Abi: Patuelli, su banche italiane caricati troppi oneri. Presto per ridurre imposte su banche

"Sulle banche in Italia sono caricati troppi oneri di ogni genere, innanzi tutto di legalità, poichè le banche sono in prima fila nella lotta contro i reati, a cominciare dal riciclaggio". Così il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, nel corso dell'assemblea dell'associazione, secondo cui, nonostante l'elevatissimo contribuito che apportano al fisco, le banche sono spesso oggetto di critiche preconcette e frutto anche di uno spirito anticapitalista di ritorno in tempi di crisi.
"Le banche - fa notare Patuelli - prestano più di quanto raccolgono, con tassi fortemente influenzati dallo spread dei titoli pubblici, dai rischi dei crediti e dagli oneri fiscali. Tra il 2000 e il 2012 il rapporto tra impieghi e Pil è cresciuto dal 77% al 125% e a maggio 2011, immediatamente prima della crisi dei debiti sovrani, i prestiti in Italia crescevano a tassi annui superiori al 6%". il numero uno dell'Abi ha spiegato che "con forte senso di responsabilità ci rendiamo conto che non è maturo il momento della complessiva riduzione delle imposte sulle banche, anche se segnaliamo con forza che il comparto bancario e finanziario in genere è oberato da imposte deliberate soprattutto negli anni precedenti alla crisi e che sono oggi del tutto sproporzionate, anche confrontate agli altri principali paesi europei, e rappresentano, con il forte costo del rischio di credito di questi anni, il principale freno per aumentare i prestiti".
"Se un prestito - ha osservato Patuelli - si trasforma in perdita, le banche non possono fiscalmente caricare sul bilancio in cui si verifica la perdita, se non per uno 0,3% ma in ben 18 annualità, una durata economicamente quasi eterna che scoraggia i prestiti soprattutto in tempi di crisi".
"Chiediamo con forza che si trovino le soluzioni tecniche, che innanzi tutto per i nuovi prestiti - ha sottolineato - dispongano l'integrale deducibilità fiscale delle perdite, consueguenti ai nuovi prestiti nell'anno in cui fossero evidenziate nel bilancio civilistico''. Bisogna fare ''tutti gli sforzi per spezzare la spirale negativa e occorre al piu' presto ricreare un circuito di fiducia riducendo il costo del rischio - ha concluso - con vantaggi per imprese, famiglie e banche e senza penalizzare il fisco che non si avvantaggia di un'economia statica a recessiva".
"Le banche - fa notare Patuelli - prestano più di quanto raccolgono, con tassi fortemente influenzati dallo spread dei titoli pubblici, dai rischi dei crediti e dagli oneri fiscali. Tra il 2000 e il 2012 il rapporto tra impieghi e Pil è cresciuto dal 77% al 125% e a maggio 2011, immediatamente prima della crisi dei debiti sovrani, i prestiti in Italia crescevano a tassi annui superiori al 6%". il numero uno dell'Abi ha spiegato che "con forte senso di responsabilità ci rendiamo conto che non è maturo il momento della complessiva riduzione delle imposte sulle banche, anche se segnaliamo con forza che il comparto bancario e finanziario in genere è oberato da imposte deliberate soprattutto negli anni precedenti alla crisi e che sono oggi del tutto sproporzionate, anche confrontate agli altri principali paesi europei, e rappresentano, con il forte costo del rischio di credito di questi anni, il principale freno per aumentare i prestiti".
"Se un prestito - ha osservato Patuelli - si trasforma in perdita, le banche non possono fiscalmente caricare sul bilancio in cui si verifica la perdita, se non per uno 0,3% ma in ben 18 annualità, una durata economicamente quasi eterna che scoraggia i prestiti soprattutto in tempi di crisi".
"Chiediamo con forza che si trovino le soluzioni tecniche, che innanzi tutto per i nuovi prestiti - ha sottolineato - dispongano l'integrale deducibilità fiscale delle perdite, consueguenti ai nuovi prestiti nell'anno in cui fossero evidenziate nel bilancio civilistico''. Bisogna fare ''tutti gli sforzi per spezzare la spirale negativa e occorre al piu' presto ricreare un circuito di fiducia riducendo il costo del rischio - ha concluso - con vantaggi per imprese, famiglie e banche e senza penalizzare il fisco che non si avvantaggia di un'economia statica a recessiva".