Jean Dubuffet

  • Ecco la 66° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    I principali indici azionari hanno vissuto una settimana turbolenta, caratterizzata dalla riunione della Fed, dai dati macro importanti e dagli utili societari di alcune big tech Usa. Mercoledì scorso la Fed ha confermato i tassi di interesse e ha sostanzialmente escluso un aumento. Tuttavia, Powell e colleghi potrebbero lasciare il costo del denaro su livelli restrittivi in mancanza di progressi sul fronte dei prezzi. Inoltre, i dati di oggi sul mercato del lavoro Usa hanno mostrato dei segnali di raffreddamento. Per continuare a leggere visita il link

Macho678

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Jean Dubuffet a L'Art Brut

Grande precursore....

Jean Dubuffet nasce a Le Havre nel 1901. Dopo aver frequentato per due
anni l'Accademia locale, nel 1918 si trasferisce a Parigi per studiare all'Académie Julian e diventare pittore. È una decisione sofferta e più volte ritrattata. Ma diventa definitiva a partire dal 1942, dopo un periodo trascorso a Buenos Aires e alcuni anni di lavoro nell'azienda di famiglia. Dubuffet è attratto dalla produzione dei popoli primitivi, dai graffiti tracciati sui muri, dalle immagini spontanee e naturali dei bambini e dei malati di mente. Si tratta di un vasto repertorio, per il quale, a partire dal 1945, conia l'espressione "Art Brut" e che in seguito analizzerà meglio nei suoi scritti e nei "Cahiers de l'Art Brut". Nel 1944 tiene la prima personale alla galleria René Drouin di Parigi. Nello stesso periodo compie un viaggio in Algeria, da cui ricava numerose idee e spunti pittorici. Nel periodo bellico Dubuffet si interessa a quella che chiama "peinture de la vie moderne". Si dedica, quindi, alle Hautes Pâtes (1945-1946) e ai Portraits (1946-1949), che, per la pregnanza materica, possono ben rientrare in ambito informale. Nel 1946 Jean Dubuffet pubblica il Prospectus aux amateurs de tout genre, dove chiarisce il suo pensiero. Nel 1947 fonda la Compagnie de l'Art Brut con Paulhan, Drouin e Breton. Contemporaneamente organizza una mostra con opere di bambini e alienati mentali. Espone per la prima volta in America, nella galleria newyorchese di Pierre Matisse. Tra il 1949 e il 1960 si dedica a vari cicli di opere: Paysages Grotesque (1949-50), Corps de Dames e Sols et Terrains (195052), Assemblages e Texturologies (1953-1959). I Phenomènes (1958-1962) e le Matériologies (1959-1960) si aprono all'impiego di materiali diversissimi: collage di opere precedenti, giornali, elementi vegetali e animali, tra cui persino ali di farfalla. Nel 1960 si dedica anche a un lavoro musicale sperimentale insieme a Asger Jorn. Negli stessi anni tiene numerose retrospettive in Europa e in America: Städtisches Museum di Leverkusen nel 1957, Kunsthaus di Zurigo, Stedelijk van Abbemuseum di Eindhoven e Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1960, Musée des Arts Décoratifs di Parigi nel 1961, Museum of Modern Art di New York nel 1962. Nel 1966 è la volta della Tate Gallery di Londra e del Guggenheim di New York. Tra il 1962 e il 1974 Jean Dubuffet realizza il ciclo Hourloupe. Nel 1967 pone mano al primo "environment" architettonico e realizza il Cabinet Logo-Logique. Al 1968 risale un altro testo basilare per la comprensione della sua opera: Asphyxiante culture. L'anno successivo espone al Musée des Beaux-Arts de Montreal. Tra il 1971 e il 1972 viene realizzato Groupe de quatre arbres, gigantesca scultura ai piedi della Chase Manhattan Bank, proprio nel cuore di Manhattan. Nel 1973 il Guggenheim Museum di New York gli dedica una retrospettiva. In quest'occasione realizza Coucou Bazar, un lavoro di impronta surrealista. Nel 1976 a Losanna espone la sua collezione di Art Brut, che diviene museo in permanenza. Nel 1980 espone all'Akademie der Künste di Berlino. Nel 1982 una mostra importante tocca alcuni tra i principali musei giapponesi: il Seibu Museum of Art di Tokyo e il National Museum di Osaka. L'ultimo ciclo pittorico di Dubuffet è quello dei Non Lieux (1978-1985). Jean Dubuffet muore a Parigi nel 1985. All'inizio della sua carriera, Jean Dubuffet appare titubante sul proprio destino e la propria vocazione artistica. Solo passati i 40 anni, nel 1942, decide