BRI, numero uno Carstens: ‘rischio tempesta perfetta con guerra commerciale, da protezionismo solo dolori’
Lui è Agustin Carstens, numero uno della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI, o BSI (Bank of International Settlements) e, in occasione del Simposio di Jackson Hole, ha lanciato un chiaro allarme. Carstens ha paventato conseguenze negative della guerra commerciale per tutti: “Nel lungo termine – ha detto – il protezionismo porterà non guadagni ma solo dolori (not gain but only pain”), e “non solo per gli Stati Uniti, ma per tutti noi”.
In che modo, esattamente? L’ex governatore della banca centrale del Messico ha spiegato che i dazi doganali più alti imposti con la guerra commerciale potrebbero aumentare le pressioni inflazionistiche Usa, costringendo così la Fed ad alzare ulteriormente i tassi.
La conseguenza sarebbe il balzo del dollaro, con effetti negativi che colpirebbero sia le aziende esportatrici Usa che i mercati emergenti.
Non solo: il protezionismo rischia “di turbare i mercati finanziari e frenare le spese in conto capitale, con gli investitori che si spaventano e le condizioni finanziarie che si irrigidiscono”.
Il finale che aspetta mercati ed economie, con questi presupposti, non può essere diverso da quello prospettato da Carstens:
“Questi rischi reali e di natura finanziaria potrebbero amplificarsi, creando una tempesta perfetta, facendo pagare un prezzo ancora più alto”, ha detto l’ex banchiere centrale del Messico secondo cui.
Altro avvertimento: nell’abbandonare la logica della globalizzazione e nel perseguire interessi settoriali e nazionali, altre conseguenze potrebbero essere “il rialzo dei prezzi, la crescita della disoccupazione e una espansione economica sempre più azzoppata”.
Che fare, dunque?
Così il numero uno di quella che viene considerata banca delle banche centrali in un contesto in cui, fa notare, l‘immenso stock di dollari presi a prestito dal settore non bancario al di fuori degli Stati Uniti si aggira sugli $11,5 trilioni:
“Le autorità delle economie avanzate non dovrebbero ignorare le prove crescenti del fatto che deprezzamenti improvvisi dei tassi di cambio riducono gli investimenti e la crescita economica delle economie dei paesi emergenti. Ciò ha implicazioni per tutti, visto che l’attività economica più debole riduce la domanda di beni da parte delle economie avanzate”. Dunque, no alla guerra commerciale, tanto meno se è combattuta con l’arma della guerra valutaria.