Chi vince e chi perde in tempi di agflazione
E’ un effetto che passa sicuramente in secondo piano rispetto alle decine di migliaia di vittime provocate dal ciclone Nargis, ma l’odierna ascesa delle quotazioni del riso grezzo (salite del 3,5% a 22,35 dollari per 100 libbre) in scia all’attesa di una riduzione dell’offerta birmana è il segnale di un fenomeno che potrebbe tradursi in un altrettanto elevato numero di vite a rischio. Secondo il World Food Program delle Nazioni Unite, la crescita dei prezzi alimentari avrebbe infatti innalzato a 100 milioni il numero delle persone afflitte dalla fame a livello mondiale.
E nonostante i livelli record siano lontani per molte commodity agricole (il prezzo del grano ad esempio è sceso del 35% dai suoi massimi), l’andamento recente del riso e di altre granaglie dimostra quanto queste restino sottoposte a fortissime tensioni. Il 2008 si avvia così verso il sentiero della cosiddetta agflazione, ossia, banalmente, la crescita dei prezzi dei prodotti agricoli. Dall’inizio del 2007 al Chicago Board of Trade i future sul grano hanno messo a segno un incremento del 69%, quelli sulla soia del 92%, quelli sul riso del 131 e quelli sul mais del 49%.
Morgan Stanley ha anche costruito due panieri di azioni sul tema. Il paniere dei “vincitori” comprende titoli come Bayer, Basf, ma anche Fiat per la sua partecipazione in Chn, e sostanzialmente tutte le società che agiscono da fornitori nei confronti dell’agricoltura (gli altri titoli sono Syngenta, Yara International, K+S e Bucher Industries). I “perdenti” invece comprendono i settori dell’alimentare e del beverage in senso allargato, si va da Tate & Lyle a Unilever, da SABMiller ad Heineken, ma anche all’italiana Autogrill, inserita nel settore della ristorazione al pari di Compass Group, Sodexo, Mitchells & Butlers, J.D. Wetherspoon e Restaurant Group. Merrill Lynch ha invece lanciato l’Asia Peasant Boom Index, con il fine di fornire esposizione ai titoli ben posizionati per beneficiare dalla crescita dei consumi rurali, delle società caratterizzate da bassa elasticità della domanda e da un’integrazione verticale nell’alimentare. In generale da Merrill Lynch ritengono che le società verticalmente integrate possano sovraperformare in periodi di alta inflazione alimentare, perché in tempi di scarsa offerta i produttori vedono crescere la propria capacità di fare prezzo, mentre i compratori la vedono diminuire.