Certificati di investimento: il punto sullo stato dell'arte

deutschmeister

Finanz-Haudegen !
Registrato
22/8/07
Messaggi
1.031
Punti reazioni
129
I certificati sono prodotti finanziari cartolarizzati nati per offrire a un più vasto pubblico l'accesso a tecniche e strumenti derivati sofisticati, nonchè l'accesso a mercati e sottostanti difficilmente raggiungibili da un pubblico retail. Sviluppatisi inizialmente soprattutto nei Paesi di lingua germanica, i certificati sono stati proposti come strumenti integrativi e complementari ai tradizionali strumenti del risparmio gestito, incontrando nel nord-europa un favore crescente tra il largo pubblico.
Meno travolgente è stato il successo in Italia, ma i dati riflettono comunque un buon grado di diffusione: mentre il deflusso degli investimenti in fondi comuni è triplicato rispetto a fine 2005, il numero di certificati presenti sul SeDeX è cresciuto di circa il 45% dal dicembre 2005 a fine marzo 2007. I volumi intermediati, nello stesso periodo, sono aumentati di circa il 460% (passando da 529 a 2.979 milioni di euro) fino a rappresentare ad oggi quasi la metà dell'intero volume scambiato sul SeDeX .

Numerosi sono i vantaggi che questi prodotti cartolarizzati offrono agli emittenti ( per esempio, acquisto di volatilità all'ingrosso e rivendita al dettaglio (con "cresta"...); parcellizzazione e riversamento esterno del rischio sistemico; finanziamento non penalizzante sui parametri di solidità patrimoniale Tier 1 ; market-making; etc etc ) e ai distributori ( corpose commissioni di distribuzione, grossolanamente quantificabili mediamente in un 5% , del tipo "tutto e subito" ( non spalmate in anni successivi come con i fondi); modesto o nullo grado di assistenza post-emissione al cliente; etc ).

Gli emittenti, accortosi ad un certo punto di essersi legati "mani e piedi" ai distributori, e fronteggiando un rischio di guerra concorrenziale tra poveri, hanno fondato una specie di "cartello" ( ACEPI, che riunisce alcuni tra i più importanti istituti bancari attivi in questo mercato, con più del 70% della quota di mercato: ABN AMRO, Deutsche Bank, UniCredit, Société Générale, Sal. Oppenheim, con la successiva aggiunta di Banca IMI e Goldman Sachs ), anche allo scopo di coordinare la promozione del prodotto, e stilare una specie di codice di condotta, nel ( peraltro lodevole) tentativo di ridurre il grado di opacità e i conflitti di interesse propri al mercato dei certificati.
 
segmentazione in Italia dei certificati di investimento

segmentazione in Italia dei certificati di investimento

L'ACEPI ha proposto di suddividere i cert. di investimento in 3 macrocategorie:
1) capitale protetto/garantito (equity protection, airbag, butterfly, double win, etc )
2) capitale condizionatamente protetto/garantito (bonus, express, TW, cash collect, etc )
3) capitale non protetto/non garantito (benchmark, discount, outperformance (questi ultimi a sua volta comprendenti: outperformance classici, double chance, double up, double power, power, protect outperformance, etc )

( per inciso, l'ACEPI, nella descrizione delle varie tipologie, incorre anche in alcune inesattezze: per es., non precisa che anche in caso di evento barriera, i TW non perdono mai l'eventuale leva al rialzo...)

Qual' è la tipologia più amata dagli italiani? non sorprende che i compatrioti, come noto caratterizzati da una elevatissima avversione al rischio, prediligano in forma massiva gli equity protection ( più del 70% dei volumi scambiati) : quella della "protezione" è un qualcosa che obbedisce a istinti primordiali atavici, quasi una tara antropologica...

Al secondo posto, con circa il 19% dei volumi scambiati, sono i benchmark: addirittura, i benchmark rappresentano, come numero di strumenti, la maggioranza, superiore ai prodotti a capitale protetto ( i benchmark sono circa il 38% del totale, contro il 33% di questi ultimi) : altra incomprensibile distorsione...perchè mai gli italiani provilegiano un prodotto destinato ad essere perdente, per via dei dividendi, nei confronti di un ETF ? ( si prescinde dai sottostanti rari o esotici o speciali, per i quali i benchmark potrebbero effettivamente rappresentare una soluzione)
e perchè mai comprare un benchmark, quando per esempio un bonus non è altro che un benchmark con un rendimento minimo garantito ( in assenza ovviamente di evento barriera) ?

gli "outperformance" sono fermi all'1,5 % degli scambi: quasi inesistenti, eppure rappresentano quasi il 18% del totale degli strumenti: chissà perchè gli emittenti si ostinano a proporre prodotti così rifiutati dal pubblico...

In Italia sono quotati circa un migliaio di strumenti: in Germania, sono 234.000 ( :eek: ), in Svizzera 18.000 ( circa il 6% dei depositi) ! E' interessante notare che in Germania gli equity protection ( come detto, il 70% del totale, in Italia ) rappresentano solo il 32% del totale...si vede che i tedeschi non hanno quella tara antropologica...

Nonostante la enorme discrepanza per numero di strumenti, la germania ha volumi di scambi "solo" triplo, rispetto all'Italia...e in Svizzera, il volume di scambi è inferiore a quello italiano: che cosa significa? significa che:
- in Italia gli ETF sono più diffusi presso il "piccolo" retail, e i certificati presso investitori più "facoltosi"( sul Sedex, il ticket medio è superiore a 80.000 euro) o istituzionali;
- in Germania, è esattamente il contrario...

David Mandya, di Sal.Oppenh., sottolinea che in Germania i certificati sono in crescita per autonomia di decisione degli investitori, e comunque "spinti" più dai gestori e consulenti indipendenti. In Italia, invece, i certificati sono collocati pressochè esclusivamente da banche e promotori.
 
sottostanti

I certificati di investimento rappresentano circa il 60% di tutti i certificati ( il 38% sono CW, il 2% cert. leverage ).
In Italia, circa l' 80 % di tutti i sottostanti è rappresentato da azioni italiane o indici italiani: un domestic bias travolgente, molto maggiore di quanto non sia in altri Paesi. Gli indici esteri sono solo il 16% di tutti i sottostanti; del tutto marginali le altre classi di sottostanti, con in particolare le commodities che rappresentano circa l'1 % del totale dei contratti scambiati, e appena lo 0,4% del controvalore.

Tuttavia, è proprio il segmento delle materie prime l'unica tipologia di sottostante che ha mostrato una costante crescita, pur rimanendo, come detto, del tutto marginale: l'offerta è passata dai 213 prodotti del 2005 ai 333 di fine 2007 strumenti quotati, cui vanno aggiunti i numerosi prodotti su panieri di commodities o indici "tematici" (energie rinnovabili, acqua, etc ).
L'oro è di gran lunga il sottostante più scambiato.
 
emittenti

quasi 2/3 del controvalore degli scambi è accaparrato da tre emittenti: DB, Unicredit, B. Aletti. Poichè il quarto posto (GS ) ricopre circa il 18% del totale scambi, e il quinto posto (IMI ) non arriva al 10%, è evidente che gli altri emittenti- sono in totale 19- occupano un ruolo del tutto marginale, almeno per volume degli scambi.

La classifica per numero medio di strumenti, vede un rank molto diverso: al primo posto c'è ABN Amro, con circa il 45% del totale : un emittente che , evidentemente, emette certificati come una mitragliatrice, certificati che poi restano dormienti "in magazzino"...
Al secondo posto, IMI, con il 13%, poi Unicredit e DB appaiati con 9%, segue Aletti, con il 7%, GS con 6%, SG con 4%, Abaxbank 4%, altri : 3%.

