Istat: dal 2014 Pil in crescita, ma necessari stimoli per ridurre rischi sul debito
Nel 2014 l’Istat prevede un aumento del Pil italiano pari allo 0,6% in termini reali. Per il biennio successivo, la crescita dell’economia italiana si attesterebbe all’1% nel 2015 e all’1,4% nel 2016. E’ quanto si legge nel Rapporto annuale per il 2014 redatto dall’istituto di statistica in cui spiega che queste previsioni sono soggette tuttavia a rischi e incertezza derivanti dall’andamento della domanda globale, dalle condizioni di accesso al credito e dagli effetti delle politiche economiche. Nel 2014 la crescita del Pil sarebbe guidata in larga misura dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (+0,4 punti percentuali). Quest’ultima troverebbe sostegno nella risalita della spesa per consumi delle famiglie (a sua volta supportata da un incremento del reddito disponibile nominale superiore all’inflazione) e dal recupero dei tassi di accumulazione, grazie alle aspettative di ripresa del ciclo economico, nell’ipotesi di una graduale distensione delle condizioni di accesso al credito. Negli anni successivi, aumenterebbe il supporto fornito dalle componenti interne di domanda (+0,9 punti percentuali nel 2015, +1,3 punti percentuali nel 2016) grazie al rafforzamento della dinamica dei consumi e degli investimenti.
In tre anni manovre per 182 miliardi ma effetto sui conti limitato
La dimensione delle manovre fiscali attuate complessivamente in Italia dal 2010 è stata notevole (pari a -15 miliardi per il 2011, a -75 miliardi per il 2012 e a -92 miliardi per il 2013), ma gli effetti sul miglioramento dei conti pubblici sono stati in gran parte limitati dal cattivo andamento dell’economia, che ha raffreddato in particolare la dinamica delle entrate. In Italia il rapporto debito/Pil è salito al 132,6% nel 2013, con un aumento di oltre 29 punti dal 2007, circa 12,5 punti oltre il massimo del 1996. L’evoluzione negativa dei conti pubblici è dipesa soprattutto dagli effetti della recessione economica, da un aumento della spesa per interessi e, in misura minore, dall’attuazione di politiche fiscali discrezionali espansive. Il principale elemento di rischio per la sostenibilità del debito pubblico nel nostro Paese risulta attualmente essere la bassa dinamica del Pil e il differenziale tra tassi di interesse e tasso di crescita reale dell’economia. Ne consegue l’opportunità di attuare adeguate politiche per favorire la crescita economica di breve e di lungo periodo.
Giovani i più colpiti dalla crisi, nel 2012 oltre 26 mila hanno lasciato Paese
Il numero di disoccupati in Italia è raddoppiato dall’inizio della crisi, nel 2013 arriva a 3 milioni 113 mila unità. I giovani risultano essere il gruppo più colpito dalla crisi. I 15-34enni occupati diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803 mila unità, mentre i disoccupati e le forze di lavoro potenziali crescono rispettivamente di 639 mila e 141 mila unità. ll tasso di occupazione 15-34 anni scende dal 50,4% del 2008 all’attuale 40,2%, mentre cresce la percentuale di disoccupati (da 6,7% a 12%), studenti (da 27,9% a 30,7%) e forze di lavoro potenziali (da 6,8% a 8,3%). Le differenze di genere sono importanti: il tasso di occupazione è al 34,7% tra le donne e raggiunge il 45,5% tra gli uomini. Nel 2012, oltre 26 mila italiani di 15-34 anni hanno lasciato il Paese, 10 mila in più rispetto al 2008, meno di quanti ne sono rientrati. Il flusso di uscita dei laureati è di 6 mila 340 unità, con un saldo di -4 mila 180 unità. Le mete di destinazione privilegiate sono Regno Unito, Germania (circa 900 emigrati in ciascun paese) e Svizzera (726).
In aumento l’indicatore di povertà assoluta
L’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all’8% della popolazione. La grave deprivazione, dopo l’aumento registrato fra il 2010 e il 2012 (dal 6,9% al 14,5% della popolazione) registra un lieve miglioramento nel 2013, scendendo al 12,5%. Il rischio di persistenza in povertà, ovvero la condizione di povertà nell’anno corrente e in almeno due degli anni precedenti, è nel 2012 tra i più alti d’Europa (13,1 contro 9,7%). Si tratta di una condizione strutturale: le famiglie maggiormente esposte continuano a essere quelle residenti nel Mezzogiorno, quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di istruzione. Il rischio di persistenza nella povertà raggiunge il 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori. Nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi.