arcange
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Apro questo 3D sull’Artista Marco Petrus.
Con la premessa che lo colleziono, il contributo è puramente a titolo informativo per chi volesse conoscere qualcosa di più.
E’ un artista che ho scelto di mettere in collezione dal 2012, e da quell’anno lo seguo, lo conosco e lo studio.
La prima opera che ho acquistato è stata una tela di Petrus. Nel 2012 si era tenuta una mostra nel Serrone della Villa Reale di Monza “Le città della pittura”, nella quale esponeva una serie di opere sulla città di Monza.
La mostra, curata da Elena Pontiggia, proponeva le visioni di due noti artisti milanesi - Aldo Damioli e Marco Petrus - che si dedicano a un'arte d'immagine incentrata sul paesaggio urbano contemporaneo. Entrambi conducono infatti una ricerca fondata sulla rielaborazione espressiva delle architetture metropolitane e sul rigore formale delle opere.
Tutto è nato facendo le mie consuete tappe davanti le vetrine delle gallerie. In una di esse erano esposte alcune piccole tele che avevano fatto parte di quella mostra. Una di queste mi aveva catturata, e non riuscivo a togliere gli occhi.
Ho continuato nei giorni successivi a passare e ripassare davanti alla galleria, fino a quando, un sabato pomeriggio, sono entrata e sono uscita con quella tela. Insomma, la dovevo avere.
Da li è iniziata la mia collezione.
Petrus fa parte di quella generazione di Artisti Anninovanta, cara al nostro amico Investart.
Le sue architetture sono pulite, silenziose, colorate. Predilige quelle degli anni 20/30/40.
I segni del tempo, spariscono tra le sue mani.
Le finestre sono chiuse, a volte immurate, e non si sa cosa c’è dietro di esse. Ognuno può far volare la fantasia e immaginare situazioni differenti. Non raffigura persone nelle sue tele. Dice che gli uomini sono troppo complicati.
Eliminando le figure umane dai suoi dipinti, l’attenzione si concentra nelle architetture.
Gli edifici sono ritratti dal basso verso l’alto, come se si camminasse con il naso all’insù.
Sopra di essi spicca sempre un cielo colorato, blu, giallo, ocra o rosso. Un cielo che fa risplendere e risaltare l’opera.
Negli anni 90 è diventato famoso per le opere sulla Torre Velasca di Milano. Soggetto molto richiesto tra i suoi collezionisti.
Interessanti anche le opere “Upside Down”
La sua ultima mostra è stata nel 2014 “ATLAS” alla Triennale di Milano, dove ha esposto grandi tele, raffiguranti anche le architetture più moderne di Milano.
Artista riservato, calmo, preciso, un carattere che si ritrova nelle sue opere. Un uomo che ammiro, come persona e come Artista.
BIOGRAFIA
Figlio d'arte, il padre Vitale Petrus era anch'egli pittore, Marco Petrus nasce a Rimini nel 1960, ma si trasferisce in tenera età a Milano, città che diventerà il primo (e principale) soggetto della sua pittura. Il 1984, anno della morte del padre, lo vede abbandonare gli studi di architettura presso il Politecnico della capitale lombarda, ed aprire una stamperia d'arte, primo passo verso la scena artistica milanese, che sarà preludio al debutto del Petrus pittore con una mostra personale, nel 1991, allo Spazio Noa.
Le architetture sono subito il suo principale soggetto, soggetto che nel 1993 gli varrà il riconoscimento del XX Premio Sulmona e del Premio San Carlo Borromeo, con riproduzioni legate all' esperienza personale dell'artista, concentrato nella rappresentazione di opere architettoniche principalmente risalenti agli anni Venti, Trenta e Quaranta. Attraverso un percorso fatto di mostre personali e collettive, in Italia e all'estero, l'attività pittorica di Petrus incontra ulteriore riconoscimento nel 1996 con un premio alla XVIII Rassegna Nazionale del Disegno e, l'anno successivo, al Premio Morlotti ed al XXXVII Premio Suzzara.
