Poste Italiane, verso rinvio privatizzazione ulteriore quota Tesoro?
Salta la privatizzazione del 30% di Poste Italiane ancora nelle mani del Tesoro? E’ presto per dirlo, ma a dire stop al progetto è stato lo stesso sottosegretario allo Sviluppo economico, Antonello Giacomelli.
“Capisco l’esigenza di ridurre il debito e avanzerò una proposta per raggiungere lo stesso obiettivo senza privatizzare le Poste“. Giacomelli ha parlato nel corso di un’audizione al Senato, facendo notare che “il punto sostanziale è che bisogna rafforzare il ruolo di alcuni poli pubblici per puntare allo sviluppo, riducendo il debito. Su questo dobbiamo trovare una soluzione” che tenga insieme le due cose.
Già giorni fa Giacomelli aveva inviato una lettera ai vertici del PD, in cui si diceva contrario all’ulteriore collocamento, in Borsa, di una quota di Poste Italiane:
“La scelta di procedere ad un’ulteriore collocazione sul mercato di una quota del capitale di Poste Italiane avanzata nelle ultime settimane, ha implicazioni molto serie. Implicazioni che credo vadano ben ponderate dalla maggioranza che sostiene il governo e, prima di tutto, dai gruppi parlamentari del Pd“.
Giacomelli non ha nascosto di temere che “per mantenere la promessa di alti rendimenti, si finisca per intervenire drasticamente su aspetti di minor interesse finanziario ma di maggiore utilità sociale, ovvero a discapito della rete di sportelli, del recapito, del personale dedicato ai servizi locali”. E ha sottolineato come, alla fine “la vendita di un secondo pacchetto di azioni inevitabilmente finisca per incidere fortemente sul ruolo di Poste e del suo servizio, oltre che sul livello occupazionale“.
Il 31 maggio del 2016 la presidenza del Consiglio con decreto aveva stabilito i criteri per il collocamento dell’ultima quota in mano al Tesoro (pari esattamente al 29,7%), spiegando che l’alienazione della partecipazione sarebbe potuta avvenire anche in più fasi, attraverso una offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del Gruppo Poste Italiane, e/o a investitori istituzionali italiani e internazionali.
Il collocamento, atteso per l’autunno del 2016, è successivamente slittato, a causa delle condizioni di mercato non considerate favorevoli.
Carlo Calenda, ministro per lo Sviluppo Economico, ha poi reso noto recentemente che la cessione dell’ultima quota che il Tesoro ha nella società guidata da Francesco Caio avverrà entro la primavera- estate di quest’anno.
“Il Mef detiene una partecipazione residua nel capitale di Poste pari al 29,7%” che “sarà dismessa verosimilmente nella primavera o nell’estate” del 2017.
Giacomelli, in un’intervista a La Repubblica, ha confermato giorni fa la propria posizione, definendo la vendita di un altra fetta della società “un errore strategico”. Continuando, il sottosegretario ha avvertito:
“Poste è la società che garantisce circa un quarto del debito pubblico italiano. E’ vero che si sta affermando anche nei servizi finanziari, ma ha anche il dovere di mantenere un suo radicamento sociale e gli obblighi del servizio universale”. E il punto, è che aprire il capitale ai grandi fondi-investitori – pur non facendo venire meno il controllo dello Stato – rischia di spostare l’attenzione su una corsa agli utili a discapito delle funzioni sociali svolte da Poste. E’ dunque necessario che le scelte non vengano accelerate per osservare quella litania secondo cui ‘il taglio del debito ci viene chiesto da Bruxelles’.