Bankitalia, Visco: da famiglie più acquisti strumenti risparmio gestito. Si investe molto meno in BTP e bond banche

Gli italiani acquistano una quantità maggiore di strumenti del risparmio gestito. E’ quanto emerge dal discorso proferito dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, in occasione della 95esima Giornata mondiale del risparmio, organizzata dall’ACRI. Dai tempi della crisi finanziaria globale, è stata invece fortemente ridotta l’esposizione verso le obbligazioni, siano esse titoli emessi dallo Stato, dunque BTP e altre categorie di debito sovrano, che bond emessi dalle banche. Così Visco:
“Negli anni successivi alla crisi finanziaria globale le famiglie italiane hanno mostrato cautela nel selezionare i loro investimenti di portafoglio. La quota dei depositi sul totale delle loro attività finanziarie ha continuato a crescere, portandosi lo scorso giugno a quasi il 30 per cento, anche in conseguenza della riduzione dei rendimenti di altri strumenti finanziari”.
“Le famiglie – ha continuato il governatore – hanno inoltre fortemente ridotto gli investimenti diretti in titoli obbligazionari, soprattutto quelli emessi dallo Stato e dalle banche, scesi rispettivamente al 3,3 e all’1,5 per cento, tre e sei punti percentuali in meno che nel 2007. Sono aumentati gli acquisti di strumenti del risparmio gestito (in particolare di prodotti assicurativi), la cui quota ha superato il 31 per cento lo scorso giugno, undici punti percentuali in più rispetto al 2007. Nel complesso si è accentuata la diversificazione del portafoglio”.
Interesse su risparmio gestito confermato da Acri-Ipsos
I maggiori acquisti di strumenti del risparmio gestito da parte delle famiglie italiane erano stati messi in evidenza anche ieri dall‘indagine annuale realizzata dall’Acri e diffusa proprio alla vigilia della 95esima Giornata mondiale del Risparmio, che si è svolta oggi, 31 ottobre, presso l’Angelicum Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, a Roma.
Dall’indagine è emersa la preferenza degli italiani per la liquidità e una riluttanza a scegliere l’investimento cosiddetto migliore. La difficoltà a trovare l’investimento ideale è tale che “per il 35% (degli italiani) – si legge nell’indagine Acri-Ipsos – l’ideale è proprio non investire, tenersi i soldi o spenderli”.
Questa percentuale del 35%, è salita di ben cinque punti rispetto al 2018, raggiungendo tra l’altro il massimo della serie (nel 2001 gli italiani che ritenevano fosse meglio non investire erano il 21%).
Il rapporto ha evidenziato anche che è scesa di “sei punti la percentuale di chi è attratto verso titoli considerati più sicuri, oggi ideali per il 25%”, mentre si sono confermati “stabili il ‘mattone’ al 33% e gli investimenti più rischiosi al 7%”.
Su base annua, dunque rispetto al 2018″ sono cresciuti “inoltre i correntisti (85%, +4 punti percentuali)” così come sono cresciuti, a conferma dell’interesse di cui ha parlato oggi anche Ignazio Visco, “quelli che approcciano il risparmio gestito (16%, +4 punti)“.
Sia Visco (ovviamente, per il suo ruolo di numero uno di Bankitalia), che Antonio Patuelli, numero uno dell’ABI, hanno parlato di miglioramento per le condizioni di salute delle banche italiane, soprattutto in riferimento al problema dei crediti deteriorati.
A tal proposito il ministro dell’economia Roberto Gualtieri ha detto addirittura che i crediti deteriorati non sono più un rischio, mentre il governatore ha posto l’accento sul miglioramento della qualità degli attivi:
“Nel primo semestre di quest’anno l’incidenza dei crediti deteriorati al netto delle rettifiche di valore sul totale dei prestiti è scesa dal 4,3 al 4,0 per cento per il complesso del sistema; era del 9,8 alla fine del 2015. Secondo i piani di riduzione presentati dalle banche, sia quelle significative sia le minori, dovrebbe ridursi ancora, intorno al 3 per cento, alla fine del 2021”.
Attenzione tuttavia all’effetto che la fase attuale di rallentamento dell’economia potrebbe avere sulla stessa dinamica di riduzione degli NPL:
“In prospettiva, tuttavia – ha avvertito Ignazio Visco – la dinamica dei prestiti deteriorati potrebbe risentire del protrarsi dell’attuale fase di debolezza ciclica. L’azione di rafforzamento dei bilanci deve quindi proseguire in modo ordinato ma risoluto, in particolare per gli intermediari di minore dimensione, che rispetto ai gruppi significativi presentano incidenze dei crediti deteriorati più elevate e tassi di copertura più contenuti”.
Detto questo, ha continuato il banchiere, “i progressi nella qualità degli attivi bancari hanno beneficiato dello sviluppo del mercato dei crediti deteriorati: nel triennio 2016-18 l’ammontare delle cessioni è stato pari, al lordo delle rettifiche, a oltre 120 miliardi; quest’anno sono state concluse vendite per circa 20 miliardi. Vi hanno contribuito non solo la possibilità di ricorrere alla garanzia pubblica sulla cartolarizzazione di sofferenze (GACS), rinnovata a marzo di quest’anno, ma anche i primi frutti delle riforme volte a ridurre i tempi delle procedure di recupero, la cui lunghezza disincentiva gli investitori e incide sui prezzi delle cessioni. Il tempo atteso necessario per la vendita degli immobili oggetto di procedura è sceso da oltre tre a circa due anni. È diminuita anche la durata attesa del complesso delle operazioni precedenti la vendita, seppure di soli tre mesi, a poco più di due anni. Ci sono margini per ulteriori riduzioni, anche attraverso la diffusione delle buone prassi organizzative promosse dal Consiglio Superiore della Magistratura, i cui effetti già si osservano in alcune aree del Paese”.
Dal canto suo, Patuelli ha parlato di miracoli compiuti dal settore bancario italiano, sempre in riferimento al processo di smantellamento dei crediti deteriorati. Ora sempre le banche “devono fare miracoli” su redditività e rafforzamenti patrimoniali.
“Con tassi infimi e passivi, le banche debbono ricalibrare il rischio, il cui costo non può essere sproporzionato rispetto ai tassi. Le banche debbono fare miracoli per ottenere una redditività adeguata e rafforzare i patrimoni. Hanno dovuto fare miracoli per i salvataggi delle banche concorrenti, che dal 2015 sono costati ben 12,4 miliardi di euro”. E “le banche in Italia hanno fatto miracoli anche nella riduzione dei costi della crisi: le sofferenze nette sono passate da 88 miliardi del 2015 ai 32 miliardi di agosto 2019″.