Supports/Surfaces

(12/n)
"Formato:
La questione del formato s’impone dopo che Pollock introduce il formato “americano” di grande superficie. Si dice che l’artista realizzasse grandi formati per non essere facilmente integrato sulle pareti dei musei. La situazione è senz’altro cambiata poiché da allora si sono costruiti luoghi in grado di ricevere dipinti di grandi dimensioni. Nel 1967 nessun artista in Francia pratica il formato “americano”. La tela libera, invece, consente per motivi di manovrabilità di lavorare a terra e quindi di poter ripiegare l'opera per portarla fuori dallo studio e trasportarla agevolmente, il che apre la strada a grandi formati materialmente realizzabili anche in locali angusti.

Nel 1968-’69 gli “estensibili” di Dezeuze sono delle opere contenenti effettivamente tutti i formati possibili, visto che agiscono come pantografi che si estendono sia in larghezza che in altezza. Il formato classico codificato in Paesaggio, Ritratto e Marina viene sottoposto ad un trattamento particolare."

(segue)
 
(13/n)
"In situ:
Questo termine utilizzato fin dall'antichità romana è stato diffuso da Buren a partire dagli anni 1969-'70 per indicare che la collocazione dell'opera era più importante dell'opera esposta, ovvero che il contesto prevaleva sul contenuto intrinseco del quadro.
Il contenuto ridotto alla sua più semplice espressione (le strisce) cedeva il posto a una contestualizzazione sempre più collegata all’architettura circostante.
L’influenza di Duchamp è chiara nella misura in cui per questo artista è il contesto museale che dà un senso al ready-made. L’orinatoio non si può distinguere dagli altri orinatoi se non per le condizioni della sua esposizione e dal rapporto con le altre opere d’arte. Se l’espressione in situ diviene molto in fretta alla moda, conoscerà diverse derive, tra cui le principali sono le messe in scena spettacolari e la riattivazione dei luoghi culturali.
L’in situ diventa l'abbellimento di istituzioni che aspettano solo di essere valorizzate dagli artisti e appare come una delle forme dell'accademismo contemporaneo."

(segue)
 
(14/n)
"Mano:
Un’importante letteratura ha commentato questo termine. È vero che, contrapponendosi alla fabbricazione industriale della Minimal Art, “la mano” affermava una singolarità nella moda dominante dell’epoca e segnalava una sensibilità non solo verso il mondo primitivo, ma anche verso il Terzo Mondo.
Eppure l'ondata elettronica non era entrata in lizza, a spazzare via un immenso passato dove l'intelligenza manuale aveva permesso agli uomini di plasmare il mondo a loro misura.
Ma è forse quando "la mano" scompare che possiamo farne la storia.

Supports/Surfaces e il suo movimento si interrogava sul rapporto occhio-mano nella tradizione pittorica, non nel senso del suo indebolimento, bensì in quello di un'accentuazione visibile nella pratica di ogni artista. La manipolazione nel senso stretto del termine verrà confermata dalla nozione greca di Mḕtis, l’intelligenza tecnica, soggetto del libro di Détienne e Vernant del 1974 e futuro punto di riferimento per certi artisti del gruppo."

(segue)
 
(15/n)
"Marxismo:
Il marxismo è stata la dottrina “ufficiale” per alcuni artisti e ufficiosa per altri.
All’indomani del Maggio ’68 sembrava essere uno scudo contro la muta repressione del pompidolismo (la dottrina gollista di Georges Pompidou, N.d.T.) e una risposta che poteva evolvere sotto l'impulso teorico di Althusser. In effetti rimase un punto di riferimento per la comprensione delle lotte sociali e delle contraddizioni specifiche negli ambienti culturali.
Ma la comprensione delle contraddizioni diventò molto presto il culto della contraddizione, fino ad antagonismi irriducibili.

Una parte degli artisti del movimento (Cane, Dezeuze, Devade) si è interessata al comunismo cinese come approfondimento del marxismo classico."

(segue)
 
(16/n)
"Mercato:
Contrariamente agli stereotipi, il mercato dell’arte e il gruppo Supports/Surfaces non sono andati d’accordo. Molte ragioni possono confermare questo stato di fatto. La maggior parte dei protagonisti sono lettori di Marcuse, Althusser, Lefebvre o Debord e si mostrano dunque riluttanti al liberalismo mercantile. Fatta eccezione per Cane e Devade che per sostentarsi devono entrare nel mondo delle gallerie, la maggior parte degli artisti sono insegnanti o in procinto di diventare tali. Non sono nell’urgenza economica e la loro distanza dal mercato è naturale.
La loro assenza di zelo su questo punto è stato un freno per un ingresso “normale” nel mercato internazionale dell’arte."

