Inflazione: male necessario ai conti pubblici, ne faranno le spese i consumi privati
La crisi del debito e le tensioni sul mercato interbancario, in un contesto europeo a rischio recessione, hanno spinto la Bce a tagliare il costo del denaro malgrado il sensibile rialzo dell’inflazione che, negli ultimi mesi (settembre-ottobre), si è attestata al 3%, superando abbondantemente la soglia limite del 2% tollerata, almeno sulla carta, dalle autorità. L’allentamento delle condizioni monetarie con ogni probabilità proseguirà anche nei prossimi mesi, in totale controtendenza con quanto avviene sul fronte dei prezzi che continueranno a crescere a ritmi sostenuti almeno fino ad agosto 2012. L’area Research di Banca Monte dei Paschi di Siena si attende un ulteriore taglio del costo del denaro da 25 basis points nel primo trimestre 2012, quando anche il rallentamento del ciclo di Francia e Germania sarà più evidente.
Sotto queste condizioni l’inflazione non fa paura, tutt’altro: l’inflazione diviene un valido alleato per ridurre i rendimenti reali e consentire un sostenibile aggiustamento dei conti pubblici, soprattutto in contesti di bassa crescita o addirittura crescita negativa (-7,34% a/a e -1,01% il Pil della Grecia e del Portogallo rispettivamente nel secondo trimestre del 2011).
Se da un lato quindi l’inflazione è auspicabile per non cadere nella spirale deflattiva, dall’altro l’accelerazione dell’indice dei prezzi al consumo comporta una riduzione del potere di acquisto delle famiglie.
In Italia, ad esempio, dopo il forte calo del potere di acquisto registrato nel biennio 2008-2009, il dato è tornato a contrarsi su base tendenziale (-0,3% nel secondo trimestre 2011) e la recente accelerazione dei prezzi al consumo (3,4% anno su anno il Nic di ottobre) continuerà a pesare sulla spesa personale. Questo va ad aggiungersi ad una manovra fiscale restrittiva (i dettagli del decreto sviluppo e del maxiemendamento dovrebbero essere noti entro la metà di novembre) che, secondo la revisione al documento di finanza pubblica, da un lato innalzerà la pressione fiscale (che potrebbe salire al 44,9%, dal 43,5% attuale e dal 40,8% del 2000) e dall’altro andrà a ridurre la spesa pubblica (con la spesa per investimenti nel triennio 2011-2013 dovrebbe contrarsi del 25% rispetto al 2010) con un effetto restrittivo sull’economia. Secondo le stime dell’Area Research di Banca Monte dei Paschi di Siena nel 2012 i consumi privati torneranno a contrarsi (-0,4%, rispetto al +1% nei primi 6 mesi del 2011).