di dedicarsi definitivamente e completamente alla pittura. Lo fa con grande entusiasmo e dedizione, ma anche a modo suo. I primi lavori richiamano Picasso e gli Espressionisti, ma sono soprattutto pervasi della spontaneità infantile. Sono senz'altro di tipo figurativo e di consistente impatto cromatico. In essi però risulta già presente quell'attenzione per la materia che sarà tipica dell'informale. Dubuffet non ama l'arte da museo, i capolavori delle cosiddette "Beaux-Arts". Lo attira piuttosto il vasto repertorio di immagini dei bambini, dei malati di mente, dei primitivi: quella che definisce "Art Brut". Come dichiara lui stesso, non bisogna andar lontano per cercare le rarità, basta guardarsi attorno, perché anche le cose brutte nascondono meraviglie insospettate. Anche l'uomo medio, secondo Dubuffet, coi mezzi comuni a sua disposizione può creare autentici capolavori. Ripeterà su per giù il medesimo concetto in occasione della sua mostra del 1946 presso Drouin. E lo farà ancora l'anno successivo, nel primo fascicolo dell'Art Brut, dove afferma senza mezzi termini che: "quel che si guasta nell'opera d'arte quando si vuol far meglio è l'ingenuità...". Quella che ha chi non è del mestiere e dipinge per uso proprio o passione. I suoi interessi non si limitano a tradursi in semplici dichiarazioni di principio. Sin dai primi anni '40, infatti, organizza mostre di lavori di alienati mentali ed emarginati. Addirittura, a partire dal 1945, inizia a raccoglierne le opere. Dubuffet è affascinato dal loro modo istintivo e immediato di lavorare. Una naturalezza che lo conduce ad elaborare egli stesso forme elementari e infantili. Molto presto, l'interesse per le espressioni artistiche primitive porta Dubuffet a scoprire le materie primigenie, grezze e originarie. Nascono così le Hautes Pâtes (1945-1946) e i Portraits (1946-1949), che per consistenza e fattura della materia pittorica indirizzano la sua ricerca verso soluzioni di tipo informale. Diversa è però l'impostazione esistenziale, che in Dubuffet è più ironica che drammatica. I ritratti, ad es., che a prima vista appaiono così caricaturali, grotteschi, non rispondono affatto a propositi di denuncia morale, ma semplicemente a richiamare l'attenzione dello spettatore e a stimolarne l'immaginazione. Gli Assemblages e le Texturologies, che porta avanti dal 1953 al 1959, gli consentono di interagire con la materia. Nei dipinti vengono inseriti elementi di varia provenienza, parti di oggetti, frammenti animali e vegetali. Talvolta affiora un'immagine, frutto di un procedimento inconscio, che non ha nulla a che vedere con l'automatismo di matrice surrealista. L'unica casualità che Dubuffet ammette è quella della pittura e della materia. "L'arte deve nascere dal materiale... e deve mantenere la traccia dello strumento... Ogni materiale ha il proprio linguaggio" (Notes pour les fins-lettrés). A partire dal 1961 la produzione artistica di Jean Dubuffet registra un graduale mutamento stilistico. All'interno dell'opera le forme perdono di consistenza materica, ma acquistano contorni e colore. Diverse immagini vengono affastellate, incasellate all'interno di vaste composizioni, alla stregua di paesaggi. Dal 1962 le immagini cominciano a venire sagomate e ricomposte come in un "puzzle", le cui tessere sono dipinte di bianco o a tratteggi obliqui, nettamente delimitate da contorni neri. Il ciclo di opere viene denominato Hourloupe (1962-1974). Con esso Dubuffet intende mettere alle strette le capacità percettive dell'osservatore, privato dei normali riferimenti visivi. Negli stessi anni Dubuffet realizza sculture, allestimenti teatrali e opere ambientali. Al 1968 risale uno dei suoi testi fondamentali, l'Asphyxiante culture. In esso contrappone la cultura imperante a quella dei folli e dei bambini. In particolare, si schiera contro la funzione sociale dell'arte per stimolare la ribellione e la creatività individuale, fonte di nutrimento per l'intero gruppo. Echi dell'opera di Jean Dubuffet si ritrovano nei lavori di Tápies, Burri, e in alcuni esponenti dell'Arte Povera. Elementi formali, come il suo caratteristico modo di stipare l'immagine in maniera inverosimile con figure e presenze, lo accomunano persino ai graffitisti di oggi.
 

