Gli ETF per gli amanti dello stacco cedola
Dopo l’antipasto di questa settimana con i primi stacchi cedola tra le big di Piazza Affari (Telecom Italia, Fiat Industrial e Prysmian), il prossimo mese entrerà nel vivo la consueta stagione dei dividendi. Il fascino della cedola rimane sempre molto elevato tra i risparmiatori e anche per quanto riguarda il mercato degli ETF non manca la possibilità di puntare su replicanti che prevedono la distribuzione periodica dei dividendi.
Per i fondi quotati a gestione passiva la politica di distribuzione o meno della cedola viene decisa dall’emittente che lo indica nel prospetto informativo. I dividendi vengono pagati almeno una volta l’anno, con cadenza che diventa semestrale o anche trimestrale soprattutto per gli ETF obbligazionari. La preferenza verso gli ETF a distribuzione può essere dettata semplicemente una preferenza emotiva che influenza chi ama vedere accreditati i dividendi sul proprio conto corrente, anche quanto si ha a che fare con piccole somme. L’incasso dei dividendi per gli investitori retail è sovente visto come un modo semplice e automatico di fare piccole prese di beneficio sull’investimento effettuato. “Indubbiamente è un’opzione interessante per chi ha bisogno di godere di una rendita immediata, proveniente dal proprio portafoglio mobiliare”, conferma Enrico Ferrari, Equity Derivatives Sales di Banca IMI Capital Markets. Inoltre quando si parla di somme non cospicue non si pone il problema di dover reinvestire la somma riscossa. In generale gli investitori più orientati all’income “sono quelli con un processo di investimento liability driven cioè assicurazioni, fondi pensione e fondazioni – commenta Danilo Verdecanna, managing director di State Street Global Advisors in Italia – che traggono beneficio dalla percezione di un reddito sotto forma di dividendo, che può essere determinato in anticipo con buona approssimazione consentendo una più efficiente programmazione dei flussi di cassa in entrata e uscita”. I proventi della distribuzione dei dividendi vengono utilizzati per far fronte alle uscite limitando così la necessità di smobilizzare posizioni per far fronte alle passività “e di conseguenza il rischio che i realizzi avvengano in condizioni avverse di mercato provocando minusvalenze”.
Contromisure al cash drag
Gli ETF che pagano i dividendi, non reinvestendo i proventi dei titoli nell’ETF stesso, mantengono tali proventi sotto forma di liquidità fino alla data di stacco prevista per l’ETF. Si va a determinare il cosiddetto “cash drag” con l’allargamento del tracking error, ossia lo scostamento rispetto alla performance dell’indice sottostante. Il cash drag si tramuta in uno svantaggio principalmente in fasi di mercati rialziste quando il reinvestimento della liquidità genererebbe rendimenti più alti, mentre è un vantaggio in fasi ribassiste poiché i proventi detenuti in liquidità non vanno a subire alcuna perdita. Non mancano gli strumenti per ammorbidire l’impatto del cash drag. “Gli effetti – sottolinea Ferrari di Banca IMI – possono essere ridotti parzialmente da parte dell’emittente reinvestendo i dividendi ed i flussi cedolari in nuove quote del sottostante del fondo o redistribuendo questi stessi proventi ai sottoscrittori con maggior frequenza”. “I veicoli Ucits di nuova generazione consentono una più efficiente gestione della liquidità proveniente dall’incasso dei dividendi –aggiunge Verdecanna – il drag può essere infatti rimosso investendo in futures sullo stesso indice replicato dall’ETF, nel caso in cui esso esista o esista un future su un indice molto correlato con il sottostante dell’ETF, compensando la posizione in cash”.
Stacco o accumulo, differenze risicate con mercati ribassisti
Un esempio pratico può essere utile a chiarire cosa succede a livello di ritorno effettivo dell’investimento. Ipotizzando di avere investito 1.000 euro a inizio 2012 sull’ETF iShares sull’Eurostoxx 50 ad accumulo dividendi e altrettanti su quello a distribuzione, alla fine dello stesso anno sono divenuti 1.185 euro per l’ETF ad accumulazione e 1.131 euro per quello a distribuzione. Il secondo ha inoltre garantito l’incasso di 35,66 euro di dividendi netti (tassazione al 20%). Il risultato è quindi un vantaggio di quasi 19 euro per chi ha optato per l’ETF ad accumulo. Differenziale decisamente più risicato nel caso di un mercato ribassista. Investendo la stessa cifra sui medesimi ETF a inizio 2011, un anno negativo per l’equity europeo, dopo 12 mesi sarebbero scesi a 862 euro per quanto concerne l’ETF ad accumulazione e a 827 per quello a distribuzione con l’aggiunta di 31,2 euro di dividendi (ritenuta fiscale ipotizzata al 20% anche se nel 2011 la tassazione era ancora del 12,5%, ndr), con un vantaggio di meno di 4 euro per l’ETF ad accumulazione.
Tratto dal numero di marzo di F La Finanza personale