Gli hedge continuano a preferire l’azionario, meglio se emergente
Mercati emergenti e materie prime resteranno i punti di riferimento per gli investitori in un contesto economico comunque ancora solido a livello globale e in cui le azioni continueranno a dare maggiori soddisfazioni dei bond.
Lo hanno chiarito quest’oggi alcuni tra i maggiori esponenti dell’industria degli hedge fund, riuniti a Lugano per partecipare al convegno “Temi d’investimento in un mondo ad alta volatilità”, organizzato da The Sagres Group, società di gestione di fondi di fondi hedge ticinese.
Le prime rassicurazioni sono arrivate da Peter Perkins, managing editor e global strategist di BCA Research, uno dei maggiori fornitori indipendenti di ricerche d’investimento, che ha aperto i lavori inquadrando l’attuale fase delle economie e dei mercati. “L’economia Usa rallenterà – ha spiegato – ma eviterà la recessione, il resto del mondo terrà e il credit crunch si ridurrà gradualmente”.
Diversi i motivi per cui secondo Perkins gli Usa non cadranno in recessione: la robustezza della crescita globale, la solidità dei bilanci famigliari, la continua crescita del mercato del lavoro, la forza della situazione finanziaria delle aziende e da ultimo il dollaro debole.
Di conseguenza netta la presa di posizione in favore dell’azionario, e in particolare dei titoli dei mercati emergenti e della Cina, ancora da preferire ai bond. Nella visione dello strategist, l’equity dovrebbe beneficiare dei tagli ai tassi d’interesse della Federal Reserve, dell’espansione globale degli utili, ma anche di una migrazione degli investitori alle azioni in assenza di altri investimenti interessanti.
All’interno dell’azionario sono due, secondo Perkins, le vie da seguire. Da un lato puntare sui titoli industriali e tecnologici, che beneficeranno del forte trend degli investimenti in conto capitale, dall’altro sui titoli legati alle risorse di base e alle infrastrutture, che continueranno a essere guidati dalla domanda dei mercati emergenti.
E la crescita dell’Asia continuerà ad avere un ruolo anche sui prezzi delle materie prime. Se ne è detto convinto un altro ospite del simposio, Philip Richards, fund manager del fondo RAB Special Situations. “La crescita della Cina e il raddoppio delle aree urbane sono i due più grandi temi dei prossimi 20 anni”, ha spiegato il gestore. Stando ai dati citati nel corso del convegno, ogni anno in Cina 30 milioni di persone si muovono dalle campagne verso le metropoli e il 2007 sarà il primo anno nella storia in cui il 50% della popolazione mondiale vivrà nelle città. Se le previsioni dell’Onu, secondo cui entro il 2030 l’80% della popolazione mondiale vivrà nelle città, verranno rispettate, “nelle aree urbane – ha detto Richards – sarà necessario costruire abitazioni per 3 miliardi di persone nei prossimi 24 anni”. E già l’India ha varato un piano di infrastrutture del valore di 350 miliardi di dollari.
La Cina dunque sarà il motore della crescita mondiale anche per i prossimi anni. Ma c’è chi è convinto che potrà essere anche di più. Un altro dei relatori al convegno, Frank Ren, chief investment officer di Everbright Dragon Fund, non ha mostrato dubbi: “La Cina è la storia d’investimento del 21esimo secolo”. Per Ren il Paese continuerà ad essere la fabbrica del mondo, grazie a disponibilità di lavoro a basso costo e di economie di scala. Ci sono però altri elementi che potranno favorire ulteriore crescita e rivelarsi solo nei prossimi mesi: dal proseguimento del processo di privatizzazione (lo Stato ancora controlla metà dell’economia), passando per una riforma della tassazione societaria (si parla di un’aliquota standard in diminuzione dal 33 al 25%) e per l’introduzione di schemi di incentivazione per il management, il tutto supportato dall’ingresso di nuove risorse finanziarie nel Paese.