Il cibo è passione, è amore.



Due grandi dittatori hanno avuto gusti molto particolari e abitudini strane in fatto di cibo:
Adolf Hitler aveva assunto 15 assaggiatrici per assicurarsi che i suoi piatti non fossero avvelenati, attendeva per 45 minuti prima di essere certo che tutte fossero sopravvissute ad un ipotetico boccone letale.
Tra i suoi piatti preferiti c’era il piccione ripieno di lingua, fegato e pistacchi, ricetta che poi dovette abbandonare per diventare vegetariano. Il motivo di questo cambiamento di alimentazione pare fosse una flatulenza acuta alla quale tentò di rimediare nei modi più disparati, perfino assumendo estratti di feci di contadini bulgari, ma ci auguriamo che si tratti solo di leggende.

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Contrariamente a quanti molti potrebbero pensare, invece Benito Mussolini non era il classico italiano amante della pasta, e anche lui aveva qualche problemino. La stitichezza cronica lo ha portato a mangiare ogni sera aglio tritato con olio e limone.
Niente purè di patate invece, insieme alla pasta pare gli causasse un forte mal di testa.


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A Cuba Fidel Castro ha sfoggiato tutte le volte che gli è stato possibile le sue abilità ai fornelli.
Promotore dell’agricoltura sperimentale e contrario ad ogni tipo di spreco, prima di avere gravi
problemi di salute amava gamberi e aragoste ma anche la carne, in particolare il fegato d’oca.
Tra i suoi gusti prevalevano anche i formaggi francesi e pare preparasse un’ottima zuppa di tartaruga.


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L’Italia farà da sfondo ad Addio alle armi e al più tardo Di là dal fiume e tra gli alberi di Ernest Hemingway

Dai menu riportati in queste storie la nostra cucina appare alquanto stilizzata, priva di una forte caratterizzazione come invece avverrà per quella spagnola in Fiesta ