News Tre lezioni che l’Europa dovrebbe imparare dall’esperienza giapponese

Tre lezioni che l’Europa dovrebbe imparare dall’esperienza giapponese

Pubblicato 17 Giugno 2013 Aggiornato 19 Luglio 2022 16:18

Di seguito pubblichiamo un commento di mercato firmato da Didier Saint-Georges, Membro del Comitato Investimenti di Carmignac Gestion. Osservando i risultati raggiunti con i vari piani di allentamento monetario promulgati dalle diverse Banche centrali negli ultimi anni, l'esperto evidenzia come l'Europa farebbe bene a non aspettare di impantanarsi in una deflazione cronica come quella patita da Giappone nel corso della crisi degli anni '90. Prendendo spunto dal Sol Levante, per Didier Saint-Georges il Vecchio Continente dovrebbe imparare tre lezioni: impedire il protrarsi delle tendenze deflazioniste, attuare politiche ambiziose e, soprattutto, coordinare gli sforzi.




Dall'estate del 2012, l'abbondanza di liquidità, l'allontanamento del rischio sistemico e la percezione di un lieve miglioramento economico negli Stati Uniti, a vantaggio esclusivo del resto del mondo, hanno sostenuto i mercati azionari. Malgrado il rischio di politiche monetarie ultra accomodanti più ristrette sia citato di frequente, i timori dei mercati vengono rapidamente placati dalla semplice constatazione che la minaccia inflazionistica si sta allontanando. Tuttavia, questa tendenza al ribasso dei livelli di inflazione può essere assimilata a quella sperimentata dal Giappone dopo la sua crisi agli inizi degli anni Novanta. In Europa, in particolare, la frenata dei prezzi è oggi accompagnata da una persistente recessione economica, dall'esplosione della disoccupazione e da un'incapacità di ridurre il livello di indebitamento pubblico. L'Europa farebbe bene a non aspettare di impantanarsi in una deflazione cronica, imparando tre lezioni dall'esperienza giapponese: impedire il protrarsi delle tendenze deflazioniste, attuare politiche ambiziose e, soprattutto, coordinare gli sforzi.




Agire subito

Il governo di Abe è oggi costretto a una politica di rilancio radicale, e quindi azzardata, perché per quindici anni il Giappone ha lasciato la propria economia ristagnare e aumentato inesorabilmente il debito pubblico. Lo scoppio della bolla immobiliare nipponica, avvenuto nel 1990, ha prodotto un decennio di riduzione forzata dell'indebitamento per il settore privato, come corollario dell'insufficiente capitalizzazione del settore bancario. Per questo motivo, l'aumento vertiginoso del debito pubblico non ha fatto altro che generare un'economia anemica e deflazionistica, che perdura tutt'oggi. Peggio ancora, il Giappone è caduto due volte (nel 1997 e nel 2001) nella trappola dell'inasprimento fiscale, che per due volte ha provocato un ulteriore indebolimento dell'economia e un aumento del deficit di bilancio. L'Europa deve ora affrontare lo stesso ostacolo. I notevoli sforzi realizzati negli ultimi quattro anni dai paesi più deboli hanno avuto il merito di ridurre sensibilmente il deficit di bilancio globale nell'Eurozona (dal 6,4% nel 2009 al 3,7% nel 2012). Tale successo, tuttavia, è stato accompagnato da un peggioramento del debito pubblico, che è salito dall'80 al 90,6% del PIL. L'inasprimento della pressione fiscale su economie sfinite dall'esplosione della disoccupazione e su un'imprenditoria indebolita è chiaramente controproducente: è necessario garantire prima la base imponibile su cui effettuare i prelievi. Peraltro, come per il Giappone negli anni Novanta e per gli stessi motivi, il taglio dei tassi di riferimento non produce alcun effetto sull'erogazione dei crediti, in costante calo nell'Eurozona (in calo in Spagna dell'8% su base annua ! e in Italia del 2%). Secondo le nostre previsioni, oggi mancano ancora almeno cento miliardi di euro di capitali propri al settore bancario europeo per sperare di veder trasmessa la politica monetaria della BCE all'economia reale. Ci sono infatti due semplici motivi che spiegano la sovraperformance attuale dell'economia statunitense rispetto all'Europa: il settore bancario è stato ricapitalizzato molto tempestivamente e i gravosi adeguamenti fiscali sono stati introdotti solo ora, quattro anni dopo l'inizio della crisi, su un'economia ormai in grado di sostenerne il peso.




