Notizie USA Kremlin Report di Trump e Siria affondano rublo e borsa Mosca. Vendetta Putin colpirà dollaro

Kremlin Report di Trump e Siria affondano rublo e borsa Mosca. Vendetta Putin colpirà dollaro

10 Aprile 2018 08:50

Kremlin Report, dazi doganali, minacce Trump contro Mosca e Teheran per il loro coinvolgimento in Siria. Per la Russia e la Cina il momento probabilmente non potrebbe essere il migliore per sferrare un attacco congiunto contro l’America di Donald Trump.

Sicuramente, il presidente russo Vladimir Putin non si è limitato ad assistere al bagno di sangue che ha travolto i mercati finanziari russi nella giornata di ieri, portando la borsa di Mosca a crollare di oltre -11%, il rublo a testare il nuovo minimo dell’anno a 60 nei confronti del dollaro, travolto dalla flessione peggiore dal novembre del 2016, i cds a volare di 17 punti base, o +14% (il rally più forte dal dicembre del 2014) e i rendimenti dei bond russi con scadenza a settembre del 2031 a segnare un rialzo di 18 punti base, al 7,39%, valore massimo dallo scorso febbraio.

Il sell off sugli asset finanziari russi prosegue anche nella giornata di oggi, con l’indice RTS della borsa di Mosca che scivola di un altro -5%; e con il rublo che si indebolisce ulteriormente fino a quota 64 nei confronti del dollaro.  Gli investitori fuggono anche dai bond russi, e i cds continuano a salire.

L’attacco di Trump sferrato venerdì scorso 6 aprile contro gli oligarchi russi e le aziende più vicine a Putin, – target che erano stati nominati tutti nel Kremlin Report del Tesoro reso noto a fine gennaio – difficilmente rimarrà impunito.

Mosca starebbe già lavorando a una ritorsione, e la conferma arriva dal ministro dell’Energia Aleksandr Novak, che ha riferito che il Cremlino sta valutando di scaricare sia il dollaro che l’euro nei pagamenti per le transazioni di petrolio.

L’intenzione di utilizzare piuttosto la valuta nazionale è stata espressa soprattutto in merito alle transazioni con la Turchia e l’Iran, che sarebbero tra l’altro d’accordo a rinunciare entrambe al dollaro.

Un altro punto a favore del processo della de-dollarizzazione, dunque.

“Questa (idea) interessa sia la Turchia che l’Iran – ha detto Novak – Stiamo considerando l’opzione di lanciare pagamenti nelle nostre valute nazionali con (i due paesi). Ciò richiede di operare alcuni aggiustamenti nei settori finanziario, economico e bancario”.

Già Teheran ha firmato un accordo con la Turchia per utilizzare le valute locali nel commercio, invece del dollaro e dell’euro, al fine di migliorare le relazioni bilaterali economiche e commerciali con Ankara. Uno schiaffo non di poco conto contro il dollaro e anche contro l’Europa.

Tutto questo mentre a dispetto del tono conciliante del presidente cinese Xi Jinping, nelle ultime ore sono arrivati rumor, diffusi da SGH Macro Advisors, società di consulenza tra le favorite del mondo degli hedge fund macro secondo cui Pechino, dopo i ripetuti dazi doganali imposti dall’amministrazione Trump, avrebbe deciso di sganciare quella che viene considerata la sua bomba finanziaria più potente: ovvero di vendere quei Treasuries Usa che detiene, confermandosi principale detentore estero di titoli di Stato Usa.

“Nonostante l’incoraggiamento diretto da parte del segretario al Tesoro Usa Steve Mnuchin alla Cina di ‘rimanere ferma’ – stando ad alcune fonti cinesi – sembra che Pechino abbia interrotto gli acquisti di Treasuries Usa ‘nelle ultime settimane'”.

Secondo alcuni esperti di geopolitica e di economia, la Russia e la Cina hanno dunque più di un motivo per attaccare gli Stati Uniti, colpendo gli asset più importanti e allo stesso tempo sensibili – per il deficit Usa destinato a balzare, stando soprattutto alle ultime stime, diramate appena ieri dall’Ufficio di Budget del Congresso Usa.

