Azionario Cina preda dei sell. Non solo sindrome ‘Moutai’, si teme il peggio per questi bond
Niente da fare: sessione negativa anche oggi per l’azionario cinese, sempre più nel radar di trader e investitori di tutto il mondo. In particolare, l’indice delle blue chip CSI 300 ha perso l’1,3%, dopo il -6,8% archiviato nelle ultime tre sedute della scorsa settimana.
A preoccupare gli investitori è stato anche, così come nelle contrattazioni dello scorso 23 novembre, il mancato intervento sui mercati da parte della Banca centrale cinese, la People’s Bank of China, che non si è fatta avanti con quelle iniezioni di liquidità salvifiche che hanno spesso caratterizzato il suo raggio di azione.
Nel commentare il trend dell’indice CSI 300, intervistato da Bloomberg, Shao Rui, analista presso Shanghai Securities, ha fatto notare che “il calo è continuato, visto che le blue chip hanno riportato guadagni significativi nel corso di quest’anno”. Ma è vero anche che “le condizioni più rigide di liquidità hanno portato gli investitori istituzionali a fare lock-in sui profitti”.
Un altro analista, Shen Zhengyang di Northeast Securities, con sede a Shanghai, ha motivato il trend sottolineando che “gli investitori istituzionali stanno optando per le prese di profitto, in vista della fine dell’anno, e in un momento in cui le valutazioni viaggiano ai massimi storici”. Zhengyang ha comunque parlato, anche, di “deterioramento del sentiment di mercato dopo che gli organi di informazione statali hanno preso di mira Moutai“.
Moutai è il nome della società cinese produttrice di liquori numero uno in Cina, che è stata tartassata dalle vendite, con $16 miliardi bruciati nell’arco di poche sedute, dopo la critica al rally del titolo avanzata dall’ agenzia di stampa statale Xinhua News. Lo Shanghai Stock Exchange ha addirittura rimproverato una società di brokeraggio per aver fissato un target price sul titolo troppo aggressivo.
Si può parlare di sindrome Moutai esplosa in Cina? Forse farlo sarebbe azzardato, ma gli investitori sono stupiti sia dal fatto che da Pechino sia arrivato, di fatto, uno stop al rally di un titolo, che dai mancati interventi della People’s Bank of China sui mercati.
A rendere il quadro più preoccupante è la tensione che si respira sempre più sul mercato dei bond. Tensione che si riflette a pieno nel mercato interbancario di Hong Kong, dove l’HIBOR HKD a 1 mese ha testato un balzo posizionandosi al record dal dicembre del 2008.
Desta non pochi timori anche il mercato dei corporate bond locali, che si apprestano a concludere novembre soffrendo la performance peggiore in due anni.
E tra l’altro, secondo un noto gestore di fondi in Cina, Zhang Qinghua (gestore degli investimenti del fondo attivo nel mercato del reddito fisso E Fund Management Co) il peggio non sarebbe ancora arrivato.
Con il presidente cinese Xi Jinping che sta facendo il possibile per tagliare il peso dei debiti che gravano sulle aziende sotto forma di obbligazioni corporate, la preoccupazione è che il governo sia pronto ad annunciare ulteriori misure per ridurre il leverage.
Tale fattore sta spingendo al rialzo i tassi sui mercati monetari, infiammando nello specifico lo spread tra i tassi dei bond corporate a tre anni e quelli dei bond sovrani.
Il differenziale tra i rendimenti dei corporate bond a tre anni con rating AAA e quelli dei titoli sovrani è salito solo questo mese di 30 punti base a 147,5 punti base, riportando l’incremento più sostenuto dal marzo del 2015.