(segue)
 
(17/n)
"Nomade:
La tela libera che si può arrotolare, srotolare e trasportare piegata come una tenda, così come la messa in discussione del quadro legato al muro e a una architettura forzatamente sedentaria, hanno portato naturalmente il gruppo iniziale (Dezeuze, Saytour, Viallat) ad occuparsi dello stile di vita dei nomadi. Nel corso dell’estate del 1970 le mostre all’aria aperta saranno realizzate in una dozzina di luoghi differenti, con il processo di montaggio-smontaggio che arriverà a determinare un certo tipo di opere esposte ai quattro elementi."

(segue)
 
(18/n)
"Partito Comunista Francese:
Alcuni membri del gruppo Supports/Surfaces (Cane, Dezeuze, Devade) si sono iscritti a questo partito politico per uscirne rapidamente alla sua sinistra. Sembrava infatti impossibile trasformare dall’interno questo “partito-setaccio” che non ha preso le misure degli avvenimenti.
Il gruppo Supports/Surfaces è stato portato a prendere delle posizioni molto vicine a quelle dei comunisti. Effettivamente tra la sua ala di sinistra e la sua palude socialdemocratica l’accordo collettivo si raggiungeva su una piattaforma cripto-comunista. Cosa che ha fornito un collante di breve durata al gruppo già incrinato, oltretutto, da amare insoddisfazioni."

(segue)
 
(19/n)
"Piegatura:
Questa azione di piegare la tela fu il gesto inaugurale di Hantaï: piegare, poi dopo dipingere, per dispiegare alla fine del percorso. Le pieghe aleatorie non sono state riprese dalla generazione successiva. Parmentier piegava secondo un’orizzontale perfetta, dipingeva, poi distendeva lasciando una larga banda bianca tra le bande ricoperte dal pigmento. Saytour piega tovaglie, delle fisarmoniche di grandi dimensioni, e Arnal va nella direzione di una geometria rinforzata dalle sue prime piegature.
In tutti i casi, la piega permette di preservare delle zone residuali di bianco o di colore e di sviluppare delle superfici inaspettate, supponendo una pratica della tela libera."

(segue)
 
(20/n):
"Scissione:
L’attività scissionista è un’attività a tempo pieno. Si nasce riluttanti o accondiscendenti. Una sola persona può attraversare nel corso della propria esistenza questi due stati in diversi momenti e a seconda di certi cambiamenti. Nel contesto del culto della contraddizione, frutto di una interpretazione controproducente della dialettica marxista (…), alla fine la scissione è una cosa normale e lodata. L’“uno si divide in due” sostenuto dal pensiero di Mao e condiviso da alcuni maoisti, che diventa un principio di esclusione o di auto-esclusione.

Il gruppo Supports/Surfaces conosce una scissione nel 1971. Saytour, Viallat, Valensi, Dolla, Grand esponevano in una sala del Teatro di Nizza, mentre Devade, Cane, Dezeuze, Bioulès e Arnal esponevano separatamente più lontano, segno simbolico di una separazione definitiva tra le due fazioni. Secondo l’interpretazione del critico nizzardo Jacques Lepage, questa scissione era una linea di demarcazione tra la Provincia e Parigi. Ma la questione, alla fin fine, era politica. La coalizione della sinistra attirava già coloro che esponevano nella prima sala verso la socialdemocrazia, mentre gli altri artisti, appartenenti al comitato di redazione di Peinture e dei Cahiers théoriques perseveravano nella loro volontà di una contestazione radicale."

(segue)
 
(21/n)
"Supports/Surfaces (I):
Questo gruppo, che ha dominato l’arte in Francia nel decennio degli anni ’70, è il nucleo centrale della corrente formalista in Francia, essendo il formalismo di carattere materialista e opposto per definizione all'idealismo.
Il declino delle ideologie ha aperto la strada a egotisti “repressi”, a romantici ed espressionisti nostalgici che i formalisti, ai quali dobbiamo ricondurre Supports/Surfaces, avevano creduto arginati per sempre. Gli artisti di questa corrente non hanno soltanto realizzato lo smantellamento meccanico del quadro, ma una rottura violenta con le condizioni dell’arte “moderna”.

