Dopo Moody’s anche S&P’s sprona l’Italia: il nocciolo resta la riduzione della spesa pubblica
Italia, svegliati è primavera. Dopo il monito arrivato la scorsa settimana da Moody’s è la volta degli analisti di Standard & Poor’s. “La prevista attuazione, a partire dal 2010, del programma di consolidamento attraverso la riduzione della spesa pubblica potrebbe essere un importante fattore di supporto per i rating sovrani della Repubblica Italiana”. E’ questo il quadro tracciato dall’agenzia di rating, che sparaglia le carte sulla solidità del Belpaese.
Gli esperti osservano che se il Governo dovesse ritardare l’implementazione di politiche che conducono il debito verso una riduzione sostenibile, ciò potrebbe portare ad una revisione al ribasso dei rating. E bisogna rimettere indietro le lancette dell’orologio al 2004 e al 2006 per assistere a un declassamento dei rating sovrani della Repubblica Italiana, quando in entrambe le occasioni la bocciatura è stata dettata dalla percezione di una “mancanza di volontà dei governi italiani nell’affrontare il costante aumento della spesa primaria”.
Ma oggi potrebbe andare diversamente. L’attuale governo ha affermato l’intenzione di raccogliere questa sfida a partire dal 2010. E Standard & Poor’s ci crede nell’azione di risanamento portata avanti da Palazzo Chigi. “Le nostre previsioni di bilancio sono in larga parte in linea con quelle del governo, e a nostro avviso, la piena attuazione del pacchetto di riforme potrebbe essere sufficiente per stabilizzare il debito nel 2011”, azzarda Trevor Cullinan, rating analyst di Standard & Poor’s.
Al contrario – secondo l’agenzia di rating – “una implementazione non completa del programma potrebbe esercitare una pressione al ribasso sui rating sovrani, in quanto riteniamo che ciò potrebbe condurre ad un aumento della spesa primaria al di sopra delle nostre aspettative, creare più ampi disavanzi delle amministrazioni pubbliche e causare un ulteriore aumento del debito pubblico che stimiamo al 119% del Pil nel 2010, rispetto al 39% della mediana della categoria A”.
Sebbene fino ad ora l’Italia sembra essere stata meno esposta agli effetti diretti della crisi finanziaria mondiale, Cullinan osserva che il forte rallentamento della domanda interna e della crescita delle esportazioni fin dallo scoppio della crisi finanziaria ha portato ad un sostanziale declino della produzione nel corso del 2009. Che è l’anticamera per dire che le prospettive di crescita dell’Italia rimangano relativamente deboli nel medio periodo.
“Riteniamo che ciò sia dovuto alla perdita di competitività registrata negli ultimi anni, come dimostrato dal costante apprezzamento del tasso effettivo di cambio reale aumentato del 23% dal 2005, unitamente a inefficienze strutturali nei mercati dei beni e servizi e del lavoro che storicamente hanno portato ad una bassa crescita della produttività”, argomenta l’analista. “Tuttavia – nota – l’Italia ha un settore privato relativamente meno indebitato (118% del PIL nel 2010) per esempio in confronto alla Spagna e quindi non ci aspettiamo che l’Italia attraversi lo stesso processo di riduzione dell’indebitamento nel medio termine. Allo stesso tempo, non prevediamo un drastico aggiustamento dei conti pubblici in Italia a differenza della Grecia. Di conseguenza, prevediamo prospettive di crescita per l’Italia superiori a quelle di questi due paesi”.