Bce e Bankitalia monitorano liquidità banche italiane. Contatti frequenti con questi istituti
In queste ore di grandi incognite sul futuro dell’Italia, Bce e Bankitalia stanno monitorando con grande attenzione la liquidità delle banche italiane. Ne parla il Messaggero, nell’articolo “Banche, faro Bce e Bankitalia su liquidità e titoli di Stato per prevenire instabilità”.
Il check sui titoli di Stato, ovvero sui BTP in pancia agli istituti, è reso necessario dal problema del doom loop , il cosiddetto abbraccio mortale che lega le banche italiane al debito sovrano italiano verso cui rimangono fortemente esposte. E’ ovvio che, in tempi di impennata dello spread e di tensione sui bond italiani, a risentirne siano soprattutto gli istituti e, in generale, gli investitori che li hanno in portafoglio.
Ma non è solo questa esposizione a essere entrata nei radar delle due istituzioni, guidate rispettivamente da Mario Draghi e Ignazio Visco.
Il Messaggero precisa di fatto che le due voci più delicate che Bce e Bankitalia stanno osservando sono “anzitutto la liquidità e poi gli indici patrimoniali, sotto pressione per il deprezzamento dei titoli di Stato”. Quindi, liquidità in primis.
Tanto che la “Bce dalla scorsa settimana ha organizzato più conference call con le banche significant, vale a dire Intesa SanPaolo, UniCredit, Banco BPM, Ubi, Mps, Mediobanca, Carige, Bper, Pop Sondrio, Credem, Iccrea. E ha fatto sapere che queste verifiche settimanali si protrarranno. Un paio di volte la settimana, invece, questi istituti, ma anche gli altri della fascia intermedia, devono comunicare a Bankitalia lo stato della loro liquidità”.
“Un doppio check dei regolari sulle condizioni delle banche che possono avere finalità diverse. Il livello Lcr (liquidity coverage ratio) prescrive che l’istituto abbia attivi liquidi di alta qualità non vincolati, composti da contanti e attività subito convertibili in cash per soddisfare un bisogno di liquidità nell’arco di 30 giorni in uno scenario di stress predefinito dall’autorità”.
La Bce di Mario Draghi “suppone che l’aumento dello spread ormai da un mese in altalena attorno a quota 300 possa alla lunga generare timori tra i risparmiatori, specie quelli che hanno il conto presso gli istituti più vulnerabili sotto il profilo patrimoniale. Sicché alcune banche sono ‘attenzionate’ più di altre, visto che non sarebbe la prima volta che condizioni di mercato più turbolenti inducono la clientela a spostare i depositi presso altri istituti, determinando squilibri che se non ricomposti in tempo possono innescare spirali pericolose”.
Ma cosa emerge da questi controlli? Il Messaggero scrive che “dal check up in corso da parte dell’Authority europea e di Bankitalia, che chiede per iscritto due volte la settimana gli stessi dati, sta emergendo che quasi tutte le grandi banche sono al sicuro, con accentuazioni diverse, nel senso che sono numerose quelle che vantano una posizione molto sopra quota 100%, qualcuna è vicina alla soglia”.
Proprio ieri è stato pubblicato su A&F un report dell’Osservatorio dei Conti pubblici diretto da Carlo Cottarelli, stilato da, che si è concentrato sull’effetto spread sia sui costi dello Stato che sulle banche italiane. Così Giampaolo Galli, economista e vicedirettore dell’Osservatorio dei conti pubblici:
“Una regola di matematica finanziaria dice che quando aumentano i tassi d’interesse il valore dei titoli diminuisce. Dato che i titoli di Stato rappresentano circa il 10% per cento dell’attivo delle banche (364 miliardi secondo Bankitalia), all’aumentare dei tassi si erode il loro patrimonio, il che – continua Galli – in base alle regole prudenziali internazionali, le obbliga a ridurre il credito“.
Inoltre alle banche tocca bussare alle porte del mercato, per ricapitalizzarsi. Porte che sicuramente non si aprono facilmente visto che, proprio a causa degli effetti dello spread sulle banche, i titoli bancari vedono (come è già accaduto) i loro valori zavorrati dai sell off, e ciò rende più costosa l’operazione di aumento di capitale.
Viene ricordato nell’articolo di A&F che da metà maggio l’indice dei titoli bancari (italiani) ha perso oltre il 33%.
“Il rapporto stima – si legge ancora – che in media 100 punti base di spread riducano la capitalizzazione delle prime cinque banche italiane di 13,6 miliardi. Per di più, la manovra comprende nuovi oneri fiscali per le banche (e le assicurazioni) di 3-4 miliardi. Come se non bastasse il 26 ottobre inizia la raffica di rating delle agenzie, che la maggior parte degli economisti prevede al ribasso fino a sfiorare il livello junk. Infine il 2 novembre lo European Banking Authority comunica i risultati degli stress test, quest’anno resi più insidiosi da nuovi standard e parametri”.