Maurizio Mazziero spiega i risvolti del boom inflattivo su PIL, debito pubblico, BTP e disuguaglianze
Inflazione e mosse banche centrali dominano la scena in questo primo scorcio di 2022. Il +7,5% dell’inflazione statunitense nel mese di gennaio, con +6% del dato ‘core’, alimenta ulteriormente il fiato sul collo della Federal Reserve per rivedere velocemente al rialzo i tassi di interesse. Ne abbiamo parlato con Maurizio Mazziero, fondatore Mazziero Research, che vede l’inflazione non facile da domare, soprattutto negli Stati Uniti dove la spirale inflattiva si sta diffondendo a macchia d’olio. “Negli Stati Uniti l’inflazione comincia ad autoalimentarsi in un circolo continuo – argomenta Mazziero – I prezzi energetici vanno a colpire i beni di consumo generali e questo punto si trasla sui salari entrando in una spirale che si autoalimenta. In Europa non è ancora così, ma il rischio è che la spirale si dei prezzi si materializzi anche in Europa e in Italia”. “L’anello mancante in Europa è quello sul fronte salari, che da un certo punto di vista è un problema in quanto va a intaccare il potere d’acquisto dei cittadini innescando il rischio di corpose ricadute sulla crescita”, aggiunge Mazziero che non trascura il rischio di una stagflazione (alta inflazione abbinata a bassa crescita) anche se ritiene sia ancora prematuro parlarne visto che la crescita è ancora sostenuta.
“Le banche centrali dovranno rispondere e sarà interessante capire che effetti avranno tali strette monetarie, con il rischio che siano inefficaci nel contrastare la corsa dei prezzi. “Fino a poco tempo fa le banche centrali hanno visto l’inflazione come temporanea e anzi non la vedevano in modo malevolo visto che va a diluire il problema del debito. Adesso siamo davanti a un effetto domino e quando l’inflazione galoppa è difficile fermarla”.
Gli effetti sull’economia possono essere di una gelata della crescita. “Se le banche centrali intervengono in maniera troppo irruenta, come si prevede per la Fed, il rischio è di una recessione. Sul fronte Bce ancora non ci sono indicazioni chiare, certamente si va verso la fine dell’era del QE e guardando all’Italia questo comporterà ripercussioni sui costi di finanziamento del debito pubblico”. Mazziero ricorda come ogni 0,5 per cento in più di rendimenti ci costa tra i 2 e i 2,4 miliardi di euro l’anno di spesa in più. In aggiunta, senza gli acquisti di Btp della Bce, il mercato dovrà essere più presente nelle nuove emissioni.
L’inflazione elevata paradossalmente porta un effetto benefico per quando concerne i conti pubblici. “Un’inflazione elevata tende a incrementare il Pil nominale a tutto beneficio del rapporto debito/PIL. Questo fa sì che un investitore estero che guarda al debito in rapporto al Pil vede una situazione in miglioramento”, spiega Mazziero.