EFFETTO HOLDING «Noi non escludiamo di investire cash in un eventuale merger tra Fiat e le unità europee di Gm». John Philip Elkann, presidente di Exor, misura le parole davanti ai giornalisti, per lo più tedeschi, che lo hanno seguito all’Università svizzera di San Gallo. È uno dei due messaggi che gli preme comunicare in questa breve trasferta, da una tribuna che ha già ospitato, in passato, Luca di Montezemolo e Sergio Marchionne. «La sfida è quella di creare un’azienda veramente europea. Altri settori, come quello dell’acciaio, hanno dimostrato che si può fare». Ovvero, l’auto, come la siderurgia degli anni Novanta, è la grande malata dell’industria: o ci si mette assieme, o finisce male. Magari, dopo tagli brutali, nelle mani di un tycoon russo o indiano.
Così parlò John Elkann. Ma in quale veste? Numero uno di Exor o vicepresidente di Fiat, per ora proprietaria del 100% dell’Auto? Fino a poche settimane fa sarebbe stata una domanda inutile, perché i destini di Fiat e Ifi/Ifil erano legati come fratelli siamesi. Ma per la giovane Exor (battezzata non a caso quasi in coincidenza con l’esplodere del dossier Chrysler), è tutt’altra cosa: la prospettiva dello spin-off dell’Auto apre più di uno scenario.
A TUTTO NAV. Anche questo ingrediente gioca nel robusto incremento del 33% di Exor ordinaria nell’ultimo mese, superiore una volta tanto a quello di Fiat, salita di un 20% circa (ma le posizioni si invertono per le privilegio, +31% per il Lingotto, +22% corso Matteotti). Ma a giustificare il coro di buy (Equita target price 15,5 euro, Imi 15,10, Cassa Lombarda 14,40, Intermonte outperform ma a soli 12 euro, superati venerdì 8) è soprattutto lo sconto sul Net asset value. Alle quotazioni del 4 maggio, infatti, il Nav valeva 21,2 euro per le ordinarie, 14,9 per privilegio e risparmio. Ovvero, a praticare uno sconto medio del 35% emerge una bella forbice coi prezzi attuali. Ma Elkann non fa mistero che l’obiettivo è la crescita del Nav, non il taglio del «discount» con il prezzo di Borsa, di questi tempi poco affidabile.
LONG PRIV? O NO. Di qui un messaggio: nel futuro prevedibile non è in agenda alcuna operazione (vedi buy back) che possa creare appeal speculativo sul titolo. Né è all’orizzonte, per ora, l’eliminazione di una delle tre categorie di azioni. Il che non riduce lo spazio per arbitraggi di vario genere. Vedi, come da report di Equita: a) comprare privilegio (con un ulteriore discount sulle ordinarie del 40%) e vendere ord. La performance in due mesi, a partire dal 4 marzo, è stata del 40% ma resta spazio teorico; b) comprare Exor e vendere, in proporzione, i principali titoli in portafoglio della società, ovvero Fiat ord., l’elvetica Sgs e Intesa; in questo caso la strategia, calcolata su otto mesi da settembre, non ha avuto fortuna (-15,3%). Banca Imi consiglia di puntare sulle ordinarie, vuoi per l’assenza di una prospettiva di conversione, vuoi per la maggior liquidità.
Ma c’è un altro driver del titolo: che farà Exor della liquidità in cassa (1,1 miliardi più il ricavato dell’eventuale cessione dell’1% residuo in Intesa, altri 300 milioni circa)? Tutto dipende dall’esito delle trattative con Gm per Opel, Saab e il Sud America. Facile prevedere che, in una fase iniziale, una parte del cash sia destinata a sostenere il decollo della newco. Almeno all’inizio, poi si vedrà. Altrimenti? I dossier, in Italia e all’estero (Svizzera o Francia, oppure Usa), non mancano. Quel che è certo è che nel dna di Exor c’è il ruolo di azionista attivo, piuttosto che di finanziaria di partecipazione. E, come già successo con Cushman & Wakefield, la società Usa del real estate, gli acquisti si fanno cash: la leva è riservata alle controllate. Proprio la società Usa è stata oggetto di un profondo riassetto dei vertici (tra cui l’acquisto di un nuovo Cfo) e delle partecipazioni, grazie allo shopping di diverse boutique del settore in Europa, Asia e nella zona di Los Angeles, una delle più colpite dall’effetto subprime. Una gestione prudente, insomma. Forse troppo, se si pensa alle opportunità offerte in questi mesi dalla crisi, soprattutto sul fronte dei financials, un settore in cui Exor, dopo l’allentamento dei legami con Intesa, conta solo sulla partecipazione in Banca Leonardo. Resta il fatto che la forte disponibilità liquida rappresenta un plus di fronte a eventuali concorrenti
Così parlò John Elkann. Ma in quale veste? Numero uno di Exor o vicepresidente di Fiat, per ora proprietaria del 100% dell’Auto? Fino a poche settimane fa sarebbe stata una domanda inutile, perché i destini di Fiat e Ifi/Ifil erano legati come fratelli siamesi. Ma per la giovane Exor (battezzata non a caso quasi in coincidenza con l’esplodere del dossier Chrysler), è tutt’altra cosa: la prospettiva dello spin-off dell’Auto apre più di uno scenario.
