Debito sovrano: semaforo rosso sugli Emerging market dopo il rialzo dei tassi Usa
Gli investitori stanno mostrando un crescente interesse nei confronti dei Mercati emergenti a causa dell’accumulo del debito sovrano e della manovra restrittiva sui tassi, che la Fed dovrebbe compiere il 16 dicembre. Una manovra che nasce in un clima confuso, con molti analisti che si attendono un rinvio e altri convinti che, se il rialzo ci sarà, sarà molto timido, cioè limitato allo 0,25%. Il nodo della questione è rappresentato proprio dagli emergenti, già in affanno a causa della recessione cinese. Il rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato americani spingerebbe infatti gli investitori a disinvestire per puntare sui titoli Usa, provocando una pesante svalutazione delle valute locali. Un’altra preoccupazione è il conseguente effetto di rafforzamento del dollaro, che ha come ricaduta naturale una contrazione delle esportazioni e quindi dell’intera economia statunitense.
Bomba cinese
In questo contesto piuttosto fumoso, Moritz Kraemer, responsabile di S&P per il debito sovrano, ha sottolineato – in un recente articolo – che chiunque intenda approcciare i Mercati emergenti in questo momento deve affrontare soprattutto tre rischi. Il primo è una recessione economica in Cina più veloce del previsto, nonostante le autorità sembrino ancora avere i mezzi finanziari e la capacità di governo per prevenire una crisi nel breve termine. “Un atterraggio duro nel medio termine influenzerebbe le economie emergenti che si basano sulla produzione di merci e sulle esportazioni e che hanno forti legami commerciali con la Cina – spiega Kraemer – Crediamo che Paesi come Sud Africa, Cile, Perù, Malesia, Colombia, Russia, Tailandia, Brasile e Indonesia rientrino in pieno in questa categoria. Altri, come la Turchia e l’India, potrebbero anche beneficiare di un rapido rallentamento cinese, perché la loro esposizione commerciale diretta è bassa e sono forti importatori di materie prime“.
Pioggia di downgrade
Il secondo rischio è la necessità per alcuni emerging market di una transizione verso una strategia di sviluppo auto-sostenuto, dove il deleveraging potrebbe comportare rischi per la loro stabilità economica e finanziaria. Turchia, Venezuela e Cina sono in questo senso i più vulnerabili, seguiti da Russia e Argentina. Al polo opposto, Sud Africa, Filippine e Polonia, seguiti da Cile ed Egitto, sembrano essere i meno vulnerabili. Il terzo, e più significativo problema, secondo Kraemer, è la riduzione della liquidità internazionale successiva al rialzo dei tassi americani. “A mio avviso, la Turchia, il Libano e il Venezuela sono tra i più sensibili a un picco dei tassi di interesse a livello globale. La Turchia poi è particolarmente vulnerabile a causa della sua dipendenza dal debito estero a breve termine, soprattutto nel suo settore bancario – spiega Kraemer – Filippine, Cina, Russia, Brasile e Perù sono invece i meno esposti, in quanto i loro conti con l’estero e le esigenze di finanziamento sono relativamente basse”.
Insomma, per una ragione o per l’altra, gli emergenti saranno tutti coinvolti, in senso negativo. “In un campione di venti sovrani EM, sei dei nostri rating a lungo termine sono negativi (Brasile, Libano, Russia, Sud Africa, Turchia e Venezuela) e solo tre hanno prospettive positive (Indonesia, Pakistan e Polonia)“, dice Kraemer. Che conclude: “Potrebbero arrivare altri downgrade l’anno prossimo, che estenderebbero il trend negativo iniziato a metà del 2011”.