Il rendimento dei titoli obbligazionari

Dopo avere evidenziato nel capitolo precedente le caratteristiche principali dei titoli obbligazionari e le loro diverse categorie, passiamo ora a spiegare quali sono i principali fattori che ne determinano il rendimento. Come per ogni altra attività finanziaria, il rendimento di un titolo obbligazionario dipende dal prezzo di acquisto e di vendita e dai flussi di cassa (in questo caso le cedole) che sono pagati nel corso del periodo in cui il titolo obbligazionario è tenuto in portafoglio. I flussi cedolari sono stabiliti a livello contrattuale nel momento dell’emissione del titolo obbligazionario, mentre il prezzo di acquisto e di vendita sono determinati dal mercato, salvo il caso in cui il titolo sia tenuto fino alla scadenza fi nale. In quest’ultimo caso anche il prezzo di vendita è stabilito in precedenza e corrisponde al “par value”. Nel caso in cui l’investitore decidesse di vendere il titolo prima della sua naturale scadenza, invece, anche il prezzo di vendita sarebbe determinato dalle forze di mercato sulla base dell’andamento dei tassi di interesse nel corso del periodo di riferimento. Come regola generale, un ribasso dei tassi di interesse dovrebbe portare ad un incremento del valore del titolo mentre un rialzo ne favorirebbe un ribasso. Per calcolare il rendimento atteso da un titolo obbligazionario al momento del suo acquisto si usano il prezzo di mercato corrente e i fl ussi cedolari attesi nel corso del periodo di riferimento. Si tratta del cosiddetto rendimento effettivo lordo alla scadenza (yield to maturity).

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Perché l’investitore ottenga effettivamente il rendimento effettivo lordo calcolato in questo modo è però necessario che si realizzino tre condizioni.



  1. il titolo sia tenuto sino alla sua scadenza naturale;



  2. le cedole siano completamente reinvestite allo stesso tasso del rendimento effettivo;



  3. l’emittente rispetti la scadenza del pagamento sia delle cedole sia del capitale.


1 – Salvo il caso in cui l’emittente del titolo obbligazionario abbia incluso al momento della sua emissione una clausola di rimborso anticipato al verifi carsi di determinate condizioni, la scelta di vendere un titolo prima della sua naturale scadenza spetta unicamente all’investitore. In quel caso il rendimento effettivo alla scadenza dipenderà non solo dalle cedole ricevute sino a quel momento ma anche dalla differenza tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di vendita. I due, infatti, potrebbero essere differenti a causa di variazioni dei tassi di interesse di mercato, che sono soliti cambiare al mutare delle condizioni di mercato (es. crescita economica, inflazione, politica monetaria). In questo caso il rendimento effettivo realizzato dal titolo può essere diverso da quello inizialmente previsto.

2 – Il reinvestimento delle cedole allo stesso tasso del rendimento effettivo è una condizione necessaria affinché il rendimento effettivo lordo calcolato ex-ante si verifi chi, ma è veramente difficile da ottenere. In primo luogo, infatti, il completo reinvestimento delle cedole è complicato dalla presenza di imposte e costi di transazione (ad esempio commissioni applicate dagli intermediari) che lo rendono arduo, soprattutto per gli investitori privati. In secondo luogo, i tassi di interesse di mercato possono variare da un giorno all’altro, rendendo impossibile reinvestire ad un tasso costante. Nel caso in cui gli investitori detengano il titolo fino alla sua scadenza, realizzeranno un rendimento superiore a quello effettivo qualora le cedole siano reinvestite ad un tasso superiore ma un rendimento inferiore qualora siano investite ad un tasso inferiore. Invece, nel caso in cui l’investitore decidesse di vendere il titolo prima della sua scadenza, l’effetto di un rialzo dei tassi di mercato è più incerto, considerando che un incremento dei tassi di mercato aumenterà gli interessi derivanti dal reinvestimento delle cedole ma diminuirà il valore del titolo.

3 – Il rischio di insolvenza dell’emittente riguarda la possibilità che il pagamento delle cedole o il rimborso del capitale non avvenga nei termini prestabiliti a causa di difficoltà finanziarie dell’emittente. In questo caso il rendimento effettivo sarà inferiore al rendimento atteso.