Nel 2003 viene pubblicata da Electa Mondadori la prima monografia dedicatagli, a cura di Alessandro Riva, in concomitanza con una mostra personale presso il Palazzo delle Stelline a Milano, a conferma del crescente successo, sia a livello artistico, che di mercato. Sempre il 2003, con l'esposizione London Suspended, alla Barbara Behan Contemporary Art Gallery di Londra, segna la prima esposizione personale all'estero del pittore, alla quale seguirà due anni più tardi l'iniziativa Milano at Columbus Day, organizzata dall'Istituto Italiano di Cultura a New York e dal Comune di Milano, ente che individua in Petrus il rappresentante ideale della cultura milanese. È in questi anni che Milano viene affiancata da altre città nel ruolo di soggetto dell'opera di Petrus, da Trieste a Shanghai si allarga il bacino di architetture rappresentate dall'artista, che però mantiene la capitale lombarda come simbolo della sua pittura, portandone gli edifici a Mosca (nel 2008), Roma (nel 2012) e Santa Fe (nel 2013).
All'attività solista di Marco Petrus si affianca la solida collaborazione con altri esponenti della pittura milanese, ed italiana, contemporanea. Dagli anni Novanta prende vita il gruppo Officina Milanese, nel quale Petrus, Giovanni Frangi, Luca Pignatelli e Velasco Vitali confluiscono per una proficua collaborazione. Successiva ed attuale è l'esperienza Italian Factory, gruppo che si propone di promuovere pittura e scultura italiane in un contesto nazionale ed internazionale, che lo porterà ad esporre, tra le altre, nelle sale del Parlamento Europeo di Strasburgo durante il semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea nel 2003, ed in quelle del Taipei Fine Arts Museum nel 2007
Nel 2010 la particolare visione che Petrus ha delle città e dell'architettura urbana arriva ad influenzare Gabriele Salvatores, che dichiarerà di essersi ispirato alla pittura dell'artista in alcune fasi della realizzazione del film Happy Family.
Milano, 23 maggio 2015
«Io non dipingo i palazzi di Milano, ma la sua pelle e le sue ossa». Lo afferma l’artista Marco Petrus, autore di quelle tele in cui ritrae scorci, fermi immagine delle strutture delle diverse città del mondo e che ha immortalato tante volte in particolare la geografia architettonica del capoluogo lombardo.
Chiariamo subito che lei non è un discendente dell’inventore del famoso amaro dalla proprietà digestive.
Allora quali sono le sue origini?
«Sono nato a Rimini, le mie radici, però, sono friulane e ucraine. Un mio avo, Pietro Rizzolatti, si trasferì nell’800 in Russia dove trovò lavoro nelle cave di marmo. Una sua discendente, che poi era mia nonna, Lidia Rizzolatti sposò mio nonno, l’ucraino Alessandro Petrus, dalla cui unione nacque mio padre Vitale. Nel 1938 in seguito ad alcune leggi staliniane, mia nonna si trasferì con suo figlio e gli altri parenti italiani a Udine. Da quel momento, non ho mai capito bene i motivi, interruppe qualsiasi contatto con mio nonno che rimase in Ucraina».
Anche suo padre era pittore?
«Sì, si diplomò all’Accademia di Venezia con Bruno Saetti. Lì conobbe mia madre, Giuliana Zoli che era di Rimini. Quando mi aspettava, tornò nella sua città natale per farmi nascere. Poi nel 1963 ci trasferimmo a Sesto San Giovanni, nel cosiddetto Quartiere della Botteghe, un comprensorio destinato ad ospitare gli artisti, costruito dall’imprenditore edile e collezionista Felice Valadè. Con noi c’erano, tra gli altri, i pittori Enrico Castellani, Attilio Forgioli, Turi Simeti e Lino Marzulli. Nel 1969, avevo nove anni, quando ci trasferimmo a Milano, in via Solferino».
Primi ricordi architettonici?
«Proprio in quegli anni era in costruzione la famosa “Casa rossa” di piazza San Marco progettata da Vico Magistretti con la scala mobile esterna. Poi per me cominciò un periodo turbolento. Cambiai per tre volte le scuole superiori. Alla fine mollai e andai a bottega in una stamperia d’arte. Venivano tanti artisti da Luciano Minguzzi a Bruno Cassinari. Dopo il lavoro frequentavo una scuola per assistenti grafici all’Umanitaria. Poi passai in un laboratorio di litografia, ma era troppo stressante. Decisi di lasciare».