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:bow::bow::bow:

Un grandissimo
Ancora mi ricordo dopo tanto tempo come se fosse ieri quest'opera superlativa al museo cantini a marsiglia
 

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CARLO ZINELLI
02/07/1916 - 27/01/1974

CARLO ZINELLI è nato a San Giovanni Lupatoto (Verona) il 2 luglio 1916 da Alessandro, falegname per tradizione familiare e da Caterina Manzini.
Sesto di sette figli. A tre anni rimane orfano di madre. Frequenta ripetutamente per tre anni la prima classe della scuola elementare (a marzo/aprile veniva ritirato dalla scuola e adibito ai lavori in campagna), all'età di nove anni abbandona definitivamente la scuola ed è ospitato presso una famiglia contadina a sorvegliare il bestiame. Carlo trascorre gran parte della sua infanzia presso questa famiglia. Nel 1934 si trasferisce a Verona per lavorare presso il Macello Comunale di Verona.
Nel 1936 terminato il servizio militare, è arruolato nel Battaglione Trento dell'11° Reggimento del corpo degli Alpini, nel 1939 è imbarcato da Napoli come "volontario" nella guerra di Spagna. Evento che lo segnerà per tutta la vita. Rimpatriato dopo soli due mesi con gravi turbe psichiche. Tra il 1941 e il 1947 Carlo entra periodicamente in Ospedale, combatte con la malattia subendo frequenti elettroshok e trattamenti di insulina. Il 9 aprile 1947 è definitivamente ricoverato all'Ospedale Psichiatrico di San Giacomo alla Tomba di Verona con una diagnosi di schizofrenia paranoide.
Da questo momento, isolatosi e allontanato dal mondo, la vita di Carlo si svolge apparentemente senza avvenimenti fino al 1957, quando l'Atelier di pittura creato dallo scultore scozzese Michael Noble e dal professor Mario Marini, con il consenso del direttore Cherubino Trabucchi costituisce finalmente il mezzo d'espressione della sua personalità che nell'arco di 18 anni d'attività realizzerà ben oltre 2.000 opere.
Alla partenza di Marini nel 1961 e di Noble nel 1964 subentrerà Vittorino Andreoli. Attraverso Andreoli le sue opere sono presentate a Debuffet che lo considera, assieme a Breton, un interessante rappresentante dell'Art Brut. Dubuffet stesso acquisisce un numero considerevole di opere di Carlo che poi donerà alla Collection d'Art Brut de Losanna
La sua opera ha, già in questi anni, interessato e fatto scrivere critici d'arte e scrittori italiani tra i quali Buzzati (inaugurerà la prima mostra presso la Galleria la Cornice di Verona nel 1957) Moravia, Cederna, Trucchi e altri ancora.
Da metà degli anni 50 al 1972, allo scopo di sensibilizzare i media e l'opinione pubblica nei confronti di questi artisti, i quadri di Carlo sono esposti in diverse città europee e italiane (Parigi, Berna, Liège, Verona, Milano, Roma, Pavia e altre ancora); in una di queste, un giornalista gli chiede spiegazioni su un quadro: "Carlo cosa rappresenta quest'opera ?" Egli rispose: "se no te si ******* guarda!" Anche questo era Carlo.
Il 27 gennaio 1974 Carlo muore di polmonite presso l'Ospedale di Chievo (VR)
Nel 1992 con la grande Mostra di Verona presso il Museo di Castelvecchio (oltre 150 quadri) Carlo inizia il suo nuovo percorso di Artista a disposizione del grande pubblico.
Il successo e l'interesse si moltiplica tanto da favorire numerose iniziative, convegni e mostre.
I quadri di Carlo attraverso personali e collettive sono esposti in gallerie e musei di tutto il mondo.
Nel 1993 a New York, Madrid, Basilea e Dresda, nel 1994 a Chicago, Philadelphia, Milano e Garda, nel 1995 a Parigi, Tokyo, nel 1996 a Venezia, Parigi e Londra, nel 1997 a Genova, Pavia, Bratislava e Lodi, nel 1998 a Chicago, Ginevra e Vence, nel 1999 a Weimar, Sidney, Livorno, Zwolle, al Parlamento Europeo di Bruxelles, nel 2000 a Strasburgo e Milano, nel 2001 a Zurigo, Lugano e New York, nel 2002 ad Anghiari e a Begles -FR, nonché a Verona nella grande mostra tematica sugli Alpini, nel 2003 a Trento, Santa Fe, Verona, nel 2004 a Bruxelles, Losanna, Bratislava, Massa, Lilla, Les Sables d'Olonne e a Sèté.
Nel 2005 proseguono i progetti didattici per gli alunni delle scuole elementari e medie
Per il 2006 sono previste mostre in Estonia e Finlandia.
– – – – –
Carlo Zinelli, un grande artista che, se non avesse "incontrato" la malattia forse non avrebbe mai pitturato, essa lo ha reso "libero" di esprimersi.
Carlo è uno di quei casi al quale la terapia dell'arte ha vinto sulla terapia della medicina.
Nel 1997, allo scopo di tutelare e valorizzare l'immagine dell'uomo e dell'artista, nasce a San Giovanni Lupatoto, luogo di nascita di Carlo, la Fondazione Culturale Carlo Zinelli.
Nel 2000 è stato realizzato Il Catalogo Generale delle Opere di Carlo Zinelli. Catalogo Marsilio Editori
 

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:bow:
Bravo Macho
complimenti per aver iniziato a far luce su un tipo di arte che almeno finora, ed almeno in Italia, stenta ad essere considerata.

Personalmente mi occupo degli artisti che hanno una disabilità mentale e che, come per coloro che soffrono di malattie mentali vengono spesso isolati se non internati.
Queste persone dipingono/scolpiscono per necessità assoluta, perchè è il loro unico modo per esprimersi, di stare al mondo, per ricevere un minimo di attenzione...
e così facendo in mezzo a loro vi sono degli artisti straordinari come nel caso di Zinelli del quale ho visto una mostra poco tempo fa qui a Torino in una galleria d'arte, la Rizomi Art Brut dedicata appunto a questo genere d'arte. :clap:
 
Ciao giustino! si è una forma d'arte in italia praticamente sconosciuta....ma bisogna ricordare che il secondo artista più pagato al mondo nel 2013 si ispira in parte a questa forma d'arte...
Hai per caso dei link o dei contatti dove poter visionare o reperire opere di questo tipo?
Grazie!
 
Ciao giustino! si è una forma d'arte in italia praticamente sconosciuta....ma bisogna ricordare che il secondo artista più pagato al mondo nel 2013 si ispira in parte a questa forma d'arte...
Hai per caso dei link o dei contatti dove poter visionare o reperire opere di questo tipo?
Grazie!

Per quanto riguarda Zinelli e l'Art Brut puoi rivolgerti alla galleria Rizomi di Torino Rizomi Art Brut
Penso che sia l'unica in Italia specializzata in tal senso.

Per quanto riguarda le opere delle persone diversamente abili puoi per cominciare informarti sulla manifestazione Arte Plurale che si fa da più di 20 anni qui a Torino
Arte Plurale

e per darti un esempio di un autore fra i miei preferiti:
http://www.comune.torino.it/pass/php/4/img/Arte Plurale/della malva girolamo.pdf

Anche per questo tipo di arte c'è una galleria gestita dal Comune di Torino "InGenio arte contemporanea".

C'è anche un libro dal titolo uscito da poco "L'Arte dei margini" Franco Angeli ed. lo trovi da Feltrinelli

Per qualsiasi altra info chiedi... è il settore dell'arte che più mi interessa.

Chi è l'artista secondo più pagato al mondo che non lo so?
 
Jean Michael Basquiat!!!
 

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E cosa mi dite del grande pietro ghizzardi pittore contadino e grande esponente dell'art brut/naife???
Ora in mostra al museo MAI (museo di arte irregolare di cremona)?