I fattori che determinano il rendimento

Nel paragrafo precedente abbiamo evidenziato come l’investitore possa calcolare il rendimento effettivo lordo alla scadenza atteso al momento dell’acquisto del titolo e come il rendimento effettivamente realizzato possa discostarsi da quello atteso al mancato verifi carsi di determinate condizioni.

Passeremo ora ad evidenziare in che modo gli investitori determinano il giusto rendimento effettivo lordo atteso in termini di tassi di interesse al momento dell’acquisto del titolo. Come si può vedere dal grafico in pagina i rendimenti dei titoli obbligazionari possono variare in maniera notevole nel corso degli anni.

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Prendendo come campione l’andamento dei titoli Governativi a 10 anni in USA, Germania e Italia si vede chiaramente come questi siano scesi in maniera decisa nel corso degli ultimi anni. Ad esempio il titolo italiano ha toccato un massimo del 13,5% nel 1995 prima di iniziare un trend al ribasso che lo ha portato a quotare ai giorni nostri circa il 4%.  Per investire sul mercato obbligazionario è fondamentale capire quali forze determino i movimenti dei tassi di interesse. Come regola generale il livello dei tassi di interesse (i) può essere determinato con l’utilizzo di questa semplice formula:

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Il tasso di interesse reale privo di rischio è il costo opportunità necessario per spingere gli individui a rimandare i consumi che si sarebbero potuti effettuare oggi ad una data futura ed investire in un titolo obbligazionario. Come regola generale tale tasso è identificato con il tasso di crescita reale dell’economia ma può discostarsi da tale valore nel breve periodo a causa delle condizioni sul mercato dei capitali. Il tasso di inflazione atteso riflette le aspettative sull’andamento dei prezzi al consumo nel periodo di durata del titolo obbligazionario ed è una delle principali determinanti del diverso livello dei tassi di interesse tra emittenti appartenenti a paesi diversi. La somma del tasso di interesse reale privo di rischio e del tasso di inflazione atteso costituisce il tasso di interesse nominale privo di rischio. I mercati internazionali solitamente considerano il tasso sui T-Bill (il tasso di interesse nominale a 3 mesi sui titoli emessi dal Governo statunitense) quale tasso privo di rischio. Il tasso di interesse di uno specifico bond, oltre che dall’andamento del tasso di interesse nominale privo di rischio, dipende dalle caratteristiche uniche del bond, che ne influenzano il premio al rischio. Il premio al rischio va aggiunto al tasso nominale privo di rischio. Quindi, mentre i fattori economici che determinano il tasso di interesse nominale privo di rischio influenzano tutti i titoli obbligazionari presenti sul mercato, le caratteristiche individuali dei singoli titoli, settori o paesi fanno si che i vari titoli presentino premi al rischio e, di conseguenza, rendimenti diversi. Il premio al rischio riconosciuto ai titoli obbligazionari è determinato da quattro fattori:



  1. la struttura a termine dei tassi di interesse;



  2. il rischio di insolvenza;



  3. la liquidità;



  4. il trattamento fiscale.


Struttura a termine dei tassi di interesse

La struttura a termine dei tassi di interesse (o curva dei rendimenti come è più comunemente chiamata) mette a confronto in un determinato periodo temporale i tassi di interesse di titoli obbligazionari che sono comparabili in tutti gli aspetti tranne la scadenza. I rendimenti degli strumenti sono disegnati su un grafico come quello riportato sotto riferito ai titoli governativi statunitensi al 30 giugno 2010, e sono uniti tra loro a formare appunto la “curva dei rendimenti”. Sebbene le curve dei rendimenti più famose siano riferite ai titoli di Stato, è possibile costruire curve dei rendimenti anche di titoli di agenzie governative, di singoli emittenti ad esempio General Electric), di singoli settori (utilities, industriali, telecom, ecc) o di rating. La forma della curva dei rendimenti può cambiare in maniera molto marcata nel corso di diversi periodi temporali. In primo luogo perché può variare il livello dei tassi di interesse. Ad esempio il livello generale dei tassi di interesse statunitensi era molto più elevato ad inizio degli anni ’80 (12,75% a marzo del 1980), quando l’inflazione era elevata (14,6%), rispetto al 2000 (6,6% a gennaio 2000). A sua volta i tassi ad inizio millennio erano decisamente superiori agli attuali (2,9%) grazie ad una crescita economica decisamente maggiore dell’attuale e all’adozione da parte della Fed di una politica monetaria restrittiva per contenere il possibile nascere di pressioni infl azionistiche. In secondo luogo la forma della curva può variare sulla base dell’andamento dei tassi di interesse in diversi periodi temporali. La curva dei rendimenti può così assumere tre diverse conformazioni, in linea con quanto evidenziato nel grafico seguente:



