Petrolio e oro alla resa dei conti
Il superdollaro, ma non solo, ha intralciato il cammino degli ultimi mesi di oro & co. Le principali materie prime, quotate tutte in dollaro statunitensi, hanno pagato la decisa ascesa del biglietto verde in scia al rafforzamento della congiuntura a stelle e strisce accompagnata dall’intonazione sempre meno accomodante della Federal Reserve.
Le materie prime pagano poi il progressivo deterioramento delle prospettive per l’economia globale con conseguente rischio di una domanda minore di commodity.
Per alcune commodity negli ultimi sei mesi è andato in scena un vero e proprio tonfo dei prezzi. In particolare il petrolio è scivolato ai minimi a oltre 4 anni con sia Brent che Wti scesi di slancio sotto la soglia degli 80 dollari al barile, in calo di oltre il 30% rispetto ai massimi annui di giugno.
I fondamentali mettono al tappeto il petrolio
Oltre all’effetto valuta per il petrolio sono entrati in gioco una serie di fattori fondamentali che hanno comportato un cambio di scenario per l’oro nero. Al rallentamento economico di Europa, Giappone e Cina si accompagna un sempre più marcato eccesso di offerta dovuto al costante aumento della produzione da parte degli Stati Uniti.
Alcuni Paesi membri dell’OPEC – tra cui soprattutto l’Arabia Saudita – si mostrano ancora restii a tagliare la loro produzione, mentre altri (Venezuela, Iran, Ecuador e Libia) premono per un’azione immediata per tamponare la discesa dei prezzi.
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