Mai museo, Villa Cattaneo, Sospiro Cremona


Biografia
Pietro Ghizzardi (Viadana, 20 luglio 1906 – Boretto, 7 dicembre 1986
Nacque a Viadana nel 1906 da famiglia contadina. Iniziò giovanissimo a tracciare le prime figure sui muri di case e cascinali con pezzi di carbone. Alternò la sua attività di contadino a quella di pittore naïf per circa trent'anni. Il riconoscimento ufficiale della sua arte avvenne nel 1961 in occasione di una mostra a Guastalla dove il pittore si presentò per caso ed ottenne grandi riconoscimenti. È considerato come esponente dell'Art Brut. Vinse il prestigioso Premio letterario Viareggio con il libro "Mi ricordo anchora" nel 1977. Alla mostra nazionale dei NaÏfs 'Città di Luzzara' del 1968 ricevette la medaglia d'oro del Presidente della Repubblica.



Cultura
mondo contadino
pietro ghizzardi
pittura
val padana
vittorio sgarbi
Versione stampabile


diPaolo Fontanesi3 Luglio 2011

«C’è un uomo nella bassa sui settant’anni che si chiama Pietro Ghizzardi ed è un grande uomo. Ma da parecchio prima che cominciasse a dipingere e a far parte della trinità padana dei naïfs, Ligabue, Rovesti e lui. La pittura non c’entra con il tipo di grandezza cui mi riferisco, essendo grande perché ha sofferto grandemente, perché è stato umiliato grandemente, e nelle pagine di questo libro con qualche accento profetico domanda: “Fino a quando continuerete a fare questo?». Così scriveva Cesare Zavattini, nella prefazione al libro, Mi richordo anchora, l’autobiografia scritta da Pietro Ghizzardi, pubblicata da Einaudi nel 1977. Volume col quale Ghizzardi vinse il prestigioso Premio letterario Viareggio.
Nato a Viadana nel 1906, di origini umilissime, Ghizzardi ha portato fin da subito nella sua pittura, l’impronta segnata dalla vita dura del contadino. Dipingere era per lui un modo per godersi la vita, di ritrarre le cose che vedeva e che lo commuovevano. Il giovane pittore provvedeva perfino a distillare le erbe, come i monaci medioevali, per farne dei colori e questo basterebbe a farcelo simpatico: un giovane fuori dalla mediocrità, fin dal principio.
Il primo riconoscimento per le sue opere Ghizzardi lo riceve solo nel 1961, con la prima importante mostra d’arte “Città di Guastalla”. Nel 1968 espone alla mostra nazionale dei Naifs, nella “Città di Luzzara”, dove riceve la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica. Ma il successo pieno arriva nel 1977, quando vince il “Premio letterario Viareggio” con l’autobiografia Mi richordo anchora, con note di Cesare Zavattini.
Le sue figure femminili, i volti di donne, i corpi seminudi, a volte pornografici, sono le icone della sua pittura, quelle celebri e quelle semplicemente incontrate, considerate una chiave di lettura primaria per scoprire il suo mondo pittorico ed umano, fatto di passioni travolgenti e di inquietudini della mente. Le sue figure di donne con le mammelle esposte e le gambe scosciate, rimangono come fantasmi suggeriti da un istinto che si esprime in puri termini di fantasia.
Il colore in Ghizzardi è spesso assente. Sostituito da tinte nere, caliginose. Il pittore si affida specialmente al contorno nero che delinea la figura, rendendola parte di un mondo assente, irreale, quasi fumettistico. In Ghizzardi esiste il sentimento dell’Art Brut, che manifesta il sentimento primario delle sue emozioni. Egli è il pittore contadino per eccellenza, sicuramente emarginato, come lo era stato un altro suo celebre pittore padano, come Antonio Ligabue.
Proprio il Centro Studi Antonio Ligabue, di Parma, presieduto dall’editore Augusto Agosta Tota, ha in programma l’edizione di una monografia completa e oroginale, di tutte le opere esistenti di Pietro Ghizzardi, in collaborazione con la Casa Museo Pietro Ghizzardi di Boretto, che detiene i diritti dell’artista. La prestigiosa pubblicazione, ancora in fase di progetto, verrà curata da Marzio Dall’Acqua e da Vittorio Sgarbi, che è stato fin dall’inizio uno dei più importanti sostenitori e promotori dell’opera dell’artista padano.
 

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Grande!! vai a vedere nel 3d collezionisti fai da te...:cool:
 
Paul DUHEM


è nato il 26 luglio 1919 a Elandain, figlio di ragazza madre, nella campagna belga del dopoguerra. Considerato la vergogna della famiglia, cresce tra i sarcasmi dei coetanei e le punizioni corporali del nonno. Nonostante tutto impara a leggere. Allevato dai nonni, dopo le scuola elementari lavora come stagionale nelle vicine fattorie. Di temperamento ribelle, come molti uomini a quest’epoca si lascia andare a bere un po’ più del dovuto e questo lo porta a numerosi litigi con il suo patrigno. Durante la seconda guerra mondiale si rifugia in Germania: arruolato come operaio, per tutta la durata della guerra Paul installa le rotaie delle ferrovie per i tedeschi. Al ritorno viene arrestato ed in seguito internato nell’Ospedale Psichiatrico di Tournai, “Les marronniers”. Come molti altri suoi compagni Paul viene “utilizzato” come contadino presso le fattorie a cui il massacro della guerra aveva sottratto mano d’opera. Il suo carattere non cambia e fa di tutto per far rispettare i suoi diritti di lavoratore. Il resto del tempo lo passa in ospedale dove le sue condizioni di vita si degradano. Nel 1978, Paul viene ammesso alla Pommeraie dove si occupa di orticoltura. Solo nel 1991, all’età di 70 anni, inizia a frequentare l’atelier di Bruno Gerard, utilizzando inizialmente solo materiale che si porta da casa e che usa con molta parsimonia. Conosce da vivo gli onori di una retrospettiva monografica alla Collezione dell’art brut a Losanna quando dipingeva da soli 7 anni. Carta di recupero o fogli dell’atelier tagliati con il suo coltello, scatole di sardine come paletta per i suoi colori all’olio, pastelli grassi, bic, pennarelli, matite colorate sono i materiali che utilizza. Quando sceglie un colore lo utilizza fino alla fine del tubetto: questo procedimento ha dato vita alla serie dei blu, dei verdi, dei rossi ecc. L’opera di Paul Duhem è caratterizzata da una forte geometrizzazione e da una grande economia di mezzi. Ciò che colpisce è prima di tutto la dimensione seriale del suo lavoro artistico: i soggetti affrontati sono principalmente due, le casette-porte e i personaggi, ma la lettura della sua opera è affidata alla pazienza e alla cura di chi osserva. Porte di casa sempre chiuse, a volte accompagnate da una finestra e ritratti esclusivamente maschili, il vero filo rosso della sua produzione, che si ripetono all’infinito. Ben lontani dall’essere sempre la stessa persona, ciascuno rivela un’emozione unica, istantanea e passeggera.
 

