Siamo tutti cinesi. La Banca centrale della Cina ha nelle sue mani il 7,3% circa del debito pubblico dei Paesi della zona euro. L’assegno staccato al momento da Pechino dovrebbe aggirarsi intorno a 630 miliardi di euro. Ma potrebbe essere solo l’inizio. E’ il quotidiano economico francese La Tribune a riproporre l’antica questione. Sull’argomento non esistono neanche cifre ufficiali della Bce. Dall’Eurotower si limitano a comunicare che il 25% circa del debito dell’area, oltre 2.210 milioni di euro, è in mano a non residenti. Se la cifra calcolata dalla Tribune fosse corretta, ciò significherebbe che in mano agli investitori cinesi c’è oltre il 28% della parte di debito in mano a creditori esterni alla zona euro.
La stima del quotidiano francese è però analoga a quella pubblicata ad aprile dell’anno scorso dal Financial Times che, senza citare le fonti, sosteneva appunto che nelle mani di Pechino c’erano oltre 630 miliardi di titoli di debito pubblico dell’Eurozona. Cifre che potrebbero essere noccioline, visto l’attivismo di Pechino nel comprare bond irlandesi, greci, portoghesi e spagnoli nel corso di queste ultime settimane. E oggi c’è stata l’ennesima prova del nove.
Come segnalato da alcuni money manager contattati da questa testat, la Cina ha permesso a Lisbona di riuscire nel collocamento del bond in calendario questa mattina. Nell’asta odierna Lisbona ha, infatti, emesso un bond per 500 milioni di euro con scadenza a luglio con un rendimento del 3,686%, in rialzo dal 2,045% offerto nell’asta dello scorso 1 settembre. Solo l’anno scorso Lisbona sugli stessi titoli a sei mesi pagava appena lo 0,592% d’interesse. La domanda è stata pari a 2,6 volte l’importo offerto rispetto a 2,4 di settembre. Un’emissione che non ha portato a grandi sorprese, se non fosse per quei rendimenti cresciuti in maniera vertiginosa a segnalare ancora una volta che la coloninna del rischio sta continuando a segnare brutto tempo per la periferia d’Europa. Con una mano la Cina ha aiutato il Portogallo, con l’altra la Spagna. Pechino ha, infatti, ribadito il suo appoggio a Zapatero per superare la crisi finanziaria. Lo ha fatto, confermando che continuerà a comprare titoli di Stato di Madrid.
“Abbiamo fiducia in questo mercato”, ha sottolineato il vicepremier cinese Li Keqiang, parlando in un incontro con un centinaio dei maggiori imprenditori del paese, durante il quale ha mostrato anche apprezzamento per le riforme varate di recente dal governo spagnolo. I due governi hanno siglato oggi 16 accordi in campo energetico, di promozione degli investimenti esteri e in materia finanziaria per un valore totale di 5,5 miliardi di euro.
Quello di oggi è solo l’ultimo passo dell’industrializzazione Made in Cina di un’ampiezza e di una rapidità senza precedenti. Lo dicono le statistiche: nello spazio di 26 anni, il Pil cinese si è decuplicato. E il confronto con l’Occidente è quasi impietoso. Il Regno Unito ha impiegato 70 anni, a partire dal 1830, per quadruplicare il proprio Pil. Ma il bello deve ancora arrivare. Secondo il Fondo monetario internazionale, la quota della Cina sul Pil globale (calcolato ai prezzi correnti) nel 2013 supererà quota 10 per cento. Gli analisti di Goldman Sachs fissano al 2027 la data di non ritorno. Ci separano appena sedici anni secondo gli esperti della banca americana dl momento in cui la Cina effettuerà il sorpasso del Pil sugli Stati Uniti. Ma potrebbe essere solo un dettaglio, dal momento che l’influenza cinese sul mappamondo finanziario, e non solo quello, potrebbe allargarsi a macchia d’olio ben prima.
“Il ruolo dei cinesi nella crisi del debito sovrano considerando il surplus è un fattore positivo”, è l’idea di Patrizio Pazzaglia di Bank Insiger, che ricorda che in realtà da tempo sono i principali sottoscrittori del debito pubblico americano. “Il fatto che le loro finanze siano floride è assolutamente interessante perché svolgono un ruolo di equilibratori in una situaizone che altrimenti potrebbe avvitarsi su se stessa”, segnala il money manager. “Evitare che la situazione peggiori, porta alla Cina indubbi vantaggi: Pechino ha, infatti, bisogno dei mercati europei e americani per esportare le sue merci. L’opera cinese è quindi da un lato meritoria ma dall’altro interessata”, conclude ancora Pazzaglia. “C’è quindi un calcolo di convenienza che dimostra come loro economia sia dirigista nell’intraprendere iniziative di questa portata. Se così non fosse difficilmente sarebbe stato possibile spingere investitori in maniera così massiccia verso quest’opera”.