A spanne, non sembra proprio che il totale degli strumenti emessi sia proporzionale al numero dei coloratissimi e brillanti commercials visibili sulla stampa specializzata e non...evidentemente, le politiche di marketing, e i budget relativi, sono molto diversi...eppure, una ricerca di Newfin/Università Bocconi, ha dimostrato che nello sviluppo della conoscenza dei certificati, i clienti danno scarsissima importanza agli annunci pubblicitari degli emittenti, al pari dei libri specialistici...
sarebbe auspicabile una rivisitazione delle strategie di marketing...
 
Tutto bello mah...

Guarda che bello il book del certificato sul dax di GS:

E dopo guarda il furbo che se n'e' accorto e si e' messo in ask a un prezzo
decisamente piu' alto. Se qualcuno immette un ordine al meglio ci sgama un
gain da paura. E il MM dov'e' finito? E' almeno 20 minuti che e' cosi'....:no::no::no::no::no:
 

Allegati

  • GSDAX.JPG
    GSDAX.JPG
    25,9 KB · Visite: 2.088
  • GSDAX2.JPG
    GSDAX2.JPG
    27 KB · Visite: 2.071
Guarda che bello il book del certificato sul dax di GS:

E dopo guarda il furbo che se n'e' accorto e si e' messo in ask a un prezzo
decisamente piu' alto. Se qualcuno immette un ordine al meglio ci sgama un
gain da paura. E il MM dov'e' finito? E' almeno 20 minuti che e' cosi'....:no::no::no::no::no:

il problema del MM è un problema che va riferito a TUTTI i prodotti finanziari illiquidi...è chiaro che un "vero" mercato non dovrebbe necessitare di un MM...
è difficile trovare una soluzione a questo problema:
a) una variante "dirigistica" presupporrebbe un intervento più incisivo e fattivo della vigilanza, e con sanzioni severe...è purtroppo vero che la vigilanza latita spesso, anche nella considerazione che un attento monitoraggio può essere fatto per via puramente informatica...
b) una variante più "liberista" potrebbe per esempio prevedere l'intervento di più MM, in concorrenza tra loro...tutto sommato, il market-making è abbastanza lucroso, specie se compiuto in via automatica o semi-automatica, tramite software dedicati.
 
sottoscrittori

E' interessante una ricerca di Francesco Saitta, Università Bocconi/Newfin, sul profilo psicologico e le motivazioni comportamentali dei sottoscrittori di certificati...ne emerge un profilo a tratti sconcertante...

il sottoscrittore di certificati ha una forte tendenza a delegare le scelte al consulente (:( ), e scarsa fiducia in se stesso (:rolleyes:)...per la verità, si fida ancor meno di conoscenti e parenti...
non è noto il grado di fiducia verso i forum finanziari...

il sottoscrittore di certificati non apprezza troppo l'innovazione, o comunque non la ritiene un plus significativo...

cerca la diversificazione, ma finisce con il non apprezzare la possibilità di investire in attivi difficilmente raggiungibili...

la scarsa fiducia in se stesso lo spinge a prestare attenzione soprattutto ai prodotti più semplici e consolidati...

Nonostante questo profilo psicologico piuttisto conservativo e primordiale, pare che più di un intervistato su quattro conosca almeno 2 tipologie di certificati ( e i più noti sono benchmark e equity protection, i due strumenti di gran lunga più sottoscritti...discretamente noti i bonus, mentre un pò più misteriosi sembrano essere i TW...Leon, datti da fare in proposito....), mentre uno su cinque dichiara di conoscerli addirittura "bene" (la meritoria opera di Leon e Amicheli :yes:)...

come li conosce? banca e promotore sono la fonte principale(:eek:)....(chissà la qualità di tale fonte sapienziale...)
il 20-25% trae le sue conoscenza dalla stampa specializzata, dai prospetti informativi degli emittenti e dai "canali online"...solo una minoranza ( 4% ) trae spunti e conoscenze dalle inserzioni pubblicitarie...