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Paul DUHEM


è nato il 26 luglio 1919 a Elandain, figlio di ragazza madre, nella campagna belga del dopoguerra. Considerato la vergogna della famiglia, cresce tra i sarcasmi dei coetanei e le punizioni corporali del nonno. Nonostante tutto impara a leggere. Allevato dai nonni, dopo le scuola elementari lavora come stagionale nelle vicine fattorie. Di temperamento ribelle, come molti uomini a quest’epoca si lascia andare a bere un po’ più del dovuto e questo lo porta a numerosi litigi con il suo patrigno. Durante la seconda guerra mondiale si rifugia in Germania: arruolato come operaio, per tutta la durata della guerra Paul installa le rotaie delle ferrovie per i tedeschi. Al ritorno viene arrestato ed in seguito internato nell’Ospedale Psichiatrico di Tournai, “Les marronniers”. Come molti altri suoi compagni Paul viene “utilizzato” come contadino presso le fattorie a cui il massacro della guerra aveva sottratto mano d’opera. Il suo carattere non cambia e fa di tutto per far rispettare i suoi diritti di lavoratore. Il resto del tempo lo passa in ospedale dove le sue condizioni di vita si degradano. Nel 1978, Paul viene ammesso alla Pommeraie dove si occupa di orticoltura. Solo nel 1991, all’età di 70 anni, inizia a frequentare l’atelier di Bruno Gerard, utilizzando inizialmente solo materiale che si porta da casa e che usa con molta parsimonia. Conosce da vivo gli onori di una retrospettiva monografica alla Collezione dell’art brut a Losanna quando dipingeva da soli 7 anni. Carta di recupero o fogli dell’atelier tagliati con il suo coltello, scatole di sardine come paletta per i suoi colori all’olio, pastelli grassi, bic, pennarelli, matite colorate sono i materiali che utilizza. Quando sceglie un colore lo utilizza fino alla fine del tubetto: questo procedimento ha dato vita alla serie dei blu, dei verdi, dei rossi ecc. L’opera di Paul Duhem è caratterizzata da una forte geometrizzazione e da una grande economia di mezzi. Ciò che colpisce è prima di tutto la dimensione seriale del suo lavoro artistico: i soggetti affrontati sono principalmente due, le casette-porte e i personaggi, ma la lettura della sua opera è affidata alla pazienza e alla cura di chi osserva. Porte di casa sempre chiuse, a volte accompagnate da una finestra e ritratti esclusivamente maschili, il vero filo rosso della sua produzione, che si ripetono all’infinito. Ben lontani dall’essere sempre la stessa persona, ciascuno rivela un’emozione unica, istantanea e passeggera.

Interessante, si trova in giro? A che quotazioni!
 
Le ultime aggiudicazioni sono a prezzi popolari dai 300 ai 1000 in aste francesi e tedesche da quello che ho visto
 
Le ultime aggiudicazioni sono a prezzi popolari dai 300 ai 1000 in aste francesi e tedesche da quello che ho visto

L'arte cosiddetta "irregolare" ha davvero dei prezzi molto bassi. :yes:
Questi artisti dipingono/scolpiscono per necessità e non per il mercato ed hanno ovviamente difficoltà a proporsi sia nelle gallerie che nei musei.:wall:
Hanno bisogno dell'aiuto di qualcuno che faccia questa parte per loro.

Da un pò di tempo l'attenzione della critica e delle gallerie si sta manifestando.
Impossibile che artisti così bravi rimangano emarginati!:eek:

Non mi occupo di collezionismo, anche se ho diversi lavori in casa in genere regalati o frutto di scambio.
Il mio consiglio: collezionate arte "irregolare" prima che avvenga il boom.:yeah::eekk:
 
