Notizie Notizie Italia 2006: fuga dai fondi comuni italiani

2006: fuga dai fondi comuni italiani

12 Marzo 2007 07:50

L’Italia a livello di Grecia e Turchia e al di sotto di tutte le altre nazioni europee, Repubbliche dell’Est comprese. E’ il quadro 2006 dell’industria del risparmio gestito nel nostro Paese, una quadro disastroso che ha visto una fuoriuscita complessiva di 17,87 miliardi di euro netti, con un esordio nel 2007 altrettanto deludente: oltre 9 miliardi di euro di “fuga” già accumulati nei primi due mesi dell’anno. Sono poche le categorie di fondi d’investimento che sono riuscite a evitare il segno meno nel corso dell’anno passato. Tra queste gli hedge fund che, secondo i dati Assogestioni hanno visto la raccolta crescere di 6,15 miliardi di euro, e i flessibili, +21,3 miliardi mentre le altre categorie del risparmio gestito hanno subito un vero e proprio bagno di sangue. I fondi azionari, mai sufficientemente amati dagli italiani che non hanno saputo così sfruttare il periodo di crescita delle borse internazionali che ha caratterizzato gli anni dal 2003, hanno registrato una fuoriuscita complessiva di 8,13 miliardi di euro, i fondi di liquidità hanno visto la raccolta netta finire in nagativo per 7,38 miliardi mentre gli obbligazionari hanno segnato il dato peggiore, -28,5 miliardi di euro. Una vera e propria fuga, quest’ultima, da una categoria che è sempre apparsa tra le preferite nelle scelte di investimento del risparmiatore italiano pur avendolo negli ultimi quattro anni premiato con un misero rendimento medio dell’1,9% mentre le piazze azionarie crescevano a rtmi ben superiori.


La paura di rischiare sarebbe proprio una delle cause della difficoltà del risparmiatore italiano nel gestire bene i propri soldi. I dati forniti dall’Associazione dei gestori europei (Efama) evidenziano una quota di fondi azionari nel portafoglio dei risparmiatori italiani al 21,2% contro il 32% circa della Francia, il quasi 40% della Spagna, il 47,7% della Germania fino ad arrivare al 69% della Svezia passando per il Regno Unito (66,5%). Il disamore per i fondi comuni discende direttamente da questa sfiducia verso i listini azionari, accresciuto dal disincanto subito dopo lo scoppio della bolla internet di inizio millennio. Anche allora il risparmiatore italiano fu uno degli ultimi ad avvicinarsi all’investimento nel boom dell’azionario tecnologico ma anche l’ultimo a rimanere con il cerino in mano quando la festa era finita. Bruciato da quell’esperienza e rifugiatosi nei fondi obbligazionari, il piccolo investitore ha perso le opportunità offerte in questi anni dalla Borsa e solo nell’ultimo periodo, proprio nel momento in cui la prudenza sta crescendo tra gli operatori professionali, si è riavvicinato a Piazza Affari. Non lo ha fatto però o lo ha fatto solo in misura ridotta, atttraverso l’investimenti in fondi comuni.


Un’ulteriore fondamentale causa della fuga dall’industria del risparmio gestito, mette in evidenza Assogestioni, è lo spostamento verso i certificati di investimento, indicati da Assogestioni come prodotti meno trasparenti e fonte di commissioni maggiori e meno visibili al piccolo investitore. Le banche starebbero spingendo in particolar modo quest’ultima tipologia di prodotti in quanto più redditizi mentre l’investitore li preferirebbe ai fondi comuni d’investimento in quanto trattasi spesso di prodotti che non richiedono un controllo continuo dell’andamento della performance.