Il sottoscrittore di certificati dichiara di leggere il prospetto ( speriamo ci si raccapezzi...), tuttavia non è portato al confronto con i prodotti di altri emittenti ( non mi sorprende, vista la fonte delle sue conoscenze...)

la successiva richiesta di informazioni è volta soprattutto alle problematiche relative al profilo di rischio e alla liquidabilità...
 
Speriamo che da novembre, data di pubblicazione di questa ricerca della Newfin ( e quindi necessariamente da qualche mese prima per poter stilare lo studio), le cose siano cambiate.

complimenti Meister
OK!
 
Speriamo che da novembre, data di pubblicazione di questa ricerca della Newfin ( e quindi necessariamente da qualche mese prima per poter stilare lo studio), le cose siano cambiate.

complimenti Meister
OK!

Leon, in passato già ho avuto modo di sottolineare che le ricerche accademiche necessitano dell'apporto insostituibile di chi affronta e vive l'argomento sul campo...e solo la tua irrefrenabile pigrizia ti impedisce di prendere contatto con, e sviluppare una collaborazione di ricerca con, il mondo accademico...:angry::)


PS ho visto in ritardo che sei recentemente passato, col seminario di SO, a pochi metri dalla mia università...la mia ignoranza ha perso un'occasione per abbeverarsi a una fonte di sapienza...:bow:
 
promotori e consulenti

che ne pensano gli "advisors" dei certificati? qui la ricerca della Bocconi offre risultati che, se non fosse per l'involontaria comicità delle risultanze, sarebbero raccapriccianti...
Vediamo quali sono, secondo l'illuminato parere degli advisors, gli effettivi ostacoli alla crescita del mercato dei certificati:

al primo posto c'è l'eccessiva complessità del prodotto ! detto da chi, quel prodotto, dovrebbe illustrarlo, consigliarlo, confrontarlo e inquadrarlo in termini di adeguatezza e appropriatezza, è proprio tutto dire...

al secondo posto, tra gli ostacoli alla diffusione dei certificati, c'è..."brutte esperienze nel passato"...:D

al terzo posto, "difficoltà a venderli prima della scadenza" ( da non dimenticare che il guadagno dei collocatori, coi certificati, è del tipo "tutto e subito", a differenza dei fondi di investimento, dove l'introito è spalmato su più anni...)

al quarto posto, il "costo elevato" ( non c'è male, detto da chi li propone e colloca...)

al quinto posto, la "redditività bassa" ( notare che questo fattore viene solo al 5° posto...)

al sesto posto, il rischio elevato ( per gli "advisors", questo fattore è all'ultimo posto...spericolati, evidentemente, purchè coi soldi degli altri...)



ma secondo voi, questi "advisors", i certificati li sottoscrivono per il loro personale patrimonio?



PS a scanso di equivoci, il sottoscritto possiede una parte, sia pur minoritaria, del proprio patrimonio in certificati
(nessuno dei quali acquistato al collocamento)
 
psicologia dei sottoscrittori di certificati

Sempre sulla scorta della citata ricerca della Bocconi, vediamo ora qual'è la psicologia comportamentale dei sottoscrittori di certificati.
Chiunque abbia in portafoglio un certificato, dovrebbe fare una specie di esame di coscienza, e mettere a fuoco le motivazioni alla base dell'acquisto : è un buon esercizio, anche al fine di evitare nel futuro eventuali errori commessi nel passato.

Secondo NewFin/Bocconi, la più importante motivazione dell'acquirente è, manco a dirlo, la protezione del capitale..."protezione" e "garanzia" sono le due paroline magiche di chiunque voglia, negli ultimi anni, piazzare il proprio prodotto finanziario, paroline magiche di fronte alle quali gli occhi degli investitori italiani diventano lustri di contentezza, colmi di riconoscenza per il promotore o bancario che, generoso e magnanimo, mette a disposizione dell'investitore un prodotto così attraente...peccato che ci si dimentichi di precisare a quanto ammonti il costo di, e quanto alla fine inciderà in termini di rendimento, quella "protezione" o "garanzia"...

