Banche venete: rumor decreto per sospendere rimborso bond. Opzione risoluzione ‘soft’ e rischio spezzatino
Dossier banche venete, a che punto è la rete di sicurezza che il Tesoro spera di lanciare per salvarle dal bail-in? Qualche spiraglio di speranza è arrivato nelle ultime ore dal mondo della finanza italiana, con alcuni dirigenti che hanno aperto alla possibilità di partecipare a un’azione concertata volta a dare a Popolare di Vicenza e Veneto Banca quegli 1,2 miliardi di capitali privati che l’Ue chiede da settimane. Miliardi indispensabili, in quanto Bruxelles considera questo apporto una condizione sine qua non per dire sì alla ricapitalizzazione precauzionale, del valore di 6,4 miliardi di euro.
Governo valuta sospensione rimborso bond Veneto Banca
Il Sole 24 Ore riporta alcune indiscrezioni, secondo cui il Mef sarebbe al lavoro per la cordata di “volontari”, ma starebbe al contempo valutando anche l’ipotesi di un decreto per sospendere il rimborso del bond di Veneto Banca che scade a giorni, il prossimo 21 giugno. Scrive Il Sole:
“Novità positive potrebbero arrivare già dal Consiglio dei Ministri fissato per oggi alle 18.30, proprio per aspettare il rientro del ministro Padoan dal vertice Ecofin. Dal Cdm potrebbe uscire un provvedimento d’urgenza: l’intervento, a cui i tecnici stanno lavorando, potrebbe concentrarsi su una soluzione ponte per sospendere il rimborso del bond di Veneto Banca, in scadenza il 21 giugno, e comunque evitare che i tempi di attesa della risposta europea possano rendere ingestibile la situazione”.
Banche venete, opzione risoluzione soft
Sempre il Sole rivela tuttavia la presenza di un piano B di Governo e Vigilanza, che starebbero vagliando l’ipotesi di una risoluzione soft.
Nell’articolo si legge che “va premesso subito che l’opzione allo studio non implicherebbe il bail-in” e, anzi, sarebbe una soluzione innovativa. In che modo?
Si tratta di un’opzione che non è neanche presente nella direttiva europea sul bail-in (BRRD), né in qualsiasi altro testo legislativo fin qui approvato sulle crisi bancarie.
Praticamente:
“il progetto, in estrema sintesi, prevede l’entrata in risoluzione delle due banche venete, che dovrebbe essere valutata (dopo il primo caso avvenuto per l’operazione Banco Popular-Santander) dal Single Resolution Board. Ma di pari passo verrebbe consentito anche l’intervento dello Stato a scopo preventivo (early intervention) attraverso un aumento di capitale da 4 miliardi”.
Ma perchè le due banche venete dovrebbero entrare nella procedura di risoluzione?
Il Sole spiega che il governo starebbe pensando di attivare il fondo di risoluzione che venne già utilizzato “per il caso delle quattro banche (Banca Marche, Banca Etruria, Cariferrara e Carichieti) finite in risoluzione prima che entrasse la direttiva BRRD sul bail-in”. Ora, spiega Il Sole 24 Ore, le norme impongono che, affinché si possa attingere al fondo di risoluzione, debba essere aperta una procedura di risoluzione che deve ricevere l’approvazione dell’SRB sulla base dell’esistenza di determinati requisiti. Certo che:
“l’attivazione del fondo di risoluzione risolverebbe in un sol colpo la questione di reperire i fondi privati” che sono stati chiesti-praticamente-pretesi da Bruxelles per “coprire quell’eccedenza di perdite su crediti deteriorati quantificata dalla vigilanza europea in 1,25 miliardi. Il fondo è obbligatorio e il contributo pro-quota delle banche sarebbe inesorabile”.
Che fine farebbero le banche venete?t
Ma in questo caso, sempre se questa strada fosse percorribile, che fine farebbero le banche venete?
La direttiva BRRD “prevede alcuni percorsi precisi per poter imboccare la strada della risoluzione: a cessione a un’altra banca, come accaduto con il caso Banco Popular, la costituzione di una bad bank o il bail-in”. O, anche, misure volte a preparare la vendita sul mercato delle banche E in prospettiva per Veneto Banca e Popolare di Vicenza “potrebbe esserci un break-up”.
Il Sole 24 Ore conclude l’articolo scrivendo che “l’ipotesi spezzatino delle banche (chi compra sportelli, chi NPL) magari non è poi da considerare così remota” anche considerando alcune dichiarazioni che fanno riferimento alla possibilità che qualche istituto metta solo un contributo pro-quota.
I volontari disposti ad aiutare le banche venete
Tornando alla cordata dei volontari, fino a pochi giorni fa, un’apertura era arrivata solo da UniCredit e Intesa SanPaolo che non sarebbero comunque disposte ad accollarsi da sole il peso di un tale salvataggio.
Nelle ultime ore, la lista sembra essersi allungata, anche se non di molto. Così si è espresso Giulio Magnani, presidente del gruppo del credito cooperativo Iccrea:
“Se ci chiamano prenderemo la questione in considerazione e andremo ad ascoltare. Ascoltare non costa nulla. Ma siamo lontani”.
Il direttore generale di Iccrea Leonardo Rubattu ha detto inoltre che “siamo molto sensibili alla evoluzione delle banche venete, di cui condividiamo la vocazione territoriale”, sottolineando che le condizioni di un intervento “dipendono moltissimo dalle modalità, siamo aperte a valutarla ma solo quando ci sarà chiarezza delle condizioni”.
Banche venete: tra i volontari anche Unipol
Un altro a tendere la mano e a mostrare una certa apertura – precisando comunque che la partecipazione, se ci fosse, sarebbe a una soluzione di team – è stato Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol, che ha puntualizzato tuttavia che al momento il gruppo non è stato contattato:
“Non abbiamo ricevuto alcuna proposta concreta”. Detto questo, ha aggiunto Cimbri, “in linea di principio se tutte le banche interverranno faremo la nostra parte”, aggiungendo che la condizione è che all’operazione aderisca la gran parte del sistema e che, nel caso, l’intervento del gruppo Unipol “sarebbe pro-quota”.
A tal proposito Cimbri ha fatto un parallelismo con quanto già fatto con il fondo Atlante, la cui creazione vide il Gruppo Unipol partecipare con una quota di 100 milioni di euro.
La lista della cordata dei volontari, dunque, si allunga: ora c’è l’apertura di UniCredit, Intesa SanPaolo, Unipo, e il gruppo Iccrea, e a essere disponibili attraverso l’iniezione di finanziamenti ci sarebbero anche Poste e Mediolanum. Ma il futuro, nonostante le rassicurazioni di Padoan, è tutto fuorchè sicuro”.