Gli analisti non temono la sindrome cinese
L’effetto sui mercati mondiali dello scivolone della Borsa cinese si esaurirà nel breve o si assisterà a una sorta di effetto aviaria, con diffusione del contagio per settimane su tutto il pianeta? Il mercato pare propenso a sposare la prima delle due tesi. Non sarebbe ancora il momento dunque di aspettarsi un ridimensionamento degli investimenti in attività rischiose sui mercati globali.
Solo due giorni fa un report del China team di Merrill Lynch esprimeva la convinzione che qualsiasi misura per raffreddare il mercato come quella intrapresa oggi con l’aumento delle imposte sulle transazioni finanziarie avrebbe potuto avere come effetto una volatilità relegata al breve periodo, senza la capacità di far deragliare il trend rialzista per i prossimi 12 mesi. In qualche modo come avvenuto già in scia alla brusca correzione di fine febbraio, quando si era iniziato a parlare di misura governative di contenimento della speculaizone. Il parere è oggi ripreso da una nota di Exane, in cui si legge che la misura introdotta non sembrerebbe, presa individualmente, tale da poter modificare la liquidita’ nel mkt azionario (visti i ritorni sugli investimenti) ma si inserisce in un contesto restrittivo.
Secondo l’ex capo economista della Deutsche Bank, Ed Yardeni, l’aumento dell’imposta sarebbe addirittura positivo anche per le altre economie. “E’ mia opinione – si legge nella sua nota giornaliera – che si tratti di uno sviluppo positivo per la sostenibilità del mercato toro globale. Credo che se le autorità avranno successo nel gestire la cosiddetta stock market mania, l’economia cinese continuerà a crescere rapidamente e potrà essere meno soggetta al rischio di essere fatta deragliare da un crash del mercato azionario”. Per Roberto Malnati, gestore del fondo Asian Century, è fondamentale la tenuta mostrata da Hong Kong, che ha limitato i danni allo 0,9%: “Si tratta solo di normale attività di trading, un -4% su Hong Kong, e in particolare dell’Hang Seng China Enterprise Index (l’indice che raggruppa i titoli di società cinesi quotati nell’ex protettorato britannico, ndr) mi avrebbe preoccupato, ma non è così. Ora è importante che Hong Kong non scenda da questi livelli”. Da Citigroup segnalano invece che l’incremento dell’imposta dovrebbe significativamente ridurre i volumi scambiati, ma “non sarà probabilmente abbastanza per far scoppiare la bolla. Prima che questo accada per gli esperti di Citigroup si potrà assistere a un violento rimbalzo, che potrebbe spingersi anche a un altro rialzo del 20-30%. Un intervento ora è inoltre giudicato più utile e meno distruttivo di quanto lo sarebbe potuto essere fra qualche mese, quando l’impatto sull’intera economia sarebbe necessariamente maggiore dato il ritmo di crescita dei conti titoli nel Paese (la media delle ultime settimane è di 300mila conti al giorno).
Le valutazioni sostanzialmente ottimistiche che prevalgono sul mercato non alterano però la portata dell’intervento di Pechino. La manovra dell’imposta di bollo sulle transazioni finanziarie ha infatti mostrato nel corso degli anni di essere una delle mosse di maggiore impatto sui mercati azionari cinesi. Nel 1997 nei quattro mesi che seguirono l’innalzamento dell’imposta dallo 0,3 allo 0,5% l’indice Shanghai Composite perse quasi il 30%. Lo stesso è avvenuto in tutte le altre occasioni in cui il livello di tassazione è stato modificato, anche verso l’alto. Nel giugno 1999 il cosiddetto stamp duty era stato tagliato sulle azioni B dallo 0,4 allo 0,3%. Fino al novembre del 2001, data in cui l’imposta fu ridotta allo 0,2% su tutte le categorie di azioni, la performance del mercato è stata pari al 50%. Dal novembre 2001 la performance è stata di oltre 100 punti percentuali.