Azionario Cina: dopo la falsa partenza non è ancora il momento di tornare aggressivi

Partire con il piede sbagliato può pregiudicare un intero percorso. La Borsa cinese ha fatto il primo passo nel 2016 in modo disastroso. Altri fattori di volatilità si faranno sentire, soprattutto nella prima metà dell’anno. Ecco perché gli analisti di Goldman Sachs ritengono ancora prematuro tornare aggressivi sull’azionario della Repubblica popolare
Nella prima seduta del nuovo anno l’indice cinese Csi300 ha immediatamente messo alla prova il nuovo meccanismo di protezione contro l’eccessiva volatilità. Il circuit breaker sospende le quotazioni per 15 minuti in caso di variazioni dell’indice superiori o inferiori al 5% rispetto alla chiusura del giorno precedente. Se poi la variazione cresce al 7%, la sospensione si estende a tutta la seduta. È quello che è accaduto ieri quando mancavano circa 90 minuti al termine delle contrattazioni. Per i singoli titoli quotati, invece, rimane il limite di variazione a +/- 10%.
Al di là della spiegazione sul funzionamento del circuit breaker un recente report di Goldman Sachs Research mette in evidenza altri possibili fattori di volatilità. In primo luogo la fine del divieto di vendere titoli per i grandi azionisti, ossia per chi detiene più del 5% del capitale di una società. Il provvedimento, adottato l’8 luglio per fronteggiare il crollo del mercato azionario, scadrà l’8 gennaio. Sempreché non intervengano nuovi provvedimenti da parte dell’Autorità di regolamentazione dei mercati cinese (Csrc) che sta lavorando su questo fronte nonché sulla messa a punto del meccanismo del circuit breaker.
Ma cosa accadrebbe se il bando sulle vendite non venisse rinnovato? Secondo gli analisti di Goldman Sachs i grandi azionisti “rappresentano il 5,8% delle azioni di categoria A in circolazione sul mercato e potrebbero essere incentivati a vendere dopo il recupero del mercato effettuato dai minimi di luglio (+13%)”. Le vendite sarebbero in ogni caso limitate rispetto a luglio.
C’è un altro fattore in grado di generare problemi di liquidità al mercato cinese nel primo trimestre del 2016: la ripresa delle Ipo (Initial public offering). L’ammissione alla quotazione è stata riaperta a inizio novembre e da allora 28 società hanno esordito in Borsa. Sono oltre 600 le società in attesa. “Crediamo – spiegano gli analisti di GS – che i regolatori del mercato gestiranno le richieste in base alle condizioni di mercato per evitare i rischi di riduzione della liquidità sul mercato. Qualche preoccupazione in più potrebbe destarla la conferma della riforma delle Ipo a partire dall’1 marzo. I dettagli di questa riforma non sono ancora disponibili”. Secondo le stime di Goldman Sachs circa 1.200 miliardi di renmimbi in azioni di categoria A potrebbero approdare al mercato quest’anno. Un incremento del 20% rispetto al 2015.
Nel corso del 2016, poi, gli analisti invitano a tenere conto dell’inaugurazione del piano quinquennale, dell’implementazione del Shenzen-Hong Kong Connect, del dibattito sull’ingresso delle azioni cinesi negli indici Msci nonché della campagna anticorruzione in corso. Tutti elementi che “potrebbero avere forti implicazioni di macroeconomia, investimento e trading”.
Nel complesso “crediamo che sia troppo presto per tornare aggressivi sull’azionario cinese. Anche se i nostri obiettivi per fine 2016 stimano ritorni del 13% e del 15% (calcolati a partire da metà dicembre), rispettivamente per l’indice Msci China e Csi300, gli ostacoli sia sul fronte macro che su quello della liquidità ci spingono a essere prudenti”.