A TUTTO NAV. Anche questo ingrediente gioca nel robusto incremento del 33% di Exor ordinaria nell’ultimo mese, superiore una volta tanto a quello di Fiat, salita di un 20% circa (ma le posizioni si invertono per le privilegio, +31% per il Lingotto, +22% corso Matteotti). Ma a giustificare il coro di buy (Equita target price 15,5 euro, Imi 15,10, Cassa Lombarda 14,40, Intermonte outperform ma a soli 12 euro, superati venerdì 8) è soprattutto lo sconto sul Net asset value. Alle quotazioni del 4 maggio, infatti, il Nav valeva 21,2 euro per le ordinarie, 14,9 per privilegio e risparmio. Ovvero, a praticare uno sconto medio del 35% emerge una bella forbice coi prezzi attuali. Ma Elkann non fa mistero che l’obiettivo è la crescita del Nav, non il taglio del «discount» con il prezzo di Borsa, di questi tempi poco affidabile.
LONG PRIV? O NO. Di qui un messaggio: nel futuro prevedibile non è in agenda alcuna operazione (vedi buy back) che possa creare appeal speculativo sul titolo. Né è all’orizzonte, per ora, l’eliminazione di una delle tre categorie di azioni. Il che non riduce lo spazio per arbitraggi di vario genere. Vedi, come da report di Equita: a) comprare privilegio (con un ulteriore discount sulle ordinarie del 40%) e vendere ord. La performance in due mesi, a partire dal 4 marzo, è stata del 40% ma resta spazio teorico; b) comprare Exor e vendere, in proporzione, i principali titoli in portafoglio della società, ovvero Fiat ord., l’elvetica Sgs e Intesa; in questo caso la strategia, calcolata su otto mesi da settembre, non ha avuto fortuna (-15,3%). Banca Imi consiglia di puntare sulle ordinarie, vuoi per l’assenza di una prospettiva di conversione, vuoi per la maggior liquidità.
Ma c’è un altro driver del titolo: che farà Exor della liquidità in cassa (1,1 miliardi più il ricavato dell’eventuale cessione dell’1% residuo in Intesa, altri 300 milioni circa)? Tutto dipende dall’esito delle trattative con Gm per Opel, Saab e il Sud America. Facile prevedere che, in una fase iniziale, una parte del cash sia destinata a sostenere il decollo della newco. Almeno all’inizio, poi si vedrà. Altrimenti? I dossier, in Italia e all’estero (Svizzera o Francia, oppure Usa), non mancano. Quel che è certo è che nel dna di Exor c’è il ruolo di azionista attivo, piuttosto che di finanziaria di partecipazione. E, come già successo con Cushman & Wakefield, la società Usa del real estate, gli acquisti si fanno cash: la leva è riservata alle controllate. Proprio la società Usa è stata oggetto di un profondo riassetto dei vertici (tra cui l’acquisto di un nuovo Cfo) e delle partecipazioni, grazie allo shopping di diverse boutique del settore in Europa, Asia e nella zona di Los Angeles, una delle più colpite dall’effetto subprime. Una gestione prudente, insomma. Forse troppo, se si pensa alle opportunità offerte in questi mesi dalla crisi, soprattutto sul fronte dei financials, un settore in cui Exor, dopo l’allentamento dei legami con Intesa, conta solo sulla partecipazione in Banca Leonardo. Resta il fatto che la forte disponibilità liquida rappresenta un plus di fronte a eventuali concorrenti