Alessandro Celli
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Prendendo spunto dal 3D
http://www.finanzaonline.com/forum/investimenti-in-arte-e-collezionismo/1863721-antologia.html
di microalfa (che ringrazio)
Vi propongo in questo di 3d, se si va, di leggere un’opera.
Per non contraddirmi con quanto da me postato nel 3D di microalfa, ritorno su Giulio Paolini.
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Giovane che guarda Lorenzo Lotto riproduce nelle dimensioni originali il Ritratto di giovane di Lorenzo Lotto: è la “ricostruzione nello spazio e nel tempo del punto occupato dall’autore (1505) e (ora) dall’osservatore di questo quadro” .
“Il quadro si fa specchio mentale di una situazione, perché dà allo spettatore in quel momento l’illusione di trovarsi nella posizione, e quindi nella persona, di Lorenzo Lotto.
Non vive quindi come quadro, ma come dichiarazione astratta”
. “Se nei primi anni Sessanta l’attenzione era deviata dalla superficie visibile del quadro verso il suo rovescio, qui è interamente concentrata su chi guarda: l’immagine del quadro è nascosta dietro il sipario della sua riproduzione e la sua ‘verità’ si sposta nel punto di vista dello spettatore. L’idea del quadro non è dunque l’immagine che ci mostra, ma il fatto stesso che noi siamo lì ad osservarlo.
Il quadro non si esaurisce insomma nel piano orizzontale della sua superficie, ma è il teatro dell’asse ottico che lo attraversa” . “Teatro della visione” che istituisce la necessità del confronto con lo sguardo dello spettatore, Giovane che guarda Lorenzo Lotto approfondisce ulteriormente la riflessione sulla figura e sul ruolo dell’autore sviluppata da Paolini nel corso degli anni Sessanta.
“Attraverso l’uso del mezzo fotografico, mi inoltro ancor più in quella che era la mia vocazione, più che di autore o di pittore, di spettatore in attesa: con la fotografia, in Giovane che guarda Lorenzo Lotto e in altri quadri che seguiranno, cambio identità: da spettatore travestito da pittore mi ritrovo autore travestito da spettatore” .
La fotografia, introdotta nel 1965, è qui impiegata per la prima volta come strumento linguistico per “appropriarsi, attraverso il tempo, di una situazione che non si è vissuta nel reale, ma che si recupera attraverso il linguaggio” . Se nel 1965 Paolini aveva usato la fotografia come “certificato d’identità”, ossia come dispositivo oggettivo che accerta l’esistenza di un determinato momento, nel 1967-68 la adopera invece come strumento che consente di uscire dal tempo, di annullare la distanza, offrendo l’illusione di un eterno presente. E proprio questo “miracolo” reso possibile dalla fotografia permette a Paolini di utilizzare delle riproduzioni di opere di artisti del passato: in Giovane che guarda Lorenzo Lotto riprende per la prima volta l’immagine di un dipinto antico . La citazione mirata diventa un tema centrale nei lavori successivi, realizzati a cavallo fra il 1967 e il 1968, rappresentativi di un atteggiamento “concettuale” rispetto ai fermenti “poveristi” dell’epoca. Identificando il proprio “io” con quello del pittore di tutti i tempi, Paolini inscrive la propria identità nella discendenza della sua “dinastia”: “il problema è di sottrarre la mia identità al suo ruolo e di assumerla invece a un ruolo elettivo, storico ed ipotetico” .
fonte : Fondazione Giulio e Anna Paolini
http://www.finanzaonline.com/forum/investimenti-in-arte-e-collezionismo/1863721-antologia.html
di microalfa (che ringrazio)
Vi propongo in questo di 3d, se si va, di leggere un’opera.
Per non contraddirmi con quanto da me postato nel 3D di microalfa, ritorno su Giulio Paolini.
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Giovane che guarda Lorenzo Lotto riproduce nelle dimensioni originali il Ritratto di giovane di Lorenzo Lotto: è la “ricostruzione nello spazio e nel tempo del punto occupato dall’autore (1505) e (ora) dall’osservatore di questo quadro” .
“Il quadro si fa specchio mentale di una situazione, perché dà allo spettatore in quel momento l’illusione di trovarsi nella posizione, e quindi nella persona, di Lorenzo Lotto.
Non vive quindi come quadro, ma come dichiarazione astratta”
. “Se nei primi anni Sessanta l’attenzione era deviata dalla superficie visibile del quadro verso il suo rovescio, qui è interamente concentrata su chi guarda: l’immagine del quadro è nascosta dietro il sipario della sua riproduzione e la sua ‘verità’ si sposta nel punto di vista dello spettatore. L’idea del quadro non è dunque l’immagine che ci mostra, ma il fatto stesso che noi siamo lì ad osservarlo.
Il quadro non si esaurisce insomma nel piano orizzontale della sua superficie, ma è il teatro dell’asse ottico che lo attraversa” . “Teatro della visione” che istituisce la necessità del confronto con lo sguardo dello spettatore, Giovane che guarda Lorenzo Lotto approfondisce ulteriormente la riflessione sulla figura e sul ruolo dell’autore sviluppata da Paolini nel corso degli anni Sessanta.
“Attraverso l’uso del mezzo fotografico, mi inoltro ancor più in quella che era la mia vocazione, più che di autore o di pittore, di spettatore in attesa: con la fotografia, in Giovane che guarda Lorenzo Lotto e in altri quadri che seguiranno, cambio identità: da spettatore travestito da pittore mi ritrovo autore travestito da spettatore” .
La fotografia, introdotta nel 1965, è qui impiegata per la prima volta come strumento linguistico per “appropriarsi, attraverso il tempo, di una situazione che non si è vissuta nel reale, ma che si recupera attraverso il linguaggio” . Se nel 1965 Paolini aveva usato la fotografia come “certificato d’identità”, ossia come dispositivo oggettivo che accerta l’esistenza di un determinato momento, nel 1967-68 la adopera invece come strumento che consente di uscire dal tempo, di annullare la distanza, offrendo l’illusione di un eterno presente. E proprio questo “miracolo” reso possibile dalla fotografia permette a Paolini di utilizzare delle riproduzioni di opere di artisti del passato: in Giovane che guarda Lorenzo Lotto riprende per la prima volta l’immagine di un dipinto antico . La citazione mirata diventa un tema centrale nei lavori successivi, realizzati a cavallo fra il 1967 e il 1968, rappresentativi di un atteggiamento “concettuale” rispetto ai fermenti “poveristi” dell’epoca. Identificando il proprio “io” con quello del pittore di tutti i tempi, Paolini inscrive la propria identità nella discendenza della sua “dinastia”: “il problema è di sottrarre la mia identità al suo ruolo e di assumerla invece a un ruolo elettivo, storico ed ipotetico” .
fonte : Fondazione Giulio e Anna Paolini