Subprime: si cura il tumore con l’aspirina
Banche centrali
Subprime: si cura il tumore con l’aspirina
Alfonso Tuor
Si sta curando un tumore con le pastiglie di aspirina. È questa l’impressione fornita dalla discesa in campo della cavalleria delle principali banche centrali (tra cui anche la Banca Nazionale Svizzera), che per la prima volta nella storia con operazioni congiunte hanno cominciato ad iniettare liquidità nel mercato monetario per cercare di ovviare alla restrizione creditizia dovuta alla crisi dei mutui ipotecari subprime, che ha provocato una crisi di sfiducia generalizzata nei confronti del sistema bancario. Infatti i mercati non stanno brindando per la carica della cavalleria delle banche centrali. Anzi, le Borse si muovono al ribasso nella consapevolezza che questi interventi, da un canto, nella migliore delle ipotesi servono solo a guadagnare tempo e, dall’altro, che questa politica delle banche centrali rischia di far risorgere il problema dell’inflazione che a causa dei forti aumenti delle materie prime e delle derrate alimentari sta dando chiari segnali di risveglio. Ma procediamo con ordine.
Le iniezioni di liquidità attuate a più riprese dalle banche centrali a partire dallo scorso mese di agosto sono già chiaramente fallite. Il fallimento è stato decretato dal mercato monetario dove la differenza tra i tassi dei titoli a uno o tre mesi e i tassi guida definiti dalle banche centrali non è mai stata così ampia. Quindi non ha avuto successo il tentativo degli istituti di emissione di riportare la fiducia nei mercati. Ora i nuovi interventi servono solo ad approvvigionare di liquidità il sistema bancario per fargli varcare senza brutali contraccolpi la fine dell’anno. Nulla più. Infatti negli ultimi cinque mesi i bilanci delle banche sono peggiorati a causa di numerosi eventi: dalle perdite miliardarie all’aumento dei costi di rifinanziamento; dall’entrata nel conto economico dei miliardi di dollari di titoli che erano stati parcheggiati nei veicoli speciali di investimento (le cosiddette SIV), all’impossibilità di trasformare in obbligazioni e di vendere sul mercato le decine di miliardi di dollari di crediti ponte concessi per finanziare le operazioni di acquisizione dei fondi Private Equity; dal deterioramento del portafoglio dei crediti: dall’immobiliare alle carte di credito, ai leasing alle linee di credito agli hedge funds fino alle perdite nei prodotti strutturati, e così via.
In pratica, nei bilanci bancari sta rientrando gran parte di quell’enorme bolla creditizia prima creata dalle stesse banche e poi piazzata sul mercato attraverso i processi di cartolarizzazione.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i requisiti di mezzi propri delle banche, imposti dalle norme internazionali, sono ai minimi e se si valutassero a prezzi di mercato molti titoli da loro detenuti bisognerebbe togliere loro la licenza bancaria poiché non soddisfano i requisiti di legge. È per questi motivi che Citigroup ha chiesto l’aiuto dell’Emirato di Abu Dhabi e UBS del fondo statale di Singapore.
In queste condizioni la liquidità fornita dalle banche centrali permette di guadagnare tempo, ma non può compiere il miracolo né di ottenere il rimborso di un credito diventato inesigibile né tanto meno di aumentare i mezzi propri degli istituti di credito in difficoltà. L’unico effetto di grande rilevanza di questi interventi è quello di evitare una crisi di liquidità. Dunque, questi interventi sono paragonabili ad una pastiglia di aspirina che ridà una temporanea sensazione di benessere, ma che non può curare il tumore dell’enorme bolla di crediti creata negli ultimi anni. Altri sarebbero gli interventi per risolvere la crisi: la ricapitalizzazione di gran parte del sistema bancario occidentale in difficoltà con i fondi dei paesi arabi e asiatici (ossia la vendita di parte del sistema bancario a questi ultimi) oppure la nazionalizzazione delle banche che non hanno più i requisiti di capitale per continuare ad operare. Per evidenti motivi politici quest’ultima soluzione è improponibile, poiché è difficile riconoscere come invece ha già fatto l’editorialista del Financial Times, Martin Wolf, che gli eventi attuali «mettono in crisi la credibilità del modello anglosassone di capitalismo basato sulla finanza».
La politica delle banche centrali è inoltre molto pericolosa poiché rischia di favorire un ritorno alla grande dell’inflazione. Insomma per curare la bolla del credito, che impropriamente viene chiamata «crisi dei mutui subprime», si rischia di mettere in moto la tassa peggiore soprattutto per gli strati sociali più deboli. L’inflazione ha infatti la capacità di decurtare il potere d’acquisto e anche di decurtare il valore dei risparmi pensionistici. In pratica si cura un male creandone un altro. Tanto a pagare non sono i responsabili di questa enorme bolla del credito, ma come sempre i soliti. Con questa politica monetaria il ritorno dell’inflazione potrebbe essere scongiurato solo da una recessione o da un forte rallentamento della crescita dell’economia mondiale che avrebbe però l’effetto di rendere maligno il tumore che affligge gran parte del sistema bancario occidentale.
CdT 17/12/2007
http://www.cdt.ch/interna.asp?idarticolo=136440
Allegria!