Greggio ancora in area record, la speculazione viaggia sui venti di guerra
Non sono da segnalare nuovi massimi, tuttavia le quotazioni del petrolio si mantengono anche stamattina vicine ai valori record toccati venerdì, attestandosi attualmente a 138,3 dollari per barile su piattaforma elettronica. Non sono infatti venute meno le motivazioni che venerdì hanno spinto il greggio a mettere a segno un rialzo di 10,75 dollari al barile, il maggior rincaro di sempre in una sola giornata, portandosi fino a un massimo storico di 139,12 dollari, con un’escalation che ha condotto a una sospensione automatica degli scambi dei future sul New York Mercantile Exchange (non accadeva dal 1991).
E i motivi possono essere ricondotti a un’unica sorgente: la durissima presa di posizione del ministro dei Trasporti israeliano, Shaul Mofaz, che ha definito un attacco contro l’Iran (il secondo maggiore produttore Opec) inevitabile se Teheran non bloccherà i suoi programmi nucleari. Ma perché il mercato non ha ritenuto quella di Mofaz un’esternazione “normale” per l’area mediorientale? Innanzitutto si tratta di una presa di posizione molto esplicita, in secondo luogo occorre considerare il ruolo di Mofaz, che di Israele è anche vice-presidente dopo essere stato ministro della Difesa, e ancora il fatto che Israele non è nuovo a interventi di questo tipo: risale al 1981 l’attacco a un reattore iracheno e a solo nove mesi fa quello a un presunto impianto nucleare siriano. C’è però soprattutto quanto si è letto tra le righe delle parole di Mofaz, ossia che un’operazione militare sarebbe condizionata a un consenso implicito degli Stati Uniti. E in questo senso la speculazione ha visto la visita del premier israeliano Olmert a Bush nei giorni scorsi.
E’ tuttavia possibile che questo basti a convincere gli operatori di un’operazione militare in tempi brevi? Significativo in questo senso è che l’opzione fosse già contemplata ancora prima delle affermazioni di Mofaz. Ecco quanto scriveva solo giovedì scorso Alessandro Fugnoli, lo strategist di Abaxbank, riferendosi a ipotesi lanciate da fonti democratiche negli Stati Uniti e pacifiste in Europa: “L’amministrazione Bush resterà in carica solo per sette mesi. A fine gennaio si insedierà probabilmente un’amministrazione democratica. Se Israele vuole dare una risposta preventiva alla minaccia nucleare iraniana deve darla adesso se vuole contare su un’America favorevole”. Un ipotesi che verosimilmente è presa in considerazione da più di un’analista e che non può lasciare indifferenti. Non solo perché l’Iran è il secondo produttore di greggio dell’Opec, ma per le possibili ripercussioni a livello internazionale. E’ ancora Fugnoli a spiegarlo nella sua rubrica settimanale Il Rosso e il Nero: “L’Iran non avrebbe la solidarietà dei regimi sunniti, che lo temono e lo vedrebbero volentieri indebolito, e un embargo generalizzato del petrolio sul modello del 1973-74 sarebbe improbabile. L’Iran potrebbe però contare sul Venezuela e potrebbe cercare di bloccare il golfo Persico. I governi occidentali renderebbero disponibili le riserve strategiche di greggio e potrebbero essere prese misure per frenare la speculazione, ma il prezzo si muoverebbe comunque in una direzione sola”.