Al secondo posto delle esigenze del mercato, troviamo la valutazione del grado di liquidità in caso di vendita anticipata del prodotto : e questo mi sembra corretto: un mercato trasparente, efficiente e liquido, dovrebbe essere una conditio sine qua non, prima di ogni acquisto...peccato che ci si dimentichi spesso di approfondire il ruolo, e i costi, del market-making...

Al terzo posto, c'è il rendimento atteso, e le informazioni sul sottostante e la partecipazione alle performance di quest'ultimo...

Al quarto posto, la decorrelazione dalla performance del sottostante...oibò, qui si entra sul tecnico...siamo sicuri che il promotore o bancario si lanci davvero in elaborate discussioni sul concetto di covarianza e teoria della diversificazione? mi figuro il sottoscrittore prendere addirittura appunti, e consultare un trattato di statistica finanziaria, da conservare sul comodino per una proficua lettura notturna...

Al quinto posto, la "partecipazione all'universo dei sottostanti", e l'accesso a sottostanti difficilmente raggiungibili.

All'ultimo posto ( :eek: ) "pay-off semplici e comprensibili"...Evidentemente il sottoscrittore considera un dettaglio secondario questo aspetto..


Come opinione personale, io suggerirei al sottoscrittore, una volta individuata la tipologia di certificato ritenuta più consona alle proprie esigenze, di dare particolare importanza, tra i molti possibili, ai seguenti tre fattori:
1) barriera
2) dividendi del sottostante
3) timing di emissione del certificato



altri pragmatici suggerimenti? ....
 
Ultima modifica:
Come opinione personale, io suggerirei al sottoscrittore, una volta individuata la tipologia di certificato ritenuta più consona alle proprie esigenze, di dare particolare importanza, tra i molti possibili, ai seguenti tre fattori:
1) barriera
2) dividendi del sottostante
3) timing di emissione del certificato[/B]


altri pragmatici suggerimenti? ....

Gli spread e l'affidabilità (nel senso di presenza continua) del market maker.

Investo in un certificato open-end che mi fa accedere a un bel sottostante esotico. Nulla vieta che un anno dopo cambi idea. Se cambio idea ma poi scopro che oltre che i dividendi mi perdo un bel 4% da elargire al MM, sarò ancora contento o un attimino nervoso? Se poi il MM non c'è, e non so il fair value del mio esotico investimento, che faccio, vendo? ;)

Ancora di più lo spread pesa nel caso di strumenti short dove non si può pensare di acquistare un certificato e portarlo a scadenza (perché normalmente - facendo gli scongiuri - il mercato tende a tornare long).
 
Investo in un certificato open-end che mi fa accedere a un bel sottostante esotico. Nulla vieta che un anno dopo cambi idea. Se cambio idea ma poi scopro che oltre che i dividendi mi perdo un bel 4% da elargire al MM, sarò ancora contento o un attimino nervoso? Se poi il MM non c'è, e non so il fair value del mio esotico investimento, che faccio, vendo? ;)


i sottostanti degli Open End sono tutti Total Return. e quel 4% da dove lo hai ricavato?

:)
 
i sottostanti degli Open End sono tutti Total Return. e quel 4% da dove lo hai ricavato?

:)

Gli esempi erano molto laschi. Credo ci siamo capiti nonostante l'imprecisione. :)
4% l'ho visto sugli ABN minifuture su materie prime.
 
Gli spread e l'affidabilità (nel senso di presenza continua) del market maker.