Gli artisti di Supports/Surfaces si sforzano di desoggettivizzare il rapporto che la società occidentale intrattiene con l’arte, presentando i mezzi, istruendo il processo ai suoi effetti. Questo distanziamento tra l’artista e l’opera traduce la nozione di oggettività, capitale negli anni ’60 (Klein, BMPT), per una riflessione su tutti gli elementi materiali che costituiscono l’opera dipinta. L’archeologia di certe opere si riconduce al progetto di scavare nella storia della pittura e non di svuotarla come i movimenti di negazione dell’arte e anti-arte.

L’approccio degli artisti di Supports/Surfaces è vicino a quello della Minimal Art, perché consiste nel riprendere la pittura dal suo grado zero (tale volontà di decostruzione è perfino una necessità nella confusione ambientale). Tuttavia, per loro l’opera non è un oggetto reale, ma un oggetto di conoscenza, vale a dire che ogni dipinto porta con sé un sistema politico, filosofico, ideologico e di pensieri.

Le preoccupazioni di questi artisti sono prossime a quelle dell’epoca, gli anni ’60, come le scienze umane, in particolare le analisi marxiste (il materialismo dialettico), strutturaliste (che hanno come base la linguistica) e psicanalitiche. Anche la loro produzione è stata ampiamente segnata dal principio di serialità. La pratica doveva essere necessariamente fondata teoricamente, onde evitare che si trasformasse in accademismo."

(segue)
 
(22/n)
"Supports/Surfaces (II):
I pochi principi utilizzati da questo gruppo di artisti sono i seguenti:

Il metodo dialettico e lo strutturalismo (rilettura strutturalista di Marx da parte di Althusser, di Freud da parte di Lacan e influenza di Barthes) hanno aiutato questi artisti a tenere conto del materiale (con la sua analisi), poiché conferiscono al supporto lo stesso valore autonomo. Separano due elementi di base, la tela e il telaio. Per esempio, Viallat sfrutta la tela, Dezeuze il telaio (…).
Più in generale, questi artisti hanno effettuato uno smontaggio completo dei meccanismi speculativi della creazione artistica e delle modalità operative. Questo movimento rientra dunque nell’astrazione analitica.

L’importanza di Supports/Surfaces sta nel privilegiare la materialità dell’opera, il significante, e di legarla al represso (il telaio è una parte riprovevole del quadro), al lavoro dell’inconscio che reprime l’idealismo razionale di una grande parte dell’arte contemporanea.

Supports/Surfaces critica lo spazio pittorico dominante che è definito “speculare”: sulla superficie dello schermo dipinto si proiettano le immagini della “coscienza di sé” del pittore e dei ritagli ch’egli pratica in un “reale” rappresentato o espresso. Lo schermo è dunque rimosso e diventa una superficie. È anche il "sapere" psicoanalitico che spinge a rifiutare questa concezione del "soggetto" (è l’illusione “narcisistica” di Freud).
La storia dell’arte moderna (Cézanne, il cubismo, Matisse, Pollock) invita a criticare il supporto e la superficie che programmano la proiezione soggettiva.
Con lo stesso spirito di voler utilizzare i progressi della psicanalisi, le ripetizioni che riguardano numerose opere fanno riferimento alla compulsione studiata da Freud (ripetizione di gesti, di tracce di forme in Dezeuze, Dolla e Viallat, per esempio).

Loro guastano anche il sapere abituale. Per esempio, se si guardano certi lavori di Dezeuze con il “sapere” della struttura ortogonale, che è qualcosa di strutturale nello spazio pittorico della pittura occidentale da cui provengono, si percepiscono come “frammenti” (se si tratta di triangoli) o come deformazioni del quadro di riferimento (“collimatori attorcigliati”). Ciò si avvicina all’anamorfosi dei cerchi di Mangold o alle correzioni prospettiche di Dibbets. (…)
La stretta obbedienza al quadro è una conseguenza diretta del formalismo americano. (…)"

(segue)
 
(23/23)
"Tela libera:
Chi ha “inventato” la tela libera? In effetti, non si tratta di un’invenzione improvvisa, ma di manipolazioni empiriche che hanno portato a rendere sistematica questa pratica. Hantaï è stato il primo a fare delle pieghe alla tela, per poi ridistenderla sul telaio. Viallat ha esposto delle tele libere nel 1966, ma il suo problema primario restava la ripetizione della sua forma. La messa a nudo del telaio riattiva la questione della tela libera per farne una a sé stante.

Pittori come Pincemin, Dolla o Valensi hanno anche in seguito praticato la tela libera, che nella maggior parte dei casi è lavorata al suolo, con il pittore che riprende la postura di Pollock."

(Fine)
 
Con grande ritardo è stato comunicato il risultato dell'opera di Viallat esitata il 2 dicembre:

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Credo sia interessante fornire qualche informazione ulteriore sull’importante mostra tenutasi a Céret nell’estate del 1966, dal titolo Impact I. La mostra, già menzionata sia in questa discussione che in quella dedicata al gruppo BMPT, è stata organizzata dal critico nizzardo Jacques Lepage e da Claude Viallat. Metteva insieme artisti provenienti da tre regioni geografiche: Catalogna, i dintorni di Nizza e Parigi.
Copertina del catalogo:
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Dall’area catalana intervengono i seguenti artisti: Daniel Argimon, Jordi Galí-Camprubí, Jordi Pericot, Antoni Miralda, Joan Rabascall, Ernesto Salvado e Roman Vallès. Di questi, solo Miralda e Rabascall godono oggi di un moderato interesse collezionistico.

Dalla nascente Scuola di Nizza partecipano: Arman, Ben (che farà anche un happening), Albert Chubac (svizzero), Gérard Eppele, Jean-Claude Farhi, Paul Armand Gette, Claude Gilli, Robert Malaval, Claude Viallat e Bernar Venet. Qui, oltre ai nomi ben noti anche in Italia (Arman, Ben, Viallat e Venet), ci sono artisti forse meno noti, ma apprezzati in Francia, che chi è alla ricerca di qualcosa di un po’ diverso potrebbe tenere sotto osservazione: Claude Gilli (record d’asta € 57.500), Robert Malaval (record d’asta € 31.000) e magari, per chi ama le sculture, Jean-Claude Farhi (record d’asta € 50.000).

Da Parigi arrivano: Vincent Bioulès, Francis Biras, Pierre Buraglio, Daniel Buren, Dufo, Joël Kermarrec, Michel Parmentier, Michel Parré, Henri Prosi, François Rouan, Daniel Stotzky, Jacques Tissinier e Niele Toroni. Qui, oltre ai membri dei due gruppi BMPT e Supports/Surfaces (Rouan incluso), non c’è null’altro di interessante per il mercato odierno.

Ecco un’immagine del manifesto realizzato da Arman, a partire da un’idea di Viallat:
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Gli artisti sono invitati a lasciare le opere al museo di Céret, ma resteranno solo quelle di Ben e Viallat.
Qui l’opera di Ben dal sito del Museo d’Arte Moderna di Céret:

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Nel 1972, nello stesso luogo, verrà organizzata anche una Impact II. La mostra sarà curata dall’artista Hervé Fischer e dai critici Jean Clair e, ancora una volta, Jacques Lepage, ciascuno chiamato a selezionare alcuni artisti. L’unica partecipazione di una certa risonanza è quella di Noël Dolla (invitato da Lepage).
 
La storica dell’arte Rosemary O’Neill, americana, ha scritto un bel libro sulla scena di Nizza e della Riviera negli anni ’60, dal titolo: “Art and Visual Culture on the French Riviera, 1956-1971. The Ecole de Nice”. Viene raccontata la compresenza di Nouveau Réalisme, Fluxus e Supports/Surfaces. Ad esempio, si colgono bene l’importanza e l’influenza che hanno avuto Ben e Arman, non solo per la scena di Nizza, in generale, ma in particolare per Viallat, al quale sono stati molto vicini.

La mostra di Céret è un esempio perfetto del clima che si respirava. Oltre alla già menzionata collaborazione fra Arman e Viallat per la realizzazione del poster, Ben programma delle performance. Insieme ad altri membri di Fluxus, le esegue all’apertura della mostra. Queste includono “Zen for Head” di Nam June Paik e l’esecuzione della “Composizione n°10 (a Bob Morris)” di La Monte Young. Le performance si tengono all’aperto, in uno spazio pubblico al di fuori del museo, con interazioni tra performer e spettatori. Ben scrive anche un saggio, “Le Happening”, che viene incluso nel catalogo della mostra.
Il critico Jean Clair descrisse la mostra come “la più bella collezione d’arte contemporanea che un museo di provincia avesse mai posseduto”.

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Nell’ottobre del 1968, pochi mesi dopo gli eventi del Maggio ’68, viene pubblicato un manifesto in sette punti intitolato “INterVENTION ‘A’”, che se la prende contro “l’eccessiva centralizzazione” della cultura in Francia. Il centralismo del sistema culturale francese era percepito come fallimentare nel promuovere il pluralismo e le realtà regionali. Nel catalogo che accompagna la personale al Pompidou del 1982, Viallat ricorda (traduzione mia):
“Il fine era triplice: innanzitutto pedagogico - si trattava di tentare di mischiare le arti visive con la vita quotidiana. Era anche tattico: noi pittori di provincia volevamo darci dei mezzi per lavorare dalle nostre parti e ottenere uno status che fosse al pari di quello degli artisti parigini. Infine, era politico: volevamo far uscire la pittura dal circuito mercantile tradizionale e trovare altri luoghi dove esporre”.

Il manifesto è firmato anche da Viallat e Saytour, ma sono molto interessanti i quattro autori dello scritto. Oltre a Noël Dolla, partecipano infatti alla sua stesura: Marcel Alocco, poeta e artista che ha partecipato agli eventi Fluxus fin dal 1965 e che avrà poi contatti con i nostri Poeti Visivi; Carmelo Arden Quin, artista uruguagio nato nel 1913 che nel 1946 era stato tra i fondatori a Buenos Aires del Grupo Madí di arte concreta; Raphaël Monticelli, scrittore e critico nizzardo.

È molto significativo che, nonostante la differenza generazionale, un artista come Quin, nella sua convinzione che l’astrazione fosse una pratica sociale e coerentemente con la sua ricerca sulla struttura della pittura, condividesse alcune battaglie e perseguisse determinati obiettivi con Viallat e il suo gruppo.
 
Tra la mostra Impact I e la prima mostra “ufficiale” del gruppo, organizzata da Pierre Gaudibert e Viallat all’ARC del Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (con il titolo scelto da Bioulès che identificherà poi l’intero gruppo) vengono realizzate una serie di mostre en plein air.
Nel 1969, a luglio, Viallat organizza con il critico Lepage un’esposizione a Coaraze, nelle Alpi Marittime, alla quale partecipano Dezeuze, Pagès e Saytour, occupando l’intero villaggio con opere d’arte.

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Tra il 1969 e il 1970 Noël Dolla realizza in maniera autonoma tre “Ristrutturazioni spaziali” (numerate da 2 a 4, con la prima che non viene mai esposta), installazioni all’aperto, in ambiente naturale.
Nell’estate del 1970, da giugno ad agosto, gli artisti che poi avrebbero formato il gruppo Supports/Surfaces realizzano una serie di dodici installazioni collocate all’aperto in vari luoghi sparsi per l’Occitania: spiagge, villaggi, colline, boschi. Il programma s’intitola Intérieur/Extérieur.

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Queste mostre all’aperto furono innovative nel modo di concepire la pittura astratta, rompendo l’orientamento unidirezionale nella fruizione e consentendo un’estensione spaziale e materiale delle sue componenti. Gli artisti operavano liberamente al di fuori di meccanismi e mediazioni istituzionali, restando curatori di sé stessi e presentando opere con caratteristiche nomadiche, spesso effimere e mutevoli.
È plausibile che i problemi che il gruppo ha incontrato fin dalla prima mostra all’ARC e che hanno portato presto a una “scissione” si siano manifestati proprio nel passaggio da un’ambientazione libera e all’aria aperta a quella costretta costituita dagli spazi chiusi delle istituzioni museali.

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L’analisi delle mostre all’aria aperta di Supports/Surfaces è condotta in dettaglio in un articolo di Rosemary O’Neill (la stessa storica americana già autrice del libro sulla scena di Nizza citato in precedenza), dal titolo: “Été 70: The Plein-Air Exhibitions of Supports-Surfaces”. È stato pubblicato dal Journal of Curatorial Studies nel 2012 ed è facilmente reperibile in rete.
 
L’eredità lasciata dal gruppo Supports/Surfaces non si limita solamente alle mostre, alle opere e agli scritti teorici, ma ha a che fare anche con l’attività d’insegnamento portata avanti da quasi tutti gli artisti che ne hanno fatto parte.

C’è un gruppo di artisti, praticamente tutti allievi di Viallat, che ha mosso i primi passi tra il 1968 e il 1970 e all’inizio del 1971 ha preso il nome di “Groupe 70”. Questo collettivo di artisti ha portato avanti dei propri filoni di ricerca, ma direi in continuità con Supports/Surfaces. Si tratta di Vivien Isnard, Louis Chacallis, Serge Maccaferri, Martin Miguel e Max Charvolen. Anche se secondo me hanno fatto alcune cose molto interessanti, mi sembra che sia un gruppo oggi molto trascurato (se non addirittura ignorato) dal mercato. Ci sarebbe molto lavoro da fare per recuperarli e non so se ci sia alcun interesse.

Viceversa, più fortuna ebbe e ha il movimento della “Figuration libre” (termine coniato da Ben), nato tra il 1979 e il 1980, almeno secondo Daniel Dezeuze, proprio come reazione a Supports/Surfaces. E il suo più noto rappresentante, Robert Combas, studiò all’École supérieure des beaux-arts di Montpellier tra il 1975 e il 1979, proprio la scuola dove Dezeuze fu professore dal 1977 al 2002.

Anche Dolla ha avuto allievi illustri, tra i quali: Mathieu Mercier (record d’asta € 20.000), la notevole artista cosentina, francese d’adozione, Tatiana Trouvé (record d’asta € 47.190) e l’artista d’origine egiziana Ghada Amer (record d’asta € 148.420).
 
A quanto sembra, il gruppo Supports/Surfaces ha avuto una forte influenza anche sull’arte giapponese. Non sono un esperto di arte contemporanea giapponese e non avrei dato molto credito a fonti d’altro tipo (provenienti dalla Francia, da gallerie interessate o roba simile), ma questa mi sembra molto autorevole. Si tratta di una sezione curata da Midori Matsuri, critica d’arte già professoressa all’università del Tohoku a Sendai e corrispondente dal Giappone per Flash Art, all’interno del volume pubblicato dal MoMA: “From Postwar to Postmodern. Art in Japan 1945-1989”.

Si apprende che l’arte giapponese del dopoguerra, da Gutai a Mono-ha, aveva preferito la performance, l’intervento pubblico e la scultura site-specific, ma che verso la metà degli anni ’70 molti artisti erano tornati alla pittura, dando vita ad un ripensamento sui limiti e le possibilità del dipingere. Nell’aprile del 1977 la rivista Bijutsu techō (Taccuino d’arte) ha pubblicato un numero speciale dal titolo Kaiga no heimen to heinem no Kaiga (La superficie della pittura e la pittura della superficie), con l’obiettivo di fare un compendio di tutte le questioni legate alla pittura contemporanea. I critici più importanti scrissero saggi e parteciparono a tavole rotonde. Il critico Minemura Toshiaki sostenne le posizioni più avanzate, influenzato dalle teorie di Supports/Surfaces. Curò un’esposizione, per illustrare e sostenere queste tesi. La mostra ebbe luogo alla Galleria Civica di Yokohama nel 1977, con il titolo Kaiga no yutakasa (La ricchezza della pittura), con dieci artisti che si allontanavano dalla superficie dipinta convenzionale, per estendere il concetto di pittura. Nelle parole di Minemura, recuperare “la possibilità della pittura come luogo flessibile in cui significato e materialità si ritrovano”. Tra gli artisti presenti: Enokura Kōji, Inumaki Kenji, Suga Kishio, Suwa Naoki, Takamatsu Jirō e colui che oggi è una star, il sudcoreano Lee Ufan.
 
È in corso e aperta fino a maggio a Marsiglia una mostra dedicata a Vincent Bioulès:

Au bord de l’eau – Vincent Bioulès

È una buona occasione per spendere qualche parola d'approfondimento su questo artista.
Vincent Bioulès è un pittore figurativo, con una parentesi astratta che si può collocare fra La Persienne à Saint Tropez, datata 28 settembre 1965
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e Espace rose ou la Fenêtre à Saint-Tropez del 1974.

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Questi due quadri riprendono uno dei motivi più cari all’artista, derivato ovviamente da Matisse.
All’interno di quel periodo così ristretto, meno di dieci anni, si consuma anche l’esperienza di Bioulès nel gruppo di Supports/Surfaces.
Nel 1966, l’artista rimane molto colpito dalle opere di Helen Frankenthaler e di Ellsworth Kelly che vede alla Biennale di Venezia. L’opera che porta alla mostra Impact I di Céret, Volley-Ball, ne risulta molto influenzata:
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