E che fece?
«Il classico viaggio di formazione. Usai la liquidazione per pagarmi due mesi in Sudamerica per fare reportage fotografici. I miei erano contrari. Al ritorno mi iscrissi ad Architettura ma mio padre morì a soli 50 anni. E così dovetti tornare al lavoro».
Si dedicò del tutto all’arte?
«Sì, aprii una stamperia d’arte ma cominciai a fare incisioni. I primi stimoli a produrre me le diedero le mie passeggiate notturne per Milano. La sera vedevo i mie amici al bar Pois delle Colonne di San Lorenzo e poi facevo la strada a piedi per tornare a casa. Qualche volta allungavo anche il percorso per scoprire nuovi scorci. Durante quelle scarpinate introitai la struttura di Milano. La feci talmente mia che sentii l’impulso di riprodurla. Feci la mia prima mostra nel 1991 alla Galleria Noa sui Navigli».
E così comincia le serie dedicate al paesaggio urbano milanese. La sua è una Milano vista dal basso verso l’alto, inaspettata, sorprendente. E soprattutto sottrae la città al caos cittadino.
Perché?
«E’ come se dipingessi quello che vedo dalla finestra. Ripercorro Milano con lo sguardo per coglierne i dettagli che la fanno emblema dell’idea di città, di quello slancio in avanti, di quell’alternarsi di piani orizzontali e verticali, del susseguirsi di finestre, di quella monumentalità dalle geometrie perfette che è alla base della modernità e di cui Milano è simbolo».
La via milanese che preferisce?
«Viale Tunisia. Mi ricorda New York, per i palazzi che trovo uno più bello dell’altro, dagli anni ’30 in poi. E’ tutto l’insieme tra quegli edifici e la strada che costituisce un’opera d’arte. In generale l’architettura milanese dei vari Muzio, Terragni, Ponti, conteneva una spinta tutta tesa al futuro sviluppata con il rigore di una progettualità pura, solida e razionale. ».
Insomma per lei Milano è ?
«La palestra dove ho coltivato e allenato la mia pittura».
di Massimiliano Chiavarone
Con la premessa che lo colleziono, il contributo è puramente a titolo informativo per chi volesse conoscere qualcosa di più.
E’ un artista che ho scelto di mettere in collezione dal 2012, e da quell’anno lo seguo, lo conosco e lo studio.
La prima opera che ho acquistato è stata una tela di Petrus. Nel 2012 si era tenuta una mostra nel Serrone della Villa Reale di Monza “Le città della pittura”, nella quale esponeva una serie di opere sulla città di Monza.
La mostra, curata da Elena Pontiggia, proponeva le visioni di due noti artisti milanesi - Aldo Damioli e Marco Petrus - che si dedicano a un'arte d'immagine incentrata sul paesaggio urbano contemporaneo. Entrambi conducono infatti una ricerca fondata sulla rielaborazione espressiva delle architetture metropolitane e sul rigore formale delle opere.
Tutto è nato facendo le mie consuete tappe davanti le vetrine delle gallerie. In una di esse erano esposte alcune piccole tele che avevano fatto parte di quella mostra. Una di queste mi aveva catturata, e non riuscivo a togliere gli occhi.
Ho continuato nei giorni successivi a passare e ripassare davanti alla galleria, fino a quando, un sabato pomeriggio, sono entrata e sono uscita con quella tela. Insomma, la dovevo avere.
Da li è iniziata la mia collezione.
Petrus fa parte di quella generazione di Artisti Anninovanta, cara al nostro amico Investart.
Le sue architetture sono pulite, silenziose, colorate. Predilige quelle degli anni 20/30/40.
I segni del tempo, spariscono tra le sue mani.
Le finestre sono chiuse, a volte immurate, e non si sa cosa c’è dietro di esse. Ognuno può far volare la fantasia e immaginare situazioni differenti. Non raffigura persone nelle sue tele. Dice che gli uomini sono troppo complicati.
Eliminando le figure umane dai suoi dipinti, l’attenzione si concentra nelle architetture.
Gli edifici sono ritratti dal basso verso l’alto, come se si camminasse con il naso all’insù.
