Dati cinesi penalizzano aussie e kiwi, sterlina in affanno
Le nuove indicazioni negative in arrivo dal dragone innescano prese di beneficio sulle valute direttamente correlate con l’andamento dell’economia cinese come il dollaro australiano e quello neozelandese. In rialzo di circa due punti percentuali nelle ultime cinque sedute, i cross tra l’accoppiata aussie-kiwi (i soprannomi dell’aud e dell’nzd) e il biglietto verde segnano rispettivamente un calo di un punto percentuale e dello 0,45 per cento a 72,893 e 66,852 centesimi di USD.
A settembre l’import cinese ha registrato l’undicesimo segno meno consecutivo scendendo del 20,4% annuo (in termini di dollari), evidenziando il calo della domanda in arrivo dalla seconda economia mondiale e rinforzando le richieste di nuovi stimoli per rilanciare la crescita economica (e la domanda di commodity).
Altro tema dominante della giornata è quello legato all’inflazione britannica che sta penalizzando la sterlina perché la discesa in territorio negativo, -0,1% per il Cpi d’Oltremanica a settembre, allontana l’ipotesi di un prossimo incremento dei tassi da parte della Bank of England (possibilità già ridotte dal rinvio annunciato dalla Fed). In questo contesto il cable, il cross sterlina/dollaro, segna un -0,77% a 1,5228 mentre l’incrocio con la moneta unica avanza a 74,628 penny (+0,85%).
Ribassiste anche le indicazioni arrivate dalla testimonianza resa al parlamento Gertjan Vlieghe, neo membro del Comitato di Politica monetaria della BoE. Negli ultimi due anni l’economia britannica ha registrato performance relativamente solide in un contesto globale caratterizzato da una crescita insoddisfacente” e a questo punto il rischio è che, in presenza di una persistente debolezza globale, “la crescita britannica sia spinta al ribasso”. In una tale situazione, la Bank of England potrebbe ridurre il costo del denaro e/o far ripartire il piano di acquisto asset (QE, Quantitative Easing). “Potremmo ridurre i tassi se necessario” e “anche far ripartire il piano di acquisto asset”. Il costo del denaro d’Oltremanica, fermo allo 0,5% dal marzo del 2009.