La prima, per le sanzioni che hanno colpito quegli oligarchi russi che erano stati già schedati nella lista nera Kremlin Report: oligarchi che, con le aziende che controllano e le ricchezze che possiedono, trainano la finanza e l’economia del paese, e che ora non potranno fare affari con gli Usa.

Tornando alle stime diramate dal CBO, per effetto della riforma fiscale di Trump – comprensiva di un imponente taglio delle tasse – il deficit degli Stati Uniti balzerà  fino a $804 miliardi nel corso di quest’anno, e a un valore di poco inferiore a $1 trilione nel prossimo anno fiscale.

Senza nessun intervento, stando al rapporto stilato dall’Ufficio del Congresso, il deficit federale sfonderà poi in modo permanente la soglia di $1 trilione nel 2020, per poi balzare fino a $1,5 trilioni entro il 2028.

Ancora, l’ammontare potrebbe secondo le indiscrezioni superare anche la soglia di $2 trilioni se il taglio delle tasse dovesse essere prorogato e in caso di mancato taglio delle spese da parte di Washington.

Kremlin Report affossa Oleg Deripaska

Colpito tra i grandi magnati russi soprattutto Oleg Deripaska, l’oligarca che controlla il colosso dell’alluminio Rusal, il primo produttore in Russia e il secondo al mondo.

Il panico che si è scatenato sul futuro di Rusal si  è tradotto anche in un vero e proprio panic buying sull’alluminio, a causa delle preoccupazioni sull’offerta del metallo.

L’effetto è stato un balzo fino a +4% per il contratto a tre mesi, scambiato sul London Metal Exchange di Londra, a $2.124 la tonnellata.

“E’ da tanto tempo che non abbiamo assistito a una ritirata così unita e massiccia dagli asset russi – ha nel frattempo commentato Kirill Tremason, direttore del dipartimento di analisi presso la società di investimento Loko-Invest, con sede a Mosca.

Intervistato da Bloomberg, Tremasov ha detto che “la situazione ricorda più che mai quanto accaduto nel 2014”, ovvero le turbolenze dei mercati seguite alla decisione della Russia di annettere la Crimea.

“Gli investitori temono ora che qualsiasi azienda russa sia a rischio di sanzioni. E i trader guardano ai titoli russi come ad asset tossici”.

Proseguono così anche oggi gli smobilizzi sulla borsa di Mosca, dopo che ieri l’indice che rappresenta le azioni denominate in dollari, l’RTS Index, è capitolato fino a -11,4%, e il MOEX Russia Index è crollato dell’8,6%, riportando il calo più forte dal marzo del 2014, ovvero in quattro anni.

Mosca ha scontato anche il fattore Siria.

Il presidente americano Donald Trump ha accusato infatti la Russia e l’Iran di essere responsabili, insieme al regime di Assad, dell’attacco contro Douma, in Siria, e ha avvertito che, se le indiscrezioni su un attacco chimico verranno confermate, il regime di Bashar al Assad e i suoi alleati Russia e Iran “pagheranno un prezzo alto”.

Washington aveva d’altronde già spiegato che le sanzioni imposte venerdì scorso erano legate agli interventi della Russia in Crimea, Siria e Ucraina, così come alla sua interferenza nell’Occidente, avvenuta secondo l’amministrazione Trump anche per mezzo di attacchi cibernetici.

Così il ministero del Commercio Usa aveva motivato lo scorso venerdì l’imposizione delle misure contro Mosca:

“Il governo russo è coinvolto in una serie di attività maligne nel mondo, incluse l’occupazione della Crimea e l’istigazione alla violenza nell’Ucraina orientale, la fornitura di armamenti al regime di Assad mentre bombarda i suoi civili, i tentativi di sovvertire le democrazie occidentali e attività cibernetiche maligne”.

Gli oligarchi russi sono stati accusati di trarre profitto dalle attività presunte con cui Putin starebbe cercando di destabilizzare l’Occidente e anche di essere coinvolti nei tentativi russi di interferire con le elezioni degli Stati Uniti nel 2016.

In tutto, le misure punitive degli Stati Uniti contro la Russia hanno colpito sette oligarchi, 12 aziende che possiedono o controllano e 17 alti funzionari governativi russi. I nomi erano già presenti nella lista nera Kremlin Report, che era stata stilata per l’appunto a fine gennaio dal Tesoro Usa.