Essere ambiziosi

Il forte trauma provocato sugli operatori economici da una crisi di sovraindebitamento è un altro degli insegnamenti che ci vengono dall'esperienza giapponese. Tale trauma rende molto difficoltoso per le autorità produrre un cambiamento nell'atteggiamento prudente dei consumatori e delle imprese a favore di un approccio più audace, volto al consumo e agli investimenti. In altre parole, una cura shock di fiducia è assolutamente necessaria per uscire da una recessione connessa alla riduzione dell'indebitamento. È qui che il Giappone ha fallito nel decennio passato durante il quale oltre quindici governi si sono avvicendati senza un progetto convincente, in grado di suscitare un ampio consenso. Ed è qui che oggi inciampano i governi europei, per mancanza di ambizione. Come ad esempio in Italia, dove i tentativi di riforma di Mario Monti sono stati bloccati a metà percorso dal ritorno dell'instabilità politica. Come in Francia, dove le tardive velleità riformatrici del governo ottengono solo il sostegno di un'esigua minoranza, senza alcun entusiasmo. Shinzo Abe e il governatore della Bank of Japan, Haruhiko Kuroda, hanno compreso perfettamente la lezione e propongono un programma molto audace: invertire, su due anni, il ritmo di inflazione annua, portandolo dal -0,5 al +2%, triplicare in sette anni le esportazioni di infrastrutture, raddoppiare i redditi agricoli, triplicare il valore delle esportazioni di materiali per il trasporto e di centrali elettriche, ecc... Tali obiettivi sono forse illusori. Il tempo lo dirà. Ma hanno comunque il merito di rappresentare traguardi su cui catalizzare le energie. Il favore di cui gode Shinzo Abe presso la popolazione (il consenso si attesta attualmente al 67%) costituisce di per sé un fattore di successo. Tale propensione si rivelerà anche molto preziosa quando inizieranno a essere attuate, dopo le elezioni di luglio, le necessarie riforme strutturali, difficili per definizione.




Seguire un approccio coordinato

Rispetto al Giappone, in Europa, il compito è chiaramente molto più complicato, data l'indipendenza della BCE, dogma assoluto per la Germania, così come la diversità delle situazioni di bilancio all'interno dell'Eurozona. Sul fronte monetario, tuttavia, è già possibile nutrire qualche speranza: non si deve dimenticare che l'apprezzamento dello yen sull'euro (+40%) nel periodo dal 2009 al 2012 ha considerevolmente attutito gli effetti della crisi per la Germania, favorendo le sue esportazioni a scapito di quelle giapponesi. Mentre ora la politica monetaria giapponese ha determinato una svalutazione dello yen e, sulla sua scia di molte valute emergenti, un euro forte risulta essere un problema notevolmente più condiviso nell'area. Ad ogni modo, l'Europa dovrà concentrare i propri sforzi verso un maggiore coordinamento (e a termine, verso una maggiore "integrazione") delle politiche economiche. La terza "freccia all'arco" del progetto giapponese, che consiste nell'accompagnare gli stimoli di bilancio e monetari con un solido programma di riforme strutturali (ancora da definire), è assolutamente decisiva e dovrebbe essere fonte di ispirazione per i leader europei. Riforme del mercato del lavoro, deregolamentazione dei settori protetti, riforma del sistema pensionistico, coordinamento delle politiche industriali sono altrettanti imperativi per l'Europa. Sapranno dimostrare l'Italia, la Spagna o la Francia la volontà di attuare delle riforme e indurre la Germania a sostenere una politica europea coordinata di crescita virtuosa?




È troppo presto per sapere se "l'Abenomics" sarà una storia di successo. Sottrarre un Giappone in declino, piegato da tre lustri di deflazione, costituisce una sfida straordinaria. E riuscirvi senza provocare alcuna correzione violenta del mercato obbligazionario lo è ancora di più. Tuttavia, la politica draconiana a cui oggi è costretta l'amministrazione giapponese deve, a maggior ragione, richiamare l'attenzione dell'Europa. Tra marzo ed aprile, il ritmo di inflazione è passato dal 2,6 all'1,5% in Spagna e dall'1,8 all'1,1% in Germania. L'Europa deve eliminare rapidamente le pressioni deflazionistiche e rafforzare il proprio potenziale di crescita nominale sul lungo termine. Così facendo, l'esperienza giapponese dovrebbe stimolarla e l'auspicio di Nietzsche dovrebbe avverarsi.