Investo in un certificato open-end che mi fa accedere a un bel sottostante esotico. Nulla vieta che un anno dopo cambi idea. Se cambio idea ma poi scopro che oltre che i dividendi mi perdo un bel 4% da elargire al MM, sarò ancora contento o un attimino nervoso? Se poi il MM non c'è, e non so il fair value del mio esotico investimento, che faccio, vendo? ;)

Ancora di più lo spread pesa nel caso di strumenti short dove non si può pensare di acquistare un certificato e portarlo a scadenza (perché normalmente - facendo gli scongiuri - il mercato tende a tornare long).

sul MM, se ne era parlato più sopra, e sono considerazioni che valgono per tutti i prodotti finanziari illiquidi, in particolare ETF, sui quali si assiste talvolta a devastazioni da market-making ( specie con gli ETF strutturati)...
va considerato che lo spread max è fissato dalla normativa ( io l'ho vista violata relativamente spesso, e non so se la vigilanza abbia sanzionato tale condotta), e nel costo complessivo della movimentazione, lo spread va contato una volta sola, o in acquisto o in vendita...

riguardo gli open-end, sono stati lanciati in Italia in aperta concorrenza con gli ETF, dimenticando che gli analoghi prodotti presenti sui mercati di lingua germanica godono di speciali privilegi fiscali, inesistenti in Italia, che ne hanno supportato il successo all'estero...inoltre, in Italia, i pochi prodotti esistenti sono molto spesso gravati da fee di gestione annuali non irrilevanti, superiori, spesso, a quelle di un ETF...

e perchè mai sarebbe SEMPRE sconsigliabile portare a scadenza un certificato short?? pensa per es a un TW short sul cambio euro/dollaro: ti pare che il MM abbia prezzato con linearità la svalutazione recente del dollaro?

Ripeto, i fattori da tenere in conto prima di acquistare un certificato sono moltissimi, ma i 3 che ho citato sono, a mio parere, centrali, e quasi imprescindibili...
 
e perchè mai sarebbe SEMPRE sconsigliabile portare a scadenza un certificato short?? pensa per es a un TW short sul cambio euro/dollaro: ti pare che il MM abbia prezzato con linearità la svalutazione recente del dollaro?

Non intendevo sconsigliare SEMPRE di portare a scadenza un certificato short, né ho incluso i TW nelle mie considerazioni. Pensa a un reflex short su S&P 500. Lo compreresti in sottoscrizione pensando di tenerlo nel cassetto fino a scadenza? In certe circostanze sì, in genere no.
 
Leon, in passato già ho avuto modo di sottolineare che le ricerche accademiche necessitano dell'apporto insostituibile di chi affronta e vive l'argomento sul campo...e solo la tua irrefrenabile pigrizia ti impedisce di prendere contatto con, e sviluppare una collaborazione di ricerca con, il mondo accademico...:angry::)


PS ho visto in ritardo che sei recentemente passato, col seminario di SO, a pochi metri dalla mia università...la mia ignoranza ha perso un'occasione per abbeverarsi a una fonte di sapienza...:bow:

l'anno scorso avevamo fatto noi quella ricerca con la Bocconi...i questionari sono stati fatti sui forum...e, sorpresa, molti dati erano differenti...

non mi stupiscono più di tanto quelli di quest'anno...hanno istituzionalizzato, incravattato e inscatolato una ricerca che per sua natura dovrebbe esser lanciato presso la comunità...

bah...
 
Non intendevo sconsigliare SEMPRE di portare a scadenza un certificato short, né ho incluso i TW nelle mie considerazioni. Pensa a un reflex short su S&P 500. Lo compreresti in sottoscrizione pensando di tenerlo nel cassetto fino a scadenza? In certe circostanze sì, in genere no.

il discorso sui reflex short è tecnicamente complesso: all'atto pratico, sono delle opzioni put fortemente OTM, e in quanto tali influenzati dai fattori dell'equazione di B&S...io li ho visti occasionalmente spostare da BorsaItaliana da un segmento borsisitico a un altro, in prossimità della scadenza, perchè da benchmark si erano trasformati in certificati a forte leva....:)
 
Ultima modifica:
Indietro