Il buono pasto fa bene alle famiglie e anche ai conti pubblici
I lavoratori italiani lo aspettano con ansia ogni mese, insieme alla busta paga. E’il blocchetto dei buoni pasto, bene necessario per tutti coloro che non possono beneficiare di un servizio mensa al lavoro, e che ricevono così un aiuto economico non indifferente da impiegare nella pausa pranzo o nella spesa quotidiana di prodotti alimentari. Uno studio dell’Università Bocconi, realizzato in collaborazione con due società emettitrici di buoni pasto, Sodexo Motivation Solutions e Day Ristoservice Servizio Buoni Pasto, mostra come il tagliando sia un effettivo sostegno alle famiglie dei lavoratori. Secondo le stime oltre 2,3 milioni di dipendenti italiani (di cui il 36% dipendenti pubblici) utilizzeranno buoni pasto nel 2012 per un valore facciale complessivo di circa 3,4 miliardi di euro. Nel 2009, infatti, il valore stabile del buono pasto è anche riuscito ad ammortizzare gli effetti della crisi, garantendo al lavoratore (su un buono pasto da 5,29) un potere d’acquisto superiore del 1,71%.
Non solo, ma il buono pasto fa bene anche ai conti pubblici. Infatti, rispetto alla moneta, il tagliando stimola il consumo da parte dei dipendenti beneficiari e obbliga ad una fatturazione finale per ottenere il pagamento del suo valore da parte della società emettitrice; questo permette di garantire 306 milioni di euro di Pil e 438 milioni di euro di risorse fiscali per l’Erario all’anno (stima per il 2013).
Lo studio di Università Bocconi, Sodexo e Day Ristoservice è dedicato alla stima di tutti gli impatti economici del buono pasto così com’è oggi, e valuta gli effetti negativi di una sua eventuale cancellazione dalle pratiche aziendali in termini di impoverimento del reddito delle famiglie e dei consumi. Un’eventualità non auspicabile, anzi: gli esperti hanno analizzato la possibilità di un miglioramento del servizio, soprattutto nell’ottica della recente riforma del lavoro, che richiede una diversa gestione delle risorse umane e del welfare aziendale.
La componente più eclatante da correggere nel sistema dei buoni pasto è il loro valore minimo esentasse, che è fermo dal 1997 a 5,29 euro a fronte di un’inflazione che in 15 anni ha fatto aumentare il costo dei beni alimentari anche del 50% e che richiederebbe un aumento del valore del tagliando per il pasto aziendale almeno ad 8 euro. Tale misura, se accompagnata da un analogo aumento del valore facciale medio del buono, genererebbe un aumento del 3,24% del potere d’acquisto del lavoratore ed una crescita del PIL tra i 93 e i 291 milioni di euro.
Seconda fondamentale proposta di riforma, l’introduzione del buono pasto elettronico, in grado di garantire tracciabilità, efficienza gestionale e controllo delle anomalie d’utilizzo dei buoni da parte degli attori della filiera, riportando il buono pasto al suo originario scopo di servizio sostitutivo di mensa.
Cambiamenti, questi, che senza costi aggiuntivi sul piano fiscale per lo Stato, permetterebbero di coniugare crescita dei consumi, maggiore potere d’acquisto delle famiglie e maggiore efficienza del servizio.