Banche italiane, economista Paolo Manasse: problema non è il bail-in. Difficoltà MPS note da anni
Nella caccia alle streghe ormai di moda che si fa puntualmente per individuare il peccato originale delle banche italiane, la preda più probabile è il bail-in, ovvero il meccanismo secondo cui, nel caso in cui una banca rischia il fallimento, devono essere gli azionisti, i detentori di obbligazioni subordinate e i correntisti che hanno depositato più di 100.000 euro ad accollarsi le perdite.
Dunque, non più tutti i contribuenti – come era nel caso del bail-out – ma solo determinate categorie di risparmiatori. Nel rimpiangere il bail-out, dunque il periodo in cui era lo Stato (ergo i cittadini) a salvare gli istituti di credito, in alcuni articoli critici verso l’Ue e la Germania si mette in evidenza come l’Italia sia rimasta svantaggiata con il bail-in, e si ricorda come diversi grandi colossi bancari europei versino ora in condizioni migliori, in quanto salvati in passato con i soldi pubblici.
Ma il fatto che l’Italia, quando era possibile, non si sia data da fare per salvare le sue banche, è davvero motivo di vanto? O è stato proprio il suo mancato intervento il vero peccato orginale?
La domanda viene spontanea nel leggere l’intervista del sito TheCorner.ue a Paolo Manasse, professore di macroeconomia e politica internazionale presso l’Università di Bologna, ex consulente dell’Ocse, della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e della International Development Bank. Manasse sottolinea chiaramente che il vero problema, per gli istituti italiani, non è il bail-in quanto, piuttosto, la supervisione. In che senso?
Mentre Daniele Nouy, responsabile Bce della supervisione delle banche dell’Eurozona, afferma che MPS è solvibile ed è finalmente vicina alla fase finale delle trattative con le autorità europee – in merito al piano di ricapitalizzazione precauzionale- Manasse ricorda che i problemi dell’istituto senese non si sono sicuramente palesati dall’oggi dal domani. Tutt’altro:
“Prima che la legge venisse cambiata (e venisse introdotto il bail-in), (le banche) avevano l’obbligo di dare comunicazione dei bond che comportavano rischi”. Le cose sono poi cambiate, “questo avvertimento è stato rimosso e le autorità non hanno più obbligato (gli istituti) a comunicare” i vari warning.
Il caso Mps? Manasse ricorda che tutti sapevano che MPS utilizzava parte dei soldi per investire in asset rischiosi.
“E’ stato questo il motivo per cui tanti piccoli investitori e imprenditori sono finiti con l’acquistare i junk bond (ovvero i bond spazzatura)”.
Poi c’è stato il periodo in cui l’Italia era sull’orlo del default: gli anni 2011 e nel 2012, in cui “il premio sul rischio Italia si attestava attorno ai 500 punti base. Vivevamo in un contesto di massima incertezza e la gente parlava di balcanizzazione del sistema bancario. Le altre banche europee non erano pronte ad acquistare i bond dalla banca italiana (…)”. Poi, sottolinea l’economisa, è arrivata la Bce, che ha aiutato (con l’acquisto di titoli di Stato), “ma ciò non è avvenuto nel corso di una notte”.
Nel mentre “le banche italiane iniziarono a piazzare quei bond che non potevano essere venduti sul mercato presso i loro correntisti e, per risolvere i loro problemi di liquidità, ricevettero deliberatamente aiuto dai supervisori italiani, che abbassarono i requisiti richiesti”.
Il risultato è che ora “l’imposizione delle leggi europee (bail-in) su un sistema del genere (quello italiano, caratterizzato da lacune nella supervisione) crea un problema in quanto, invece di penalizzare gli investitori che hanno puntato sul rischio o gli hedge fund, alla fine distrugge i piccoli investitori. La questione dunque è come rendere esecutiva quella che è una direttiva ragionevole in un sistema che non funziona, a causa della debole supervisione”.
E all’osservazione della giornalista, che gli fa notare come proprio “Danièle Nouy, presidente del Supervisory Board della Bce, abbia imbarazzato il governo italiano, affermando che negli ultimi tre anni ha fatto molto poco per ridurre i default del settore bancario”, Manasse risponde:
“Beh, temo che abbia ragione. Se si paragona quanto ha fatto l’Italia con quello che hanno fatto altri paesi come la Spagna e il Portogallo…risulta che è vero che non abbiamo fatto molto. La situazione in cui versava Mps era nota da molti anni. Ma per ragioni elettorali il governo di Renzi non ha preso nessuna decisione significativa, fino a quando non è esploso tutto. C’è stato molto interesse sui social network riguardo alle interviste in cui Renzi, quando era primo ministro, diceva che acquistare azioni Mps fosse una buona mossa. Io credo che in altri paesi i governi si siano assunti le loro responsabilità, decidendo di nazionalizzare le banche in difficoltà. E’ vero (nel caso dell’Italia) che ora la legge (del bail-in) rende la situazione molto più difficile, visto che è più complicato avviare procedimenti di ricapitalizzazione. Ma è anche vero che ciò (quindi ricapitalizzare le banche) si sarebbe potuto fare prima. Manasse non nasconde la propria preoccupazione riguardo al nodo dei crediti deteriorati, che ammonta a 360 miliardi di euro, un quarto del Pil italiano. E – aggiunge: “anche la composizione dei loro prestiti è molto preoccupante. In modo approssimativo, un terzo di tutti i bond junior di Mps e di altre piccole banche sono nelle mani dei piccoli investitori. Che vedrebbero andare tutti in fumo i loro risparmi”.