Notizie Notizie Italia Italia: la manovra non convince appieno S&P, permane il rischio downgrade

Italia: la manovra non convince appieno S&P, permane il rischio downgrade

1 Luglio 2011 13:41

Quanto influirà la manovra economica appena lanciata dal ministro Tremonti sulla crescita effettiva del Paese? Questo pare essere il vero banco di prova del nuovo decreto sui conti pubblici, se è vero che l’agenzia di rating Standard&Poors esprime ancora dubbi sui rischi di crescita troppo debole per l’Italia. Ecco perché, nonostante la manovra da 47 miliardi appena passata all’esame del Consiglio dei Ministri, resta la possibilità di downgrade da parte dell’agenzia di rating, che pure valuta positivamente alcuni punti della manovra, come il blocco dei salari dei dipendenti pubblici. S&P riconosce che diverse misure adottate incrementeranno indirettamente la competitività” ma l’Italia abbia bisogno di cambiamenti più radicali. “È nostra opinione – rimarca la nota odierna di S&P – che saranno necessarie riforme microeconomiche e macroeconomiche ben più sostanziali”.

 

La manovra, su cui prossimamente verrà posta la fiducia in Parlamento, avrà un impatto di 1,5 miliardi nel 2011, 5,5 nel 2012 e 20 miliardi sia nel 2013 che nel 2014, anno in cui, secondo gli obiettivi, si dovrebbe raggiungere il pareggio di bilancio. Nelle intenzioni del governo, in direzione della produttività e della crescita nazionale, indispensabili perché il risanamento sia sostenibile, vanno misure quali la detassazione del salario di produttività nelle imprese, o l’aliquota fiscale di favore (il 5%) per i giovani imprenditori che avviano una nuova attività. Altro impegno preso da Tremonti a favore delle attività produttive è la graduale abolizione dell’Irap, attraverso l’introduzione di un regime fiscale con quattro sole imposte: l’Irpef a tre aliquote (invece che le attuali cinque), l’Ires, l’Iva e la nuova imposta sui servizi, che comprenderà le imposte di registro, ipotecali e catastali, sulle concessioni governative e sui contratti di Borsa.

 

E proprio sulle transazioni finanziarie si è avuto nella serata di ieri il dietrofront del governo, dopo le proteste scatenate tra banche e intermediari finanziari dalle previste imposte dell’1,5 per mille sulle compravendite di titoli e del 35% sugli utili provenienti dal trading di azioni e derivati. Queste misure dovrebbero ora essere sostituite rispettivamente da un aumento nell’imposta di bollo già applicata al deposito titoli, e da un’addizionale del 7%  sul trading finanziario. I prelievi sulle rendite finanziarie, escluse quelle derivanti dai titoli pubblici, si adegueranno al 20% degli altri paesi europei. Altre revisioni rispetto alla prima bozza della manovra ci sono state riguardo alla tassa sui Suv, non più da applicare alle vetture con più di 170 cavalli ma a quelle con oltre 300 cavalli, ma anche riguardo al temuto ticket da 10 euro sui farmaci, per ora lasciato in sospeso fino a data da destinarsi.

 

Non si fermano invece i tagli alla spesa pubblica, che ricadono soprattutto sugli enti locali (9,6 miliardi), né il congelamento degli stipendi e delle pensioni dei dipendenti pubblici. Innalzata l’età pensionabile delle donne dipendenti del settore privato, con un aumento graduale da 60 a 65 anni a partire dal 2020 (e non  dal 2012 come precedentemente previsto) con ultimo scaglione a 65 anni nel 2032.

 

Sospesi invece i provvedimenti destinati al taglio dei costi della politica: di tutte le proposte presentate negli scorsi giorni sopravvive praticamente solo il taglio del 10% del finanziamento ai partiti, la diminuzione delle auto blu (una volta rottamate quelle in uso) e la stretta sugli stipendi dei ministri. E comunque si tratta di misure da attuarsi non prima della prossima legislatura.