Piazza Affari, quota arabi vale 2,5 miliardi. Ora, cambio strategia: gli asset preferiti dai fondi sovrani

Investitori arabi sempre interessati al capitale italiano, come confermano gli ultimi numeri riportati da “Il Sole 24 Ore” sulla base dei dati di S&P Market Intelligence, nell’articolo “Piazza Affari, la quota araba a 2,5 miliardi”. Il primo investitore è Aabar Investments, fondo di Abu Dhabi, che “è entrato a giugno 2010 nel capitale di UniCredit con una quota del 5%
mantenuta nel tempo” e che ha subito “una pesante svalutazione se si considera che, dal 2010, il titolo UniCredit ha perso il 92% del suo valore“. Il fondo ha partecipato tra l’altro a due aumenti di capitale “decisi dalla banca nel 2012 (7,5 miliardi di euro) e nel 2017 (13 miliardi). Oggi è il maggior azionista singolo della banca con 112 milioni di titoli il cui controvalore è superiore al miliardo e mezzo di euro.
Ma nell’azionariato di UniCredit c’è anche la Banca centrale libica che, prima dell’aumento di capitale di inizio anno, deteneva una quota superiore al 2,6%. Non sono noti al momento dettagli inerenti la partecipazione o meno dell’istituto alla ricapitalizzazione della banca italiana. E’ tuttavia probabile che la Banca non abbia partecipato all’ultimo aumento di capitale: di conseguenza, a seguito della ricapitalizzazione, la partecipazione dovrebbe essere scesa allo 0,7%, stando ai dati di S&P Market Intelligence, e l’investimento avrebbe un valore di 236 milioni di euro.
I libici avrebbero invece assistito a una rivalutazione della quota in Leonardo-Finmeccanica. Scrive Il Sole: “da marzo 2011 quando la Libian Investment Authority è entrata nel capitale della società con una quota del 2% il pacchetto, che allora valeva poco più di 100 milioni, è salito a 154″.
Ma gli investitori arabi sono presenti nel capitale di altre diverse società italiane quotate, come il fondo Kuwait Investment Authority che detiene il 2% di Poste Italiane, per un valore di 168,5 milioni di euro; Arab Development Establishment in Maire Technimont, con una quota del 10%, per 107 milioni di euro; e la quota di ben il 40% che il Qatar ha in Coima Res: quote di Italiaonline e Dada sono inoltre in mano all’investitore egiziano Naguib Sawiris.
Un altro articolo pubblicato da Italy Europe 24 (sempre de Il Sole 24 Ore) segnala come i fondi sovrani arabi sarebbero sul punto di cambiare strategia, e di puntare non più e non necessariamente solo su grandi colossi quotati in Borsa. Un fattore di cui proprio imprese italiane potrebbero beneficiare. Così spiega Bernardo Bortolotti, direttore del Sovereign Investment Lab dell’Università Bocconi:
“Dal 2010 in poi, i fondi hanno progressivamente ridotto la loro esposizione verso il settore bancario, favorendo i settori manifatturiero, dei servizi e al di sopra di tutti il mercato immobiliare. Ma il fatto più importante risiede nella riduzione della dimensione media degli accordi, un’altra faccia dell’ennesima strategia di diversificazione. Nel 2009, stando ai numeri raccolti dalla società, il valore medio degli accordi firmati in Europa dai fondi del Medio Oriente o del Nord Africa ammontava a $1,4 miliardi. Da allora, anche a fronte di oscillazioni nei trend dei volumi complessivi, la dimensione si è gradualmente ridotta, scendendo a $484 milioni nel 2015, l’ultimo anno per cui i dati sono disponibili. Questo trend, riporta l’articolo, emerge in generale tra i dossier che i fondi sovrani hanno aperto in Europa, dunque in Italia, paese che in futuro spera di beneficiare dell’interesse di tali investitori, più di quanto abbia fatto in passato.
“Le imprese italiane medie, che fino a qualche anno fa appena erano totalmente fuori dal radar dei fondi, potrebbero diventare finalmente appetibili, scatenando un nuovo ciclo di investimenti stranieri nel capitale, di cui la nostra economia ha un bisogno disperato“, ha detto Bortolotti.
Tra l’altro proprio ieri Intesa SanPaolo ha inaugurato una filiale ad Abu Dhabi; Ubi Banca aveva già aperto un ufficio a Dubai un anno fa e UniCredit sarebbe pronta a fare lo stesso.
Mauro Micillo, responsabile della divisione corporate e di investment banking di Intesa SanPaolo, afferma che “l’attenzione di questi mercati è particolarmente alta per gli strumenti di precisione, l’energia rinnovabile, il lusso e il design“.
In generale l’azionario rimane il target di questi fondi sovrani, ma di recente è emerso un interesse anche per gli strumenti di debito – come bond, strumenti ibridi, collocamenti privati – o, anche, per la creazione di joint venture.