Proprio così, gentile e cara dottoressa Bazzoli, la pensiamo allo stesso modo: «La pace va nutrita di parole e di azioni». Per questo lei si spende a quel che so in molte attività culturali, per questo qui ad “Avvenire” facciamo il giornale che facciamo: senza nascondere nulla delle guerre in corso (dico sempre che le guerre cominciano a finire solo se e quando riusciamo a “vederle”) e dando valore a tutti coloro, uomini e donne, che si battono senz’armi per sovvertire la logica devastante e assassina della guerra. Davanti all’insensatezza atroce della guerra d’Ucraina, riaccesa al calore bianco dall’invasione russa, lo facciamo, esattamente come in tutti gli altri casi in cui l’umanità si massacra: in Yemen, in Sud Sudan, in Siria, in Libia... e l’elenco potrebbe continuare, come stiamo dimostrando, ogni giorno sin dalla nostra prima pagina con la rubrica ”Non solo Kiev“ dedicata a tutte le guerre che i nostri politici e la nostra opinione pubblica italiana ed europea rifiutano o fanno semplicemente fatica a riconoscere come tali. Stavolta, però, con la guerra d’Ucraina è diventato straordinariamente difficile anche solo dire che la guerra è un male assoluto e – come chiede papa Francesco, e uomini di limpide azioni di pace come Gino Strada hanno invocato per tutta la vita – perciò va «abolita». Adesso, non domani. Da dove cominciare? Anche dalle porte spalancate a chi rifiuta di fare la guerra e di ammazzare e distruggere. Il precedente delle braccia aperte ai disertori e obiettori delle guerre nella ex Jugoslavia che lei richiama è davvero importante. Ed è giusto, umano e costituzionale ripetere con russi e ucraini quella scelta di solidarietà e di asili, un concreto gesto di rispetto, di accoglienza e di valorizzazione. Non mi stanco di ripeterlo: gli eroi sono quelli che non uccidono.