Sopra di essi spicca sempre un cielo colorato, blu, giallo, ocra o rosso. Un cielo che fa risplendere e risaltare l’opera.
Negli anni 90 è diventato famoso per le opere sulla Torre Velasca di Milano. Soggetto molto richiesto tra i suoi collezionisti.
Interessanti anche le opere “Upside Down”
La sua ultima mostra è stata nel 2014 “ATLAS” alla Triennale di Milano, dove ha esposto grandi tele, raffiguranti anche le architetture più moderne di Milano.
Artista riservato, calmo, preciso, un carattere che si ritrova nelle sue opere. Un uomo che ammiro, come persona e come Artista.
BIOGRAFIA
Figlio d'arte, il padre Vitale Petrus era anch'egli pittore, Marco Petrus nasce a Rimini nel 1960, ma si trasferisce in tenera età a Milano, città che diventerà il primo (e principale) soggetto della sua pittura. Il 1984, anno della morte del padre, lo vede abbandonare gli studi di architettura presso il Politecnico della capitale lombarda, ed aprire una stamperia d'arte, primo passo verso la scena artistica milanese, che sarà preludio al debutto del Petrus pittore con una mostra personale, nel 1991, allo Spazio Noa.
Le architetture sono subito il suo principale soggetto, soggetto che nel 1993 gli varrà il riconoscimento del XX Premio Sulmona e del Premio San Carlo Borromeo, con riproduzioni legate all' esperienza personale dell'artista, concentrato nella rappresentazione di opere architettoniche principalmente risalenti agli anni Venti, Trenta e Quaranta. Attraverso un percorso fatto di mostre personali e collettive, in Italia e all'estero, l'attività pittorica di Petrus incontra ulteriore riconoscimento nel 1996 con un premio alla XVIII Rassegna Nazionale del Disegno e, l'anno successivo, al Premio Morlotti ed al XXXVII Premio Suzzara.
Nel 2003 viene pubblicata da Electa Mondadori la prima monografia dedicatagli, a cura di Alessandro Riva, in concomitanza con una mostra personale presso il Palazzo delle Stelline a Milano, a conferma del crescente successo, sia a livello artistico, che di mercato. Sempre il 2003, con l'esposizione London Suspended, alla Barbara Behan Contemporary Art Gallery di Londra, segna la prima esposizione personale all'estero del pittore, alla quale seguirà due anni più tardi l'iniziativa Milano at Columbus Day, organizzata dall'Istituto Italiano di Cultura a New York e dal Comune di Milano, ente che individua in Petrus il rappresentante ideale della cultura milanese. È in questi anni che Milano viene affiancata da altre città nel ruolo di soggetto dell'opera di Petrus, da Trieste a Shanghai si allarga il bacino di architetture rappresentate dall'artista, che però mantiene la capitale lombarda come simbolo della sua pittura, portandone gli edifici a Mosca (nel 2008), Roma (nel 2012) e Santa Fe (nel 2013).
All'attività solista di Marco Petrus si affianca la solida collaborazione con altri esponenti della pittura milanese, ed italiana, contemporanea. Dagli anni Novanta prende vita il gruppo Officina Milanese, nel quale Petrus, Giovanni Frangi, Luca Pignatelli e Velasco Vitali confluiscono per una proficua collaborazione. Successiva ed attuale è l'esperienza Italian Factory, gruppo che si propone di promuovere pittura e scultura italiane in un contesto nazionale ed internazionale, che lo porterà ad esporre, tra le altre, nelle sale del Parlamento Europeo di Strasburgo durante il semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea nel 2003, ed in quelle del Taipei Fine Arts Museum nel 2007
Nel 2010 la particolare visione che Petrus ha delle città e dell'architettura urbana arriva ad influenzare Gabriele Salvatores, che dichiarerà di essersi ispirato alla pittura dell'artista in alcune fasi della realizzazione del film Happy Family.
Milano, 23 maggio 2015
«Io non dipingo i palazzi di Milano, ma la sua pelle e le sue ossa». Lo afferma l’artista Marco Petrus, autore di quelle tele in cui ritrae scorci, fermi immagine delle strutture delle diverse città del mondo e che ha immortalato tante volte in particolare la geografia architettonica del capoluogo lombardo.