La Vita
Pietro Ghizzardi nasce alle sei del mattino del 20 luglio 1906 a Corte Pavesino sita nella frazione di San Pietro di Viadana, in provincia di Mantova.
I genitori, Antonio e Maria Flisi, sono contadini fittavoli.
Il padre, quando nasce Pietro ha quarant'anni e lo denuncia all'anagrafe con il doppio nome di Pierino Dante.
E' il secondo di tre fratelli, Marino il più vecchio e Amabilia, la più giovane.
1911- Pietro disegna con un tizzone spento del focolare ('una carbonella') una Madonnina sul muro davanti al suo letto. Ha solo 5 anni, questa può considerarsi la sua prima opera d'arte purtroppo perduta. Il disegno non viene apprezzato e la madre sgrida severamente Pietro per avere imbrattato l'intonaco. Ma, ciò non serve a distoglierlo dal suo 'gioco' preferito e con il carbone del camino si diverte a tracciare figure di animali sui muri e i pavimenti di casa sua.
1918- Fa la prima Comunione, dopo avere saltuariamente frequentato le scuole elementari fino alla terza. La sua salute è debole.
1919- A tredici anni, come spiega nell'autobiografia 'Mi richordo anchora', ha per cosìdire, il primo contatto con l'arte, rimane affascinato dalla maestria di un vecchio disegnatore di cifre in stile gotico sulla biancheria per la dote delle signorine. Pietro osserva l'anziano che si chiama Rodolfo, e cerca di imitarlo.
1929- Pietro nutre un affetto particolare per la nonna, alla quale mostra per prima i suoi lavori, e proprio in quell'anno passa dalle cifre gotiche a schizzare forme del volto, disegna nasi, menti, bocche, si sofferma, in particolare sugl'occhi.
1930- Segue la famiglia che si trasferisce a Cogozzo, sempre in provincia di Mantova. Sono di quest'anno i primi dipinti murali di Ghizzardi, nei vecchi cascinali della Bassa. Dipinge la prima donna che colpisce la sua fantasia di uomo semplice: Carolina Invernizio. Nella galleria dei suoi personaggi c'è pure il Pontefice e la maestra dell'Oratorio. Fa quadri di grandi dimensioni che appende alla finestra della sua camera e sotto il portico di casa perchè i passanti li possano ammirare.
1931/32- Un altro San Martino, cosÏ si chiamano i traslochi dei contadini. Il padre finisce in un podere ai confini fra Poviglio e Brescello: poi si ferma a Santa Croce di Boretto, dove ora la nipote Nives Ghizzardi, ha costituito una casa-museo alla sua memoria. D'ora in poi il suo habitat diventa la Bassa Reggiana. Boretto in particolare. Pietro continua a dipingere ed a lavorare nei campi. Crede fermamente nelle sue qualità di pittore, solo la sua tenacia e la sua forza interiore gli permettono di continuare. Fortunatamente i giudizi della gente non lo interessano. Da vero 'espressionista padano' esprime coi colori fatti d'erbe e sostanze naturali ciò che sente, ciò che prova, ciò che vede cogli occhi dell'anima e della mente. Il successo arriverà più tardi. Ma non è questo che il pittore-scultore e scrittore cerca.
1961- Riceve il primo riconoscimento ufficiale alla mostra d'arte 'Città di Guastalla', una sua opera viene premiata con medaglia d'oro. Ghizzardi con gli stivaloni ed il cappotto, stretto da un tabarro, il cappello ornato di piume, con diverse tele legate alla meno peggio dietro alla schiena si presenta in Comune per partecipare alla mostra. L'addetto a ricevere i quadri risponde seccato 'Qui non síaccettano giramondi, gli straccioni' . Ghizzardi, poi ci ripensa, si ripresenta, spiega da chi è stato mandato e finalmente le sue opere vengono accettate per essere esposte in mostra. Erano le più belle.
1968- Alla mostra nazionale dei NaÏfs 'Città di Luzzara' riceve la medaglia d'oro del Presidente della Repubblica. Ormai Pietro è conosciuto, amato e rispettato, ma lui rimane sempre uguale, non cambia nè carattere, nè modo d'abbigliarsi. Nello stesso anno viene premiato con l'oro alla mostra internazionale di grafica contemporanea a Vignola. I critici d'arte e non solo loro iniziano ad accorgersi di lui.
1969- Dipinge il ciclo d'affreschi di Casa Sogliano-Pini, una residenza di caccia edificata nei primi anni del secolo scorso,durante il periodo Napoleonico. La Casa, tutt'ora abitata, si trova nel centro storico di Boretto.
1973- Ghizzardi viene premiato con medaglia díoro al premio Fratelli Branca a Concordia di Modena.
1977- Arriva il successo pieno. L'autobiografia 'Mi richordo anchora' a cura di Gustavo Marchesi e Giovanni neri, con note di Cesare Zavattini, edita da Einaudi, vince il premio letterario Viareggio: Opera prima per la narrativa. Ghizzardi ormai è un grande per il largo pubblico, di lui parlano le cronache, è famoso. A Boretto continuano a trattarlo con semplicità, per tutti è il Pietrone, il paese lo ama, lo stima e lo tratta con benevolenza ed affetto.
1980- Viene edito da Vanni Scheiwiller a Milano il secondo libro di Ghizzardi: 'A Lilla' a cura di Giovanni neri e Gustavo Marchesi.
1983 - Dipinge casa Morelli a Parma, dove campeggia un'ultima cena che occupa un'intera parete oltre ad un grande ritratto di famiglia .Vince l'oro al premio di pittura 'Trofeo d'Arte' a San Benedetto Po' (MN) .
1984/85- IL libro 'Mi richordo anchora', e inciso su un disco dall'Ariston (collana di cultura popolare a cura di G.neri, musiche di G. Carlo Nalin, Milano) e ridotto per una rappresentazione teatrale a cura di Enzo Robutti e Gustavo Marchesi. L'Opera è messa in scena dalla compagnia del Collettivo di Parma con la regia di Gigi Dall'Aglio. Il debutto avviene al Teatro Due nella città ducale e lo spettacolo sarà replicato nei maggiori teatri italiani.
1986- Il 7 dicembre di quell'anno Pietro Ghizzardi muore a Boretto. Il suo funerale viene svolto secondo le sue volontà: la bara è trasportata al cimitero su un carro da contadini trainato da un cavallo. Su Ghizzardi vengono girati film e documentari.
1986- Curato da Giovanni neri escono, per i Tipi Pivetti di Mirandola, 2 inediti letterari dell'artista dal titolo: 'Giulietta e Romeo' e il 'Bambino di Viareggio rapito' .

