Finale di novembre ad alta tensione per oro e petrolio, la carta degli ETC a leva
Il superdollaro, ma non solo, ha intralciato il cammino degli ultimi mesi di oro & co. Le principali materie prime, quotate tutte in dollaro statunitensi, hanno pagato la decisa ascesa del biglietto verde in scia al rafforzamento della congiuntura a stelle e strisce accompagnata dall’intonazione sempre meno accomodante della Federal Reserve. Le materie prime pagano poi il progressivo deterioramento delle prospettive per l’economia globale con conseguente rischio di una domanda minore di commodity.
Per alcune commodity negli ultimi sei mesi è andata in scena un vero e proprio tonfo dei prezzi. In particolare il petrolio è scivolato ai minimi a oltre 4 anni con sia Brent che Wti scesi di slancio sotto la soglia degli 80 dollari al barile, in calo di oltre il 30% rispetto ai massimi annui di giugno.
I fondamentali mettono al tappeto il petrolio
Oltre all’effetto valuta per il petrolio sono entrati in gioco una serie di fattori fondamentali che hanno comportato un cambio di scenario per l’oro nero. Al rallentamento economico di Europa, Giappone e Cina si accompagna a un sempre più marcato eccesso di offerta dovuto al costante aumento della produzione da parte degli Stati Uniti. Alcuni Paesi membri dell’OPEC – tra cui soprattutto l’Arabia Saudita – si mostrano ancora restii a tagliare la loro produzione, mentre altri (Venezuela, Iran, Ecuador e Libia) premono per un’azione immediata per tamponare la discesa dei prezzi.
Meeting Opec di Vienna potrebbe cambiare le carte in tavola
Il prossimo meeting dei paesi Opec, in agenda a Vienna il 27 novembre, si preannuncia quindi chiarificatore circa la volontà o meno del cartello dei maggiori paesi esportatori di petrolio di tagliare la produzione. “Gli ultimi commenti suggeriscono che l’OPEC è disposta a lasciare che i prezzi scendano fino a 70 dollari al barile prima che il cartello prenda una decisione di limitare la produzione”, rimarca Russ Koesterich, Global Chief Investment Strategist di BlackRock.
Dal 1984 a oggi l’Opec è intervenuta solo in 11 occasioni per limitare la discesa dei prezzi attraverso il taglio della produzione che in media è stato di 1,24 milioni di barili al giorno. Gli analisti di Deutsche Bank hanno rilevato come in tutte queste occasioni il prezzo del Brent è salito nei 2-3 mesi successivi al taglio da parte dell’Opec.
Oro guarda a esito referendum Svizzera
Andamento più cauto quello dell’oro che ha comunque aggiornato in queste settimane i minimi dal 2010. Il metallo giallo è alle prese ormai da due anni con una fase di costante debolezza complice la prospettiva di una politica monetaria via via più accomodante da parte della Federal Reserve con il consensus che pone verso metà 2015 il fatidico momento del primo rialzo dei tassi oltreoceano. L’oro paga anche il calo della domanda cinese per il terzo trimestre consecutivo. “Sono diversi i fattori che ancora cospirano contro l’oro – sottolinea Russ Koesterich di BlackRock – dal dollaro forte alla prospettiva di aumento dei tassi di interesse reali, passando per il calo delle aspettative di inflazione”. Minore appeal dell’oro confermato dalla discesa a quota 1.617,4 tonnellate dell’oro fisico detenuto da ETF. L’SPDR Gold Trust, il più grande ETF sul metallo prezioso che rappresenta da solo circa il 46% dell’intero mercato ETF sull’oro, ha visto negli ultimi tre anni i propri asset passare da 76 a 27 mld di dollari.
Nel breve-medio termine l’oro potrebbe però giovarsi del ritorno di una sostenuta domanda da mercati chiave quali Cina e India. In quest’ultima si avvicina la stagione dei matrimoni e intanto a settembre le importazioni di oro hanno segnato un sensazionale +449% a/a. Richieste di oro fisico in crescita anche da Mosca con la banca centrale russa che ha portato a nuovi livelli record le proprie riserve. Proprio le riserve di metallo giallo saranno oggetto il 30 novembre del referendum in Svizzera che potrebbe condizionare non poco le prospettive dei prezzi dell’oro. I cittadini rossocrociati saranno chiamati a decidere se innalzare o meno le riserve di metallo giallo detenute dalla Swiss National Bank, la Banca centrale svizzera. Il referendum prevede che l’oro dovrebbe rappresentare almeno il 20% degli asset della banca centrale e questa quantità non potrà più essere venduta sul mercato. Un’eventuale vittoria del sì, non così remota, potrebbe avere ripercussioni sul prezzo dell’oro con la banca centrale svizzera che sarebbe costretta ad acquistare circa 1.500 tonnellate di oro nel giro di 5 anni (pari al 10% della produzione globale).
Trading fino a leva 3 con gli ETC
La possibilità di nuovi picchi di volatilità su queste due materie prime nelle prossime settimane si addice a operazioni di trading di breve periodo attraverso ETC/ETN legati a oro e petrolio. Oltre ai classici ETC che permettono di prendere posizione al rialzo o al ribasso su queste due materie prime, con o senza copertura valutaria, Boost ETP (a fine 2013) e Société Générale (il mese scorso) hanno portato in Italia i primi ETC a leva 3 su diverse commodity, tra cui oro e petrolio. “Utilizzando ETP short a leva tripla si può investire 1/3 del capitale, con la possibilità di prendere in considerazione più opportunità – ha rimarcato Antonio Sidoti, responsabile per l’Italia di Boost ETP, nel corso di una presentazione tenuta a Milano – e possono essere usati tatticamente all’interno del portafoglio per aumentare o ridurre esposizioni di mercato nel breve periodo”.
Si tratta titoli atipici (collateralised securities) che garantiscono l’esposizione con leva (3x) e con leva inversa (-3x). Così come per gli ETC a leva 2, la performance degli ETC a leva viene calcolata sulla base dei rendimenti giornalieri composti, pertanto i rendimenti misurati su periodi maggiori di un giorno possono discostarsi da quelli offerti dall’indice di riferimento (effetto compounding). Rispetto ai certificati a leva fissa, gli ETC risultano UCITS Eligible, ossia possono essere inseriti in portafogli di fondi e Sicav.