  1. Curva dei rendimenti al rialzo: è la forma più classica ed è caratterizzata da tassi che crescono man mano che la scadenza del titolo si allunga. Ad esempio, lo scorso 30 giugno in Usa il titolo governativo a 3 mesi rendeva lo 0,28%, il titolo a 2 anni lo 0,58%, quello a 5 anni l’1,79% ed il decennale il 2,97%;



  2. Curva dei rendimenti al ribasso: si verifica quando i tassi di interesse a lungo periodo sono più bassi di quelli a breve termine per le attese di un rallentamento dell’economia o delle pressioni inflazionistiche che possano portare in un futuro non molto distante ad un taglio dei tassi da parte della banca centrale. Un classico esempio è l’andamento della curva dei rendimenti a inizio 1980;



  3. Curva dei rendimenti piatta: è caratterizzata da rendimenti simili lungo tutte le scadenze (2001).


A questo punto diventa importante capire perché la curva dei rendimenti può assumere forme diverse.

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Le teorie che cercano di spiegare questo fenomeno sono tre. La prima è definita ipotesi delle aspettative, la seconda ipotesi della preferenza della liquidità e la terza ipotesi della segmentazione del mercato. Prima di procedere nella spiegazione delle tre ipotesi è però necessario introdurre i concetti base di tassi a pronti (spot rates) e tassi a termine (forward rates) che non sono solo una parte integrante della struttura a termine ma sono anche importanti nella valutazione dei bond. Un tasso a pronti (spot) è definito come il tasso di sconto per un flusso di cassa ad una specifica scadenza. Ad esempio, un titolo di stato a 3 mesi ha un tasso a pronti che identifi ca il rendimento che il possessore dei titoli otterrà nell’arco temporale prestabilito. Il tasso di sconto per un periodo di tempo futuro è, invece, chiamato tasso a termine o tasso forward. Un esempio può chiarire meglio quest’ultimo concetto. Consideriamo il caso di un investitore che abbia un orizzonte temporale di un anno e che possa scegliere tra due diverse opzioni:



  1. Investire in un titolo governativo a un anno;



  2. Investire in un titolo governativo a sei mesi e alla sua scadenza investire in un altro titolo a sei mesi.


La scelta tra le due alternative per l’investitore è indifferente fi ntanto che il rendimento nel corso dell’anno è identico. Partendo dal presupposto che l’investitore conosca sia l’attuale rendimento a sei mesi sia quello a un anno, l’investitore può determinare il tasso di interesse atteso a sei mesi disponibile tra sei mesi. Questo sarà chiamato il tasso forward e renderà indifferente la scelta tra le due alternative. Questo concetto è fondamentale per capire la teoria delle aspettative e sarà approfondito in maniera più dettagliata in seguito. Possiamo ora passare ad analizzare le tre diverse teorie che spiegano l’andamento della curva dei rendimenti.

Teoria delle aspettative

La teoria delle aspettative presuppone che le varie scadenze siano sostitute perfette e suggerisce che la forma della curva dei rendimenti dipende dalle aspettative dei partecipanti al mercato sull’andamento dei tassi di interesse futuri. Più in generale, i tassi su uno strumento a lungo termine sono pari alla media geometrica dei rendimenti su una serie di strumenti a breve termine. Questa teoria spiega perfettamente l’osservazione che i rendimenti di solito si muovono insieme. Sotto queste condizioni, il tasso di interesse di lungo periodo è il tasso che l’investitore in un’obbligazione di lungo periodo può attendersi di ottenere attraverso l’investimento successivo in una serie di titoli obbligazionari a breve termine nel periodo fi no alla maturazione dell’obbligazione di lungo termine. La teoria delle aspettative sostiene che, ad esempio, per l’investitore dovrebbe essere indifferente investire in un titolo a 2 anni oppure investire in un titolo a 1 anno e alla sua scadenza in un nuovo titolo a 1 anno. In termini matematici tale relazione può essere formulata nel seguente modo:

