di Walmart, colosso Usa della grande distribuzione, nei negozi aperti da almeno un anno sono aumentate del 3% nel primo trimestre 2022. Tuttavia, Walmart ha spiegato come i modelli di acquisto degli acquirenti sono cambiati a causa dell’inflazione. Sempre più clienti si sono rivolti a marchi alimentari a marchio del distributore, in particolare nella carne, negli articoli di gastronomia e nei prodotti lattiero-caseari, e si sono allontanati dagli articoli discrezionali. Inoltre i consumatori acquistano meno articoli quando fanno la spesa.
Ecco spiegano un effetto spesso inconscio dell’inflazione. Davanti a prezzi più elevati per i prodotti ad alta frequenza d’acquisto, la prima reazione del consumatore attento a non far lievitare lo scontrino è quella di modificare le proprie preferenze andando su prodotti a più basso costo e allo stesso tempo ridurre il quantitativo di prodotti acquistati.
Il caso Walmart
E martedì Walmart ha pagato caro gli effetti dell’inflazione sui suoi conti trimestrali. Le azioni del gigante della vendita al dettaglio sono crollate dell’11,4%, il calo percentuale più grande dal 16 ottobre 1987. E il giorno dopo sorte simile per Target con un crollo record dal 1987 dopo i conti.
Costi più elevati e i vincoli della catena di approvvigionamento hanno compresso i profitti e margini di Walmart nell’ultimo trimestre. Walmart ha anche ridotto la sua guidance segnalando che si aspetta che l’inflazione continui a danneggiare la sua attività. “I risultati sono stati inaspettati e riflettono l’ambiente insolito”, ha affermato il ceo di Walmart, Doug McMillon. “I livelli di inflazione negli Stati Uniti, in particolare nel settore alimentare e dei combustibili, hanno creato più pressione di quanto previsto dalla società”.
Sulle colonne del Wall Street Journal si sottolinea come non tutto sia negativo. Per Walmart, un rivenditore che lotta ossessivamente per i prezzi bassi di tutti i giorni, l’inflazione si è rivelata un’arma a doppio taglio. L’articolo intitolato ‘Walmart’s Inflation Squeeze Isn’t All Bad’ spiega come da un lato, un consumatore sensibile al prezzo è proprio ciò di cui Walmart ha bisogno per far crescere la propria attività. Il colosso della grande distribuzione ha così riportato ricavi trimestrali solidi con una crescita same store superiore alle attese. Di contro a far scattare un campanello d’allarme tra gli investitori è stato l’utile netto, circa la metà di quello che Wall Street si aspettasse. Quindi profitti dimezzati anche se i ricavi sono saliti rispetto all’anno precedente. Il margine operativo del 3,8% dello scorso trimestre ha segnato il terzo periodo consecutivo di margini in calo e risulta il più basso che Walmart abbia visto in almeno 30 anni.
Walmart non è quindi riuscita a gestire le pressioni sui costi. Alcune voci sono sporadiche come i costi del lavoro più alti legati ai dipendenti in congedo a seguito dell’ondata di Omicron ma che sono tornati al lavoro molto più velocemente del previsto, causando un eccesso di personale. Da allora l’azienda ha ridimensionato il personale.
Anche altri giganti della vendita al dettaglio stanno affrontando pressioni sui costi. Amazon ha affermato il mese scorso che l’aumento dell’inflazione nel carburante e nella sua catena di approvvigionamento hanno contribuito a frenare i profitti.