Titoli di Stato: le prospettive dopo il salvataggio della Grecia
I titoli di Stato italiani rappresentano ancora un porto sicuro per i risparmiatori? Come stanno modificando i loro portafogli obbligazionari i grandi investitori istituzionali? Il parere e le indicazioni di Cosimo Marasciulo, consulente per il mercato obbligazionario di Pioneer Investments, società di gestione del risparmio del gruppo Unicredit.
Dopo il salvataggio della Grecia quale scenario si prospetta oggi per i titoli di Stato europei e in particolare per quelli italiani?
Il gruppo di quei Paesi a rischio è piuttosto eterogeneo. Si va da un Portogallo che ha più aspetti in comune con la Grecia ad un Italia che è ben lungi dall’essere la prima sotto i riflettori, come succedeva in passato quando c’era una crisi importante. L’Italia è il paese col più alto rapporto tra debito pubblico e Pil e questo sarebbe in genere un grosso fattore di rischio se non fosse che gran parte è finanziato dai risparmiatori italiani. E’ questa una condizione assolutamente privilegiata rispetto agli altri del cosiddetto gruppo Pigs.
Come hanno reagito i portafogli obbligazionari di Pioneer a questa situazione?
Abbiamo in prevalenza detenuto un sottopeso sui periferici pur se con notevoli differenze tra i vari membri del gruppo Pigs. L’Italia gode del migliore rapporto fra rischio e rendimento, alla luce delle considerazioni fatte prima, ed è il più rappresentato all’interno dei nostri portafogli. Non è solo una questione di preferenza perché la gran parte delle masse gestite sono in Italia. Anche le istituzioni ufficiali (Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale) hanno espresso giudizi positivi sulla nostra politica economica e del resto un rapporto deficit/Pil inferiore alla media europea nel 2009 appare eloquente. Fra gli altri distinguiamo fra Spagna, dove il sottopeso è moderato, e Portogallo e naturalmente Grecia dove i rischi appaiono ancora troppo alti per riconsiderare la nostra posizione che nei fondi attivi specializzati resta nulla. Durante la fase più acuta della crisi abbiamo accentuato la preferenza per mercati sicuri come la Germania e questo ha influito positivamente sulla performance dei fondi a partire da quello che meglio riflette la nostra allocazione sui governativi dell’area euro.
Quale è la situazione per la Grecia dopo gli interventi?
L’aumento del sostegno finanziario dai 40 ai 110 miliardi di euro si avvicina di più all’effettivo fabbisogno della Grecia, ma se non seguiranno drastiche manovre di risanamento anche questo si rivelerà inadeguato. Le condizioni stabilite per usufruire di questi aiuti appaiono talmente rigorose da giudicare il piano non soltanto un salvataggio, ma addirittura una acquisizione della Grecia da parte di altri Paesi, almeno sotto l’aspetto della sovranità fiscale. Di fatto, come hanno giustamente scritto alcuni giornali, la Grecia è un paese sotto “tutela” ma questo è il prezzo da pagare in cambio di una paratia “isolante” dai mercati finanziari.
Quali sono gli effetti di questa crisi sull’economia europea e per l’euro?
Come abbiamo visto non è solo la Grecia ad essere soggetta a critiche per la gestione dei conti pubblici. L’aumento del rischio paese ha coinvolto in diversa misura altri Paesi le cui economie sono da tempo cresciute meno della media europea o, nel caso della Spagna, sono cresciute per un certo tempo di più ma facendo troppa leva sul settore edilizio che poi con la crisi ha subito un vero collasso. Prima di mettere a posto strutturalmente l’economia e renderla più simile a quella tedesca questi Paesi dovranno far fronte anche loro a strette fiscali. Purtroppo i consumi interni non hanno mai sostenuto molto la crescita in Europa e certe misure (che siano tagli di spesa o inasprimenti fiscali) non faranno bene. Resta così la valvola di sfogo delle esportazioni e così un euro più debole non può che fare comodo. Avete notato che i politici non hanno accusato gli speculatori del mercato dei cambi??
Pensa che questa situazione possa influenzare anche la politica monetaria della Banca Centrale Europea?
La Bce sarà indotta ad aspettare più a lungo possibile prima di alzare i tassi di interesse. Al momento il loro livello è ai minimi e come tale è giustificato dalla presenza di una recessione. Secondo le statistiche ufficiali la recessione sarebbe quasi terminata ma con la prospettiva di politiche di contenimento del disavanzo pubblico il ritorno a una crescita in linea con la media sarebbe rinviato. Le strette fiscali non incoraggiano i consumi ed anche la necessità di mantenere la crescita dei salari più bassa della produttività avrebbe lo stesso effetto. In queste condizioni, se anche altre banche centrali alzassero i tassi di interesse non sarebbero automaticamente seguite dalla Bce.