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Un’assunzione pratica dell’equazione precedente è che è possibile usare una media aritmetica dei tassi di interesse ad 1 anno per generare i tassi di interesse a lungo termine. Incorporando le attese degli investitori, sulla base della teoria delle aspettative, una curva dei rendimenti inclinata verso l’alto implica che gli investitori si attendono un rialzo dei tassi nel futuro, mentre una curva dei rendimenti inclinata verso il basso implica attese di un calo dei tassi in futuro. Infi ne una curva piatta indicherebbe attese per tassi invariati.

Teoria della preferenza per la liquidità

La teoria della preferenza per la liquidità afferma che le obbligazioni di lungo termine devono offrire un rendimento maggiore di quelle a breve termine perché gli investitori sono disposti a sacrificare una parte del rendimento ed investire in tassi a breve per evitare la maggiore volatilità dei prezzi dei titoli con scadenze più lunghe. Un altro modo per interpretare la teoria della preferenza per la liquidità è che chi presta denaro preferisce farlo a breve termine per ridurre, tra l’altro, il rischio di insolvenza e che per invogliare gli investitori a prestare a più lungo termine è necessario offrire rendimenti maggiori. Quindi, sulla base di questa teoria la curva dei rendimenti dovrebbe essere sempre inclinata verso l’alto e ogni altra forma della curva dovrebbe durare per un periodo di tempo limitato. In un certo senso la teoria della preferenza per la liquidità può essere considerata un’estensione della teoria delle aspettative. Infatti, tale teoria presuppone che un premio per la liquidità vada aggiunto ai rendimenti dei titoli a lunga scadenza: i rendimenti dei titoli di lungo periodo possono quindi essere considerati come la somma delle aspettative sui tassi a breve in futuro e del premio per la liquidità. La considerazione che la curva dei rendimenti mostri storicamente una tendenza ad essere inclinata verso l’alto è un’indicazione che una combinazione della teoria delle aspettative e di quella per la preferenza per la liquidità possano spiegare la forma della curva dei rendimenti meglio che una delle due teorie prese da sola.

Teoria della segmentazione del mercato

La teoria della segmentazione del mercato afferma che differenti categorie di investitori hanno diverse esigenze in termini di durata degli investimenti e che la curva dei rendimenti riflette tali diverse esigenze. Gli investimenti, in particolare da parte delle società finanziarie, sono decisi sulla base di alcuni fattori quali le tasse, la struttura del passivo, limitazioni legali ecc che li spingono ad allocare le loro risorse su determinati tipi di obbligazioni e con determinate scadenze. Un corollario della teoria è che gli investitori non abbandonerebbero la loro scadenza preferita neanche per prendere vantaggio di differenze di rendimenti interessanti. Come risultato, il mercato dei titoli obbligazionari  sarebbe effettivamente segmentato tra le diverse scadenze e i rendimenti di un segmento dipenderebbero dall’andamento di domanda e offerta all’interno del singolo segmento. Una curva dei rendimenti con l’inclinazione verso il basso andrebbe, quindi, considerata come il risultato di una preferenza degli investitori per titoli a lunga scadenza.

Rischio di insolvenza

Il rischio di insolvenza (o rischio di default) si riferisce alla possibilità che la società emittente possa essere inadempiente al momento di dovere pagare gli interessi o la quota capitale. Per compensare il rischio di insolvenza, gli investitori chiedono un tasso di rendimento maggiore tanto più è alto questo rischio. Quindi, titoli con pari scadenza offriranno rendimenti diversi sulla base della rischiosità dell’emittente. L’investitore ha a disposizione due modalità per valutare la rischiosità dell’emittente. La prima è quella di analizzare le caratteristiche finanziarie dell’emittente sulla base di una serie di indicatori fi nanziari desumibili dal bilancio dell’impresa. In particolare, ciò che dovrebbe riguardare gli investitori è prevedere il rischio di fallimento dell’emittente. Questo può avvenire attraverso una serie di indici di bilancio che diversi studi accademici hanno dimostrato di potere anticipare il possibile fallimento di una società. Tra questi si segnalano il rapporto tra capitale circolante netto e attività totali, tra attività correnti e passività correnti e debiti finanziari e capitale circolante netto. La seconda, maggiormente utilizzata dagli investitori anche se presenta alcuni limiti, è quella di affi darsi al giudizio delle agenzie di rating. Le agenzie di rating sono assunte direttamente dall’emittente per dare un giudizio sul prestito obbligazionario con lo scopo di incrementare le informazioni a disposizione degli investitori, aumentandone la trasparenza e, di conseguenza, la domanda. In questo momento le tre agenzie più famose a livello internazionale sono Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch. Le agenzie di rating assegnano all’emissione obbligazionaria che sono stati chiamati a valutare un giudizio, il rating appunto, che varia da un massimo di tripla A ad un minimo di D (default) passando attraverso una serie di valutazioni intermedie. La distinzione più importante a livello di rating è quella tra investment grade (da AAA fi no a BBB per Fitch e Standard and Poor’s e fi no a Baa3 per Moody’s), che presentano un merito di credito alto, e non investment grade, i cui rischi di insolvenza sono signifi cativi. Il rating assegnato ad una emissione obbligazionaria infl uenza direttamente il suo rendimento: maggiore è il rating, minore e il rendimento del titolo. Ad esempio, al 30 giugno secondo i dati della Federal Reserve i titoli con rating AAA di Moody’s offrivano un rendimento del 4,88% contro il 6,23% dei titoli con rating Baa. Questa differenza dei rendimenti è solitamente chiamata yield spread e offre una misura del premio al rischio di insolvenza. Da sottolineare è che lo yield spread non è una misura fi ssa ma può variare nel corso del tempo, soprattutto in base all’andamento del ciclo  economico. Più l’economia si trova in un buono stato di salute, minori sono i rischi di default e quindi lo spread tenderà a diminuire e viceversa. Il principale limite all’utilizzo dei rating è, tuttavia, che le agenzie di rating possono non essere in grado di cambiare il proprio giudizio prima che il mercato non abbia già provveduto ad adeguarsi al mutato scenario per una società. In questo caso l’investitore già in possesso del titolo non trarrebbe alcuna informazione anticipatrice dal cambio di giudizio dell’agenzia di rating.

La liquidità dei titoli

Per liquidità dei titoli si intende la capacità di potere comprare e vendere titoli sul mercato senza trovare diffi coltà nell’effettuare tale operazione grazie alla presenza di significativi volumi di scambi. Ad esempio, il  mercato dei titoli di stato tedeschi è decisamente maggiore di quello dei titoli di stato olandesi grazie alle più elevate dimensioni dell’economia tedesca rispetto a quella olandese e alla presenza di un numero maggiore di titoli sul mercato. Questo fa sì che, pur meritando entrambi i paesi il rating di tripla AAA da parte dell’agenzia di rating Fitch (il massimo disponibile), il rendimento dei titoli governativi a 10 anni dei due paesi siano diversi: ad inizio luglio 2010 il titolo olandese offriva un rendimento del 2,84% mentre quello tedesco il 2,64%. La differenza di rendimento dei due titoli può essere attribuita alla diversa liquidità dei rispettivi mercati, ossia alla possibilità di operare su un titolo con maggiore facilità. Maggiore è la liquidità di un titolo sul mercato, quindi, minore è il rendimento che dovrà pagare. La liquidità del mercato può variare sulla base delle condizioni di mercato, ad esempio sulle attese del futuro andamento di crescita economica e del grado di sostituibilità del titolo per potere sfruttare delle differenze di rendimento.

Trattamento fiscale

Infi ne, l’ultimo elemento che può infl uenzare il rendimento dei titoli è il trattamento fi scale. Gli investitori, infatti, determinano il tasso di rendimento atteso al netto delle imposte su cedole e guadagni in conto capitale. Quindi titoli con trattamento fiscale diverso presenteranno rendimenti lordi diversi per compensare le differenze di imposte da pagare ed arrivare ad un rendimento netto uniforme.

