Ifi-Ifil alle prese con la rottura del patto fiduciario
Si potrebbe ritenere verosimilmente che si tratti di una questione legale interna alla famiglia Agnelli che “non riguarda né direttamente né indirettamente la Fiat e non ha alcuna conseguenza sull’azienda” come ha detto il presidente del Lingotto, Luca di Montezemolo. Per capire però quali possano essere le ricadute della mancanza di unità in seno alla famiglia occorre fare un passo indietro. Tanto più che le ipotesi di un riassetto delle partecipazioni e della struttura di Ifi-Ifil non sono certo una novità, e anzi si sono susseguite fin dai giorni successivi alla morte dell’Avvocato nel 2003. Nell’aprile 2006 un fiorire di indiscrezioni aveva addirittura indotto la Consob a richiedere la diffusione di un comunicato in cui Ifi aveva poi chiarito l’assenza di iniziative per un riassetto.
I dieci rami della famiglia sono rappresentati nella Giovanni Agnelli & C. Sapa, l’accomandita che controlla il 100% del capitale ordinario di Ifi. Non una cosa di poco conto se si considera che proprio attraverso la stessa Ifi l’Accomandita controlla (secondo dati Consob) oltre il 71% di Ifil, altra holding in cui sono racchiuse partecipazioni di tutto rilievo, prima tra tutte il 30,45% di Fiat Group, ma anche il 2,45% di Intesa Sanpaolo, il 100% di Alpitour, il 48,88% di Sequana Capitale, il 9,66% di Banca Leonardo, fino al 60% della Juventus.
E proprio in Ifi convergono le parti coinvolte nella vicenda giudiziaria balzata alle cronache in queste ore. Il figlio di Margherita Agnelli, John Philip Elkann, ricopre infatti la carica di presidente del consiglio di amministrazione, affiancato nel ruolo di consiglieri proprio da due dei personaggi chiamati in giudizio dalla madre e storici collaboratori dell’Avvocato: Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti, che fino a pochi mesi fa è stato il mentore del giovane rampollo di casa Agnelli.