Le sue opere sono esposte nei seguenti musei:
-Museo Nazionale NaÏfs di Luzzara (Mantova)
-Museo del Castello Laval di Parigi
-Museo di Montecatini Terme
-Museo di Modena
-Museo Art NaÏf de l'Il de France
-Casa Museo 'Al Belvedere',Boretto (Reggio Emilia),l'abitazione del pittore.
 

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E'presente anche in molti altri musei internazionali come questo di tokyo:cool:


Ghizzardi al Setagaya Art Museum, Tokyo
Homage to Henri Rousseau. The World of Naive Painters and Outsiders è il titolo della rassegna che si svolgerà al Setagaya Art Museum di Tokyo dal 14 settembre al 10 novembre 2013, a cura di Nozomi Endo. Due opere di Ghizzardi, appartenenti alla collezione del museo giapponese, saranno presenti all'interno dell'itinerario espositivo che esplora le manifestazioni della creazione artistica outsider e naif del '900 al fianco, tra gli altri, di Henri Rousseau, Joan Mirò, Max Ernst, Yayoi Kusama. La mostra si pone l'obbiettivo ideale di indagare, attraverso le oltre 140 opere esposte, le ragioni che hanno indotto grandi maestri così come molti artisti minori ed alcuni ancora pressoché sconosciuti, spesso autodidatti e/o istituzionalizzati, a fare dell'arte - nelle sue manifestazioni più primitive e dunque primigenie - il veicolo espressivo attraverso il quale imprimere il proprio lascito estetico e personale nella Storia dell'Arte.

Per ulteriori informazioni:
Setagaya Art Museum

Homage to Henri Rousseau. The World of Naïve Painters and Outsiders
 
aggiungo un'altra bella selezione di sue opere compresi affreschi e cicli degli animali!
 

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MATTIA MORENI

Piccolo albero 1960Mattia Moreni (Pavia 1920 - Ravenna 1999) frequenta per un breve periodo - tra il '40 e il '41 - l'Accademia Albertina di Torino, senza portare a termine gli studi. Il rifiuto dell'ambiente accademico può essere letto in relazione al temperamento dell'artista, poco congeniale a seguire un iter di apprendimento scolastico. Non è inoltre da sottovalutare la presenza di Felice Casorati in qualità di titolare della cattedra di Pittura presso la stessa Accademia. Il prestigio raggiunto nella passata stagione pittorica, lontana da implicazioni avanguardistiche, conferisce a Casorati un'autorità estetica non condivisa dal giovane Moreni, che rivelerà invece una maggiore attenzione per le avanguardie storiche. Verso il '45, infatti, il suo lavoro si caratterizza per il tono acceso dei colori di ascendenza espressionista e per il vigore delle pennellate, anch'esse altamente espressive, come si coglie in Il gallo e le angurie . Nel 1946 realizza la prima mostra personale presso la Galleria La Bussola, presentata dall'architetto Carlo Mollino. Allo stesso anno risale l'influenza della pittura postcubista di matrice picassiana che si manifesta attraverso la distribuzione uniforme delle campiture cromatiche e l'irrigidirsi del disegno. L'intensità emotiva della pennellata si raffredda a favore di un linguaggio pittorico mentale. Predomina l'aspetto riflessivo su quello istintuale; è l'assetto compositivo delle linee tracciate, l'equilibrio della struttura d'insieme a stabilire le coordinate di lettura. La diffusione del linguaggio postcubista nel panorama artistico italiano avviene attraverso il lavoro di Pablo Picasso che in Guernica (1937) riassume gli orrori della guerra e la crisi dei valori umani. Il Cubismo inoltre, sebbene non rappresenti nel dopoguerra una radicale innovazione estetica, resta un movimento d'avanguardia che agli occhi di chi è appena uscito dal Novecento costituisce lo scarto linguistico necessario per impostare un discorso aggiornato e di respiro europeo. Il rifiuto della griglia prospettica e del relativo ordinamento visivo favorisce la sospensione di ogni approccio mimetico. In Figura di donna del '48, ad esempio, l'assenza di riferimenti somatici utili a riconoscere l'identità o la personalità del soggetto ritratto, mette in luce il disinteresse verso il dato naturale di solito presente in questo genere pittorico. La figura di donna è solo un pretesto formale per applicare i moduli geometrici previsti dal canone postcubista. Ne risulta un complesso architettonico che perde in parte la propria lucidità costruttiva là dove l'impianto geometrico mal si presta a definire i lineamenti più sfumati e mutevoli. All'altezza del volto si coglie una concentrazione di linee curve e sghembe che indicano in modo approssimativo i tratti somatici principali. Di conseguenza anche la distribuzione del colore, avvenendo entro campi geometrici, perde parte della sua uniforme regolarità ogni qualvolta l'organizzazione delle forme si fa più incerta. La qualità timbrica della cromia rafforza la struttura d'insieme a favore di un rigore mentale, di una visione razionale che negli anni a venire si rivela poco consona all'estro creativo dell'artista. Già in occasione della XXIV Biennale veneziana del '48, Mattia Moreni espone opere in cui si realizza un buon equilibrio tra i motivi rettilinei e quelli curvilinei. Qui l'autore predilige il genere della natura morta che, a differenza del ritratto, è forse più aperto a soluzioni astratte.

