PIL, perché l’alleanza tra crescita economica e futuro green è necessaria
In questi giorni caldi per la COP26 in atto a Glasgow, le riflessioni sul cambiamento del clima restano al centro della scena. Anche il PIL, indicatore economico finito nei dibattiti green con menzioni non proprio lusinghiere, nel tempo può rivelarsi un alleato prezioso per ridurre la vulnerabilità di fronte agli eventi metereologici estremi e favorire lo sviluppo dei Paesi. Il tutto emerge da un’analisi pubblicata da Francesco Ramella su lavoce.info.
Imparare dal 2020
Partiamo da un primo assunto, crescita economica e riduzione dell’inquinamento devono andare di pari passo. Se il PIL si riduce, calano le emissioni e il clima ne beneficia: vero. Lo abbiamo visto nel 2020: la forte limitazione delle attività economiche e della mobilità con le misure predisposte per frenare il Covid-19 hanno determinato una riduzione del PIL mondiale di oltre il 3 per cento; nello stesso anno le emissioni di CO2 in atmosfera sono calate, come mai prima, del 6,7 per cento. Le conseguenze umane, però, sono state drammatiche: per la prima volta negli ultimi decenni è aumentato (di 120 milioni) il numero di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta.
La programmazione necessaria
Non possiamo pensare a un futuro positivo per lo sviluppo umano con una riduzione delle emissioni di CO2 brusca e randomica. Tutta va programmato, nel tempo, senza intaccare le attività economiche dei Paesi. L’ISU, indice di sviluppo umano, proposto dal premio Nobel Parisi di recente come alternativa al PIL, ne è in realtà un parente molto stretto: perché senza crescita, non c’è benessere ma solo un aumento dei disagi e dell’indigenza. Di fatti, accanto alle misure relative all’aspettativa di vita e al livello di istruzione, l’indice di sviluppo umano ingloba anche il livello del reddito. Ma, anche qualora si ricalcoli l’indicatore escludendo quest’ultimo fattore, il quadro che emerge rimane in larga misura invariato. Si vive meglio là dove il Pil è più alto e viceversa.
Il benessere creato dal PIL
Che si viva meglio dove il PIL è più alto è una considerazione generale valida anche in riferimento alla vulnerabilità climatica. Se da un lato, l’immissione in atmosfera di gas serra nel corso degli ultimi centocinquanta anni ha incrementato la frequenza di alcuni eventi estremi, dall’altro la crescita economica e lo sviluppo della conoscenza scientifica si sono rivelati vaccini efficacissimi nel ridurne l’impatto umano: al crescere del Pil, il numero di vittime si riduce drasticamente.
I casi di Bangladesh e USA
Esemplare al riguardo è il caso del Bangladesh, uno dei Paesi ritenuti più a rischio a causa dell’aumento del livello del mare: mezzo secolo di sviluppo economico e buon governo lo hanno reso molto più resiliente di quanto non fosse fino agli anni Settanta. E negli Stati Uniti dagli anni Sessanta a oggi, grazie soprattutto alla diffusione degli impianti di condizionamento, la mortalità per eccessi di calore è diminuita del 75%.
La rilfessione sul futuro
Dunque, tracciando un quadro generale è sicuramente importante porsi degli obiettivi ambiziosi sulle tematiche ambientali. Ma bisogna farlo senza dimenticare che anche in futuro le condizioni complessive di vita, soprattutto per i Paesi più poveri, dipenderanno molto di più dalla crescita del reddito che non dalla evoluzione del clima. Ai governi il compito di far gravare meno possibile i costi della transizione ecologica sulle tasche dei cittadini.