Bond e le poche alternative ai rendimenti negativi, l’opzione delle strategie obbligazionarie absolute return
Il popolo degli investitori non ha mai vissuto l’esperienza dei tassi negativi. Per chi è abituato a trattare obbligazioni, il periodo storico che stiamo attraversando è nuovo e inesplorato e, naturalmente, anche pieno di insidie e pericoli. Gli investitori del reddito fisso, sia esso composto da titoli di stato piuttosto che da corporate bonds, sono disorientati e non sanno più che pesci pigliare nell’universo dei tassi negativi al punto che le obbligazioni con rendimenti negativi non rappresentano più un’assurdità come si pensava fino a poco tempo fa.
La domanda che giunge spontanea, alla luce del nuovo quantitative easing “infinito” della Bce è se continuare a comprare bond speculando sulle variazioni di prezzo o cambiare strategia rivolgendosi magari al mercato azionario con tutti i rischi annessi e connessi a questo genere di asset class. Da quando le banche centrali hanno iniziato a “drogare” il mercato con misure di sostegno di finanza non convenzionale il volume dei titoli a reddito fisso scambiati a rendimenti negativi dal 2016 non è mai sceso al di sotto di 6.000 miliardi di dollari. E oggi siamo a quota 17.000 miliardi di dollari. Quasi il doppio se ci mettiamo dentro anche i bond bancari e corporate in circolazione il cui yield è sceso sottozero.
Poche alternative ai tassi negativi offerti dai bond
Cosa fare allora per il prossimo futuro? Se le alternative ai tassi negativi al settore bond investment grade (IG) e titoli di stato sono i bond high yield o le obbligazioni emesse dai Paesi emergenti, meglio restare nel primo danno. Infatti, le diverse classi di attivi del reddito fisso che compongono il mercato obbligazionario si sono mosse in modo molto simile negli ultimi anni creando uno spartiacque molto ampio fra titoli IG e “bond speculative grade”. Da questo punto di vista la rassegnazione degli investitori è rappresentata quindi anche dalla difficoltà di poter diversificare il portafoglio obbligazionario senza assumersi troppi rischi col risultato che i rendimenti dei fondi IG e assicurativi negli ultimi due anni si sono assottigliati moltissimi al punto da coprire appena le spese di gestione.
Le strategie obbligazionarie absolute return
Ma esiste un’alternativa. Come fanno notare Thomas Hansen, Senior Investment Manager, Patricia Schuetz, Senior Client Portfolio Manager di Pictet Asset Management si tratta delle strategie obbligazionarie absolute return (ARFI). Che cosa sono? La formula Absolute Return identifica una pattuglia sempre più nutrita di fondi di investimento che unisce prodotti diversi che vengono gestiti con un solo obiettivo: adottare strategie di portafoglio che siano utili a ottenere un rendimento positivo assoluto in ogni fase di mercato. L’obiettivo primario delle strategie obbligazionarie absolute return è il controllo della volatilità e l’adozione di strategie per raggiungere il risultato prefissato. Più precisamente, per comprendere la differenza tra un fondo comune tradizionale e un fondo absolute return bisogna distinguere tra due concetti chiave di rendimento atteso per l’investimento:
- I fondi comuni di investimento tradizionali sono a rendimento relativo, ovvero utilizzano un benchmark (indice di mercato) come riferimento per parametrare rischio e rendimento e utilizzano strategie di portafoglio direzionali.
- I fondi absolute return o total return hanno come obbiettivo il rendimento assoluto, non hanno un benchmark di riferimento di mercato e la performance dipende dalle scelte del gestore che non segue strategie tradizionali.
Ciò vuol dire che i fondi absolute return possono allocare in portafoglio strumenti finanziari di vario tipo, dalle azioni ai bond, ai derivati, ecc., adatti alla strategia scelta e all’obiettivo da perseguire. Si tratta di prodotti finanziari adatti a chi ha un orizzonte di medio lungo periodo, di almeno tre anni, e non sono resistenti alla flessione dei mercati. IL che significa che l’obiettivo di rendimento positivo assoluto è quello di guadagnare sempre, ma di contenere meglio le perdite nei momenti di crisi. Per esempio, nel 2008, quando l’indice Standard and Poor’s 500 è crollato quasi del 39%, la media dei fondi absolute return ha perso il 13,5%.