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Cosa traina il Dollaro?

11 Dicembre 2009 12:18

Pubblichiamo un contributo di Michael Riddell, M&G Fixed Interest Team                 


Il recente comportamento del Dollaro americano ha lasciato gli investitori un po’ perplessi. Venerdì scorso, quando un calo inatteso del tasso di disoccupazione ha dato il via a speculazioni sull’aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed a metà del prossimo anno, si è verificato il più forte rally del Dollaro da gennaio. Lunedì il Dollaro ha continuato a guadagnare contro l’Euro, a seguito delle dichiarazioni di Bernanke sull’economia americana, che affronta venti sfavorevoli, e sull’inflazione, che potrebbe scendere ancora. La crescita debole e l’inflazione contenuta suggeriscono che  non c’è pressione per un rialzo dei tassi in America. Quindi l’elemento che ha apparentemente trainato il Dollaro lunedì era l’opposto di quello che lo ha influenzato venerdì scorso.

 


Si cerca di attribuire qualunque cosa alla performance del Dollaro, ma la realtà è che negli ultimi 18 mesi, o almeno fino a venerdì scorso, la sua performance è stata quasi interamente dovuta alla propensione o all’avversione al rischio degli investitori in ogni giorno specifico. Lo si può vedere nel grafico, che propone l’andamento dell’indice S&P 500 contro quello del Dollaro. L’indice del Dollaro misura il Dollaro contro un paniere delle sei principali valute. I due indici hanno avuto un andamento abbastanza vicino negli ultimi sei mesi, con una correlazione pari a -0.94.


La stretta correlazione negativa tra Dollaro e asset rischiosi può essere spiegata con il carry trade sulle valute. Dopo il salvataggio di Bear Stearns a marzo 2008, il carry trade ha rallentato rapidamente, portando a rendimenti minori e all’outperformance delle valute a minor rischio come il Dollaro americano e lo Yen giapponese. Quest’anno il carry trade è tornato, perché gli investitori alla ricerca del rischio hanno sfruttato i bassi tassi d’interesse americani per chiedere prestiti in Dollaro a prezzi quasi nulli, utilizzando il ricavato per investire in valute a rendimento più elevato come il Dollaro australiano o il Real brasiliano.


Venerdì scorso, i dati sui salari non agricoli americani hanno fatto oscillare la correlazione. Anche se le cifre sui salari erano ancora negative, i dati sono stati più forti del previsto, perché il mese scorso i datori di lavoro americani hanno tagliato il minor numero di posti di lavoro dall’inizio della recessione. Il tasso di disoccupazione americano è sceso inaspettatamente da 10,2% a 10%. Alla notizia, i mercati azionari europei sono saliti dell’1,5% e le obbligazioni governative hanno visto un sell off abbastanza brusco. In questo ambiente di propensione al rischio, ci si sarebbe normalmente aspettati un indebolimento del Dollaro. Invece quest’ultimo ha avuto un rally di oltre l’1% rispetto al Dollaro australiano e alla Corona norvegese, dell’1,5% rispetto all’Euro e di oltre il 2% rispetto allo Yen giapponese.

 


Tradizionalmente, la Federal Reserve non ha mai aumetato i tassi d’interesse fino a che la disoccupazione ha iniziato a scendere per un certo tempo. Dati positivi sulla disoccupazione fanno crescere, quindi, il rischio che la Fed inizierà ad aumentare i tassi il prossimo anno. L’aumento dei tassi ha il potenziale per alterare radicalmente il comportamento del Dollaro americano. A prova di questo, basta guardare cosa è successo tra marzo 2004 (quando i mercati hanno iniziato a prezzare una serie di aumenti dei tassi da parte della Fed) e la fine del 2005 (quando anche la BCE ha iniziato ad aumentare i tassi) – in un ambiente di crescente propensione al rischio, il Dollaro si è apprezzato di quasi il 12% rispetto allo Yen, del 7% rispetto alla Sterlina, e del 4% rispetto all’Euro e al Dollaro australiano, nonostante lo status di valuta ‘rifugio’ del Dollaro americano.


A questo punto è facile leggere fin troppo nei dati positivi sulla disoccupazione di venerdì scorso, ovvero un uccello non fa primavera, anche se è molto probabile che sia proprio un uccello ad annunciarla. Le dichiarazioni rilasciate da Bernanke lunedì suggeriscono che probabilmente non ci sarà un rialzo dei tassi prima della seconda metà del 2010. Tuttavia, l’indebolimento costante del dollaro è ora un po’ meno scontato.