I primi anni Cinquanta segnano il graduale ammorbidirsi delle linee, mentre le campiture cromatiche accolgono sfumature chiaroscurali. Il valore timbrico del colore cede lentamente il posto a quello tonale, senza per questo scadere in effetti atmosferici. Le opere di questo periodo, molte delle quali dedicate al porto di Antibes, mantengono un sottile equilibrio tra i dati desunti dalla realtà esterna e quelli concepiti in modo autonomo dall'autore. Una stagione pittorica, questa, in linea con la formula "astratto-concreta" elaborata dallo storico dell'arte Lionello Venturi in occasione della XXV Biennale di Venezia. Quest'ultimo, su invito di Corpora, accetta di sostenere col proprio contributo teorico un manipolo di artisti riconosciuti come il "Gruppo degli Otto": Afro, R. Birolli, A. Corpora, M. Moreni, E. Morlotti, G. Santomaso, G. Turcato e E. Vedova. Si tratta di uno schieramento eterogeneo e non di un movimento organico guidato da una propria linea di pensiero diffusa attraverso la produzione di manifesti. Venturi, infatti, al momento di definire il linguaggio pittorico degli "Otto", si limita a indicare l'orientamento poetico in termini troppo generali per far emergere un effettivo sodalizio estetico. La ragion d'essere della formazione è da cercarsi piuttosto nelle possibilità tattiche offerte da un gruppo compatto e dalla sua forza d'impatto sulla realtà del mercato e dell'attività espositiva. Si vedano, ad esempio, le mostre realizzate all'estero, in particolar modo in Germania grazie al sostegno critico di Will Grohmann. Nel 1954, tuttavia, il "Gruppo" si scioglie a causa della divergente formazione artistica dei singoli componenti molti dei quali, coerenti col proprio sviluppo creativo, sono indotti a spezzare il difficile equilibrio "astratto-concreto".

A quest'anno risale la nuova chiave di lettura dell'opera moreniana da parte di Francesco Arcangeli. Lo scritto Gli ultimi naturalisti, apparso nella rivista "Paragone" nel mese di novembre, non allude ad un organizzato schieramento artistico, ma riconosce come aspetto aggregante di autori dissimili una visione della natura estranea ad ogni criterio verosimile. In tal senso Arcangeli parla di paesaggio impensabile in termini di cronaca e di verità letterale, poiché in pittori come Pompilio Mandelli, Ennio Morlotti o appunto Mattia Moreni la natura ha già consolidato la propria presenza nella memoria e nello spirito. L'uomo dietro la staccionata (1954) testimonia in parte questo "paesaggio interiore" che se da un lato rifiuta la registrazione fedele delle cose, dall'altro non rinuncia a rilevare la forza vivificante della natura, come si deduce dalle pennellate in grado di imprimere sulla tela la loro tensione vitale. Il segno pittorico è così definito e carico di energia da raggiungere una dimensione autonoma con una propria identità iconografica. Le pennellate stese in basso a destra, grazie all'equilibrata struttura compositiva, sembrano quasi assumere il rilievo linguistico di un ideogramma. Ma a parte certi spunti razionali, che affiorano come repentini inserti sintattici, l'orientamento artistico di questi anni predilige un atteggiamento creativo di tipo anarchico, del tutto libero da regole prospettiche e da criteri mimetici. L'esigenza di violare l'ordine presente in natura non è altro che la risposta alla crisi dei valori civili e umani provocata dal secondo conflitto mondiale. Si configura così un mondo stravolto dalla carica di anarchia sottesa all'azione pittorica, al gesto creativo che prorompe e trasfigura. In Nuvola e roccia (1958) è difficile trovare una corrispondenza tra il soggetto indicato dal titolo e la stesura pittorica, caratterizzata da un'abbondante quantità di pittura senza finalità rappresentative. Il punto focale dell'opera è al centro, dove due campi cromatici s'incontrano dando vita ad uno snodo magmatico. Qui un solco vergato col dito saetta energico e rapido come una scarica elettrica. Moreni evita l'uso del pennello, protesi estranea agli strumenti messi a disposizione dal corpo umano e stabilisce un contatto fisico con la superficie pittorica. Grazie a questa relazione tattile, l'artista fissa il limite estremo del proprio coinvolgimento corporale con l'atto esecutivo.

Sullo scorcio degli anni Cinquanta, dopo aver sperimentato un ampio repertorio di segni generati dalla forza gestuale, nasce l'esigenza di contenere la deflagrante energia creativa per favorire la definizione della forma. L'icona del segno ha ormai esaurito le proprie motivazioni interne, per questo è necessario subordinare l'azione alle intenzioni rappresentative. Prende forma il ciclo dei "cartelli" contraddistinto da un analogo impianto compositivo: su una superficie tendenzialmente monocroma e compatta si stagliano diversi modelli di cartelli. Piccolissimo cartello rosa (1960), o Segnale sul campo, bruciato (1962) sono opere in cui il segno pittorico, grazie alla tensione impressa dall'azione della mano, anima ogni cartello della propria vitalità. Così se il primo, nella sua squadrata compattezza, appare resistere al logorio atmosferico; il secondo, ormai carbonizzato dall'azione del fuoco, sembra essere rimasto turbato dall'incendio. Quest'opera inoltre, riporta in basso a sinistra il proprio titolo scritto in corsivo. La presenza di inserzioni linguistiche tracciate a mano caratterizza la futura produzione artistica e assume quasi il valore di marchio d'autenticità. La comparsa della parola è anche sintomo di una tensione concettuale che non si limita a formulare il titolo del quadro, ma penetra il cuore del messaggio segnaletico. "TOP" è la scritta che appare dipinta sulla superficie bianca di Cartello con top per la terra (1963). L'impiego dello stampatello facilita la lettura e garantisce l'obiettività dell'indicazione, ma si resta tuttavia smarriti da un non so che di ironico: il segnale si limita ad indicare la parte superiore della terra e lascia il lettore del tutto disorientato per la gratuità del riferimento spaziale.
 

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