La Germania non vuole l’unione fiscale tedesca, figuriamoci quella europea

Di seguito pubblichiamo un interessante commendo di Markus Peters, team fixed income di M&G Investments. L'esperto prende in esame uno dei temi più caldi per il prossimo futuro dell'Eurozona: l'unione fiscale. Dopo aver analizzato il modello tedesco, l'economista vede difficoltosa l'implementazione di questo strumento che consentirebbe di trasferire risorse dai Paesi più ricchi del Vecchio Continente a quelli più poveri.
Se vi chiedessi come risolvere i problemi strutturali dell'eurozona, sono sicuro che molti di voi proporrebbero l'unione fiscale per consentire il trasferimento di fondi dalle "ricche" economie settentrionali ai Paesi "poveri" del sud. Da tempo mi chiedo se un'ipotesi del genere potrebbe essere accettata da tutti gli Stati membri e se davvero si tradurrebbe in una maggiore convergenza economica. Questa settimana forse ho trovato una risposta alle mie domande. E non mi riferisco al caso Cipro.
Ieri l'Assia e la Baviera hanno avviato un'azione legale contro l'attuale meccanismo di trasferimento fiscale fra gli Stati federali tedeschi, il cosiddetto "Länderfinanzausgleich". La costituzione della Germania afferma che tale meccanismo ha come obiettivo la convergenza economica fra i vari Stati federali. Il sistema oggi in vigore consiste in trasferimenti verticali fra Stato centrale ("Bund") e Stati federali ("Länder") e orizzontali fra uno Stato e l'altro. Il diritto a ricevere i fondi è determinato da un indice ("Finanzkraftmesszahl") che misura il potere economico dei singoli Stati. Baviera, Baden-Württemberg e Assia sono attualmente gli unici contribuenti netti, mentre Berlino è il maggior beneficiario netto dei trasferimenti fiscali.


È questo, secondo me, il nocciolo della questione. Solo accettando che l'Europa non diventerà mai una regione assolutamente omogenea - anche nell'ambito dell'unione fiscale - potremo affrontare i problemi dell'eurozona con il necessario pragmatismo. E forse arriveremo finalmente alla conclusione che le economie periferiche possono raggiungere un certo benessere e contenere le tensioni sociali, ma non saranno mai prospere e competitive come il nord Europa.
Prendiamo gli Stati Uniti. Nessuno si aspetta di trovare lo stesso tenore di vita, lo stesso reddito medio o la stessa capacità di competere in tutto il Paese. Nonostante l'unione monetaria e fiscale ormai consolidata, la situazione economica e le opportunità variano enormemente da New York a Detroit, dal Kentucky a Las Vegas. Ma chi vuole può benissimo trasferirsi da Detroit al Kentucky sapendo che lì si parla la stessa lingua e si seguono tradizioni simili. Non si può certo dire lo stesso di Atene e Monaco. Negli Stati Uniti si dà per scontato che un certo grado di disuguaglianza e di eterogeneità è funzione di un'economia di libero mercato (il resto è funzione di una cattiva politica), ed è forse questa una delle ragioni per cui il modello americano, compresa l'unione monetaria e fiscale, si è dimostrato vincente.
Un punto di vista scomodo e impopolare in Europa, che scuote alle fondamenta l'ambizioso progetto europeo così com'è oggi. Se pensiamo ai possibili effetti a lungo termine del mancato sostegno tedesco all'unione fiscale, viene da chiedersi dove sta andando l'euro.