Chiariamo subito che lei non è un discendente dell’inventore del famoso amaro dalla proprietà digestive.
Allora quali sono le sue origini?
«Sono nato a Rimini, le mie radici, però, sono friulane e ucraine. Un mio avo, Pietro Rizzolatti, si trasferì nell’800 in Russia dove trovò lavoro nelle cave di marmo. Una sua discendente, che poi era mia nonna, Lidia Rizzolatti sposò mio nonno, l’ucraino Alessandro Petrus, dalla cui unione nacque mio padre Vitale. Nel 1938 in seguito ad alcune leggi staliniane, mia nonna si trasferì con suo figlio e gli altri parenti italiani a Udine. Da quel momento, non ho mai capito bene i motivi, interruppe qualsiasi contatto con mio nonno che rimase in Ucraina».
Anche suo padre era pittore?
«Sì, si diplomò all’Accademia di Venezia con Bruno Saetti. Lì conobbe mia madre, Giuliana Zoli che era di Rimini. Quando mi aspettava, tornò nella sua città natale per farmi nascere. Poi nel 1963 ci trasferimmo a Sesto San Giovanni, nel cosiddetto Quartiere della Botteghe, un comprensorio destinato ad ospitare gli artisti, costruito dall’imprenditore edile e collezionista Felice Valadè. Con noi c’erano, tra gli altri, i pittori Enrico Castellani, Attilio Forgioli, Turi Simeti e Lino Marzulli. Nel 1969, avevo nove anni, quando ci trasferimmo a Milano, in via Solferino».
Primi ricordi architettonici?
«Proprio in quegli anni era in costruzione la famosa “Casa rossa” di piazza San Marco progettata da Vico Magistretti con la scala mobile esterna. Poi per me cominciò un periodo turbolento. Cambiai per tre volte le scuole superiori. Alla fine mollai e andai a bottega in una stamperia d’arte. Venivano tanti artisti da Luciano Minguzzi a Bruno Cassinari. Dopo il lavoro frequentavo una scuola per assistenti grafici all’Umanitaria. Poi passai in un laboratorio di litografia, ma era troppo stressante. Decisi di lasciare».
E che fece?
«Il classico viaggio di formazione. Usai la liquidazione per pagarmi due mesi in Sudamerica per fare reportage fotografici. I miei erano contrari. Al ritorno mi iscrissi ad Architettura ma mio padre morì a soli 50 anni. E così dovetti tornare al lavoro».
Si dedicò del tutto all’arte?
«Sì, aprii una stamperia d’arte ma cominciai a fare incisioni. I primi stimoli a produrre me le diedero le mie passeggiate notturne per Milano. La sera vedevo i mie amici al bar Pois delle Colonne di San Lorenzo e poi facevo la strada a piedi per tornare a casa. Qualche volta allungavo anche il percorso per scoprire nuovi scorci. Durante quelle scarpinate introitai la struttura di Milano. La feci talmente mia che sentii l’impulso di riprodurla. Feci la mia prima mostra nel 1991 alla Galleria Noa sui Navigli».
E così comincia le serie dedicate al paesaggio urbano milanese. La sua è una Milano vista dal basso verso l’alto, inaspettata, sorprendente. E soprattutto sottrae la città al caos cittadino.
Perché?
«E’ come se dipingessi quello che vedo dalla finestra. Ripercorro Milano con lo sguardo per coglierne i dettagli che la fanno emblema dell’idea di città, di quello slancio in avanti, di quell’alternarsi di piani orizzontali e verticali, del susseguirsi di finestre, di quella monumentalità dalle geometrie perfette che è alla base della modernità e di cui Milano è simbolo».
La via milanese che preferisce?
«Viale Tunisia. Mi ricorda New York, per i palazzi che trovo uno più bello dell’altro, dagli anni ’30 in poi. E’ tutto l’insieme tra quegli edifici e la strada che costituisce un’opera d’arte. In generale l’architettura milanese dei vari Muzio, Terragni, Ponti, conteneva una spinta tutta tesa al futuro sviluppata con il rigore di una progettualità pura, solida e razionale. ».
Insomma per lei Milano è ?
«La palestra dove ho coltivato e allenato la mia pittura».
di Massimiliano Chiavarone