La Borsa di Tokyo chiude sotto la linea della parità. Scatta l’allarme inflazione in Cina
Termina la seduta sotto la linea della parità la Borsa di Tokyo. Col passare delle ore si sono fatti largo sul mercato giapponese i timori che l’ulteriore stretta monetaria varata in Cina possa rallentare la crescita di Pechino e anche quella globale. L’indice Nikkei ha così tagliato il traguardo in ribasso dello 0,17% a 10.617,83 punti, ripiegando dai nuovi massimi degli ultimi 9 mesi toccati in apertura di negoziazioni grazie ai guadagni messi a segno da Wall Street. Il rialzo dei tassi è arrivato tra crescenti pressioni sul governo cinese affinchè metta sotto controllo l’inflazione. Dopo i rialzi, il tasso sui depositi ad un anno salirà al 3 %, mentre quello sui prestiti a un anno raggiungerà il 6,06%.
Con il terzo aumento dei tassi d’interesse in sei settimane, il messaggio inviato ieri da Pechino è chiaro: la preoccupazione per il surriscaldamento dell’economia del Dragone, e in particolare per la crescita dell’inflazione, è forte. La Banca centrale cinese ha mosso, alzando di 25 punti base il tasso sui depositi a un anno e il tasso sui prestiti a un anno. L’annuncio dell’aumento, arrivato come subodorato dagli investitori durante il periodo di vacanze per il nuovo anno lunare, era atteso dagli analisti, che prevedono nuove misure restrittive bei prossimi mesi. “Non sapevo che l’aumento sarebbe stato annunciato ieri, ma si sapeva che i tassi sarebbero cresciuti”, ha commentato Mike Lenhoff, esperto britannico. Per gli analisti la scelta dei tempi per il rialzo dei tassi, immediatamente dopo le vacanze per il Capodanno cinese, manderà ai mercati un forte segnale sull’attenzione della Pboc all’inflazione. In Cina i mercati hanno riaperto oggi dopo una settimana di chiusura.
“Sebbene l’indice dei prezzi al consumo in dicembre sia diminuito leggermente da novembre, dovremo fronteggiare ancora una forte pressione inflazionistica nella prima metà dell’anno”, avverte Zhang Liqing, presidente della Finance School della Central University of Finance and Economics. “Questo è il fattore fondamentale dietro il rialzo dei tassi d’interesse questa volta”, ha aggiunto Zhang. L’anno scorso l’economia cinese ha proseguito nella sua crescita a due cifre, che l’ha portata a superare il Giappone e diventare così la seconda al mondo alle spalle solo degli Stati Uniti. Basta dare un’occhiata ai numeri per avere chiaro quadro. Secondo i dati diffusi dall’Ufficio centrale di statistica, in gennaio la crescita annuale del Prodotto Interno Lordo è stata del 10,3% rispetto al 9,2% del 2009, mentre l’inflazione si è attestata sul 3,3% su base annua, superando l’obiettivo del governo che era fissato al 3%. In dicembre l’aumento è stato del 4,6%, in leggera decelerazione rispetto al 5,1% di novembre, che aveva segnato il picco a 28 mesi, ma sono diversi gli economisti che prospettano che in gennaio possa toccare il 6,6%.
Dall’altra parte la crescita è stata alimentata dai massicci investimenti statali nelle infrastrutture ed è stata accompagnata dalla bolla immobiliare, settore nel quale i prezzi continuano a crescere a dispetto delle misure restrittive prese nel corso dello scorso anno dal governo. Le metropoli di Shanghai e di Chongqing hanno varato un’imposta sperimentale sulle proprietà immobiliari. Ma per gli analisti è ben poca cosa, anzi ritengono che l’impatto delle misure governative sulla crescita sarà contenuto. L’economia cinese continua ad essere fortemente dipendente dalle esportazioni e, nonostante le continue pressioni dell’Occidente, e in particolare degli Stati Uniti, Pechino non ha finora recepito il messaggio e inviato segnali di voler accelerare la crescita dello yuan, che rimane ancorata al tasso di riferimento fissato quotidianamente dalla banca centrale.