Duration

Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come si calcola il rendimento di un titolo obbligazionario, quali sono i fattori che lo determinano e cosa può spingere tale rendimento a variare nel corso del tempo. A questo punto è importante studiare quali sono gli effetti di una variazione dei tassi di mercato sul prezzo e sul rendimento di un titolo obbligazionario. Come già accennato in precedenza, esiste una relazione inversa generale tra le variazioni dei rendimenti e i prezzi di un bond. Quello che dobbiamo discutere ora sono gli specifi ci fattori che determinano di quanto varia il prezzo del singolo titolo obbligazionario a seguito di un cambiamento dei tassi di interesse. Per fare questo è necessario introdurre prima il concetto di duration di un titolo obbligazionario. La duration può essere defi nita come la durata finanziaria residua media di un titolo. In altri termini, per duration si intende un valore espresso in anni entro cui il possessore di un titolo obbligazionario rientra in possesso del capitale inizialmente investito, tenendo conto anche delle cedole. Un esempio può aiutare a chiarire meglio il concetto. Prendiamo come punto di partenza due diversi titoli obbligazionari entrambi con scadenza a 3 anni. Il primo è uno zero coupon bond mentre il secondo paga cedole semestrali. Con riferimento allo zero coupon bond la duration espressa in termini di anni è pari al numero di anni alla scadenza del titolo, poiché il pagamento della quota di capitale moltiplicato per il fattore di sconto è pari al valore del titolo e non avvengono pagamenti di cedole prima della scadenza. La duration del titolo è quindi pari a 3. Per il secondo titolo, invece, la duration del titolo è inferiore alla sua scadenza poiché una parte del valore attuale del titolo dipende dalle cedole che sono incassate prima della quota capitale. Se ipotizziamo che il titolo paghi una cedola semestrale del 3%, con un rendimento a scadenza del 2,5%, la duration del titolo é pari a 2,89 anni. Oltre che per calcolare in maniera più significativa la durata in termini di anni di un investimento in un titolo obbligazionario, la duration è una misura diretta della sensitività dei prezzi dei titoli obbligazionari alle variazioni dei tassi di interesse, o volatilità del titolo. 

Volatilità

La volatilità di un titolo obbligazionario è la variazione percentuale nel prezzo del titolo per una data variazione del rendimento a scadenza. La stessa variazione dei tassi di interesse può causare cambiamenti di prezzi molto differenti per titoli obbligazionari alternativi. Ad esempio, per massimizzare il tasso di ritorno derivante da un atteso ribasso dei tassi interesse è necessario capire quali bond potrebbero beneficiare di più da una variazione dei rendimenti. La duration di un titolo ci dice quanto questo è volatile: maggiore è la duration del titolo, infatti, maggiore sarà la variazione percentuale del suo prezzo nel caso di un cambiamento dei tassi di mercato. La duration e, di conseguenza, la volatilità di un titolo dipende da tre fattori:



  1. il tasso cedolare;



  2. il periodo alla scadenza;



  3. il rendimento a scadenza.


1) La duration e il tasso cedolare sono inversamente correlati. Maggiori sono i flussi cedolari che l’investitore incassa, infatti, minore è la sua duration. A titolo di esempio, mentre la duration di un titolo a dieci anni che ha sia una cedola sia un rendimento a scadenza del 3% è pari a 8,71 anni, nel caso in cui sia la cedola sia il rendimento a scadenza fossero del 6% la duration sarebbe pari a 7,66.

2) Più lunga è la scadenza del titolo, maggiore è la sua duration.

3) Così come nel caso dei tassi cedolari, la duration e il rendimento a scadenza  sono inversamente correlati. Rendimenti a scadenza elevati, infatti, fanno sì che i flussi lontani nel tempo siano scontati a tassi più elevati, diminuendone il valore e aumentando il peso dei fl ussi più vicini nel tempo.

Altre relazioni tra variazioni dei tassi di mercato e prezzi di un titolo obbligazionario da tenere presenti sono:



  • la volatilità del prezzo di un titolo aumenta a tassi decrescenti all’aumentare del periodo di scadenza;



  • movimenti dei prezzi dei bond derivanti da una variazione assoluta al rialzo o al ribasso dei tassi non sono simmetrici. Un calo dei tassi, infatti, aumenta il prezzo dei bond più di quanto un rialzo dei tassi di egual misura li faccia scendere.


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