Notizie ETF La scelta dell’ETF giusto passa anche attraverso lo spread

La scelta dell’ETF giusto passa anche attraverso lo spread

Pubblicato 22 Settembre 2011 Aggiornato 26 Settembre 2022 08:39

I bassi costi sono uno dei punti di forza storici dei fondi passivi, ma non sempre l’investitore guarda con attenzione tutte le componenti che vanno a determinare il costo complessivo di un ETF. Data per assodata la componente esplicita rappresentata dal TER (Total Expense Ratio), ossia il costo annuo del fondo che viene determinato ex-ante dalla società emittente, tra le altre voci di costo “implicite” spicca quella rappresentata dallo spread denaro-lettera, ovvero lo scarto fra il prezzo in acquisto e quello in vendita.
Un differenziale elevato si traduce in un costo aggiuntivo. Per contenere lo spread è prevista la presenza di operatori specialisti chiamati ad assicurare continuativamente proposte di acquisto e di vendita , con precisi obblighi sia in termini di quantità minima da esporre in acquisto e in vendita sia per quanto concerne la distanza percentuale massima tra denaro e lettera, con lo spread massimo che viene indicato nel prospetto di quotazione del fondo.
Un’attenta lettura dello spread risulta importante per far cadere la scelta sui prodotti maggiormente efficienti. Molto dipende anche dall’orizzonte temporale dell’investimento, con l’impatto dello spread che risulta tanto più forte tanto più si usano gli ETF per operazioni di trading di breve termine. La scelta logicamente dipende anche da quello che si cerca. Una volta individuato il mercato su cui si vuole investire, allora si analizzano le caratteristiche dei vari prodotti a disposizione e quindi le differenze presenti a livello di costi.
Il ruolo chiave della  liquidità del sottostante
A differenza di quanto accade per le azioni, la liquidità degli ETF dipende non unicamente dal volume degli scambi sullo strumento. La natura degli ETF, che hanno come obiettivo quello di replicare un determinato indice sottostante, fa sì che siano i livelli di liquidità del sottostante stesso a condizionare la liquidità del fondo. Gli ETF che vanno a replicare indici più volatili tendono pertanto a presentare uno spread più alto. Indici più ballerini, come ad esempio quelli dei mercati emergenti meno liquidi, tendono ad avere una “coda più grassa” presentando al loro interno componenti dallo spread elevato. Tali componenti possono aumentare il loro contributo quando la volatilità del mercato  aumenta e di conseguenza rendere più costosa l’attività di copertura (hedging) da parte dei market makers.  L’elevata liquidità del sottostante è quindi una primaria garanzia di minori costi di negoziazione. Questa liquidità varia principalmente in funzione della classe di attivo, riflettendo il profilo di rischio/rendimento del prodotto. La scelta di comprare un ETF che replica un indice azionario emergente rispetto a uno sull’S&P 500 racchiude pertanto la decisione di sopportare un maggiore costo implicito rappresentato da un maggiore spread.
L’analisi degli spread degli ETF quotati sul mercato ETFPlus di Piazza Affari evidenzia come gli ETF dai sottostanti più liquidi siano quelli a presentare i costi più bassi. Gli ETF liquidità sono quelli con spread più contenuti (0,04% medio secondo i dati di Borsa Italiana relativi a luglio 2011). Tra i prodotti obbligazionari la media è di uno spread dello 0,16% che sale allo 0,47% per i replicanti sui governativi emergenti. Nell’azionario lo spread risulta inferiore per quelli sui Paesi sviluppati (0,16%), mentre sale allo 0,23% per quelli emergenti.

 
Ruolo del market maker e profondità del book
In generale la presenza di più market maker comporta una maggiore competizione sul prezzo e questo si traduce in spread più bassi. “I market makers indubbiamente contribuiscono a rendere più efficiente il mercato degli ETF favorendo il ritorno delle quotazioni al fair value”, rimarca Daniele Sabato, responsabile per l’Italia di Flow Traders, società leader in Europa nell’attività di market making per ETF, ETC e ETN.
Nella scelta dell’ETF un elemento importante da valutare è anche la profondità e l’ampiezza del book di negoziazione nel quale vengono esposte le proposte di tutti gli operatori. Un book profondo, ossia che presenta  ordini sia in acquisto che in vendita per numerosi livelli di prezzo, è solitamente garanzia di adeguata liquidità dello strumento riducendo la presenza di vuoti di domanda/offerta e attenuando il pericolo di eccessive variazioni di prezzo, mentre l’ampiezza contiene l’impatto di un singolo ordine quantitativamente elevato. “E’ un fattore importante nella scelta di un ETF specialmente in un ottica in cui ci troviamo a dover scegliere tra  ETF che hanno lo stesso sottostante ma proposto da diversi emittenti ”, rimarca Salvatore Capasso, responsabile Risk Trading, Delta Products di Banca IMI, con il Market Market che è chiamato a garantisce la minimun size ma non la sua profondità, pertanto, più un indice è “di largo utilizzo” come lo sono gli indici azionari principali, e maggiore è l’interesse da parte degli investitori che andranno a popolare il book con le loro proposte, creando una profondità del book. Le statistiche pubblicate mensilmente da Borsa Italiana permettono di confrontare i vari prodotti guardando i volumi scambiati e gli spread medi. Prendendo a riferimento il Ftse Mib, indice guida di Piazza Affari, il Lyxor ETF Ftse Mib, tra gli ETF più scambiati a Milano presenta lo spread decisamente più basso (0,07%) rispetto al CS ETF (IE) On Ftse Mib (0,261%) che presenta analogo sottostante ma con controvalore scambiato decisamente inferiore. Sempre tra i prodotti con analogo sottostante, il DB X-Trackers Ftse Mib presenta uno spread dello 0,218% e l’iShares Ftse Mib dello 0,181%. Da notare come l’allargamento dello spread a luglio, con mercati decisamente più volatili, è stato comunque limitato a punti base a conferma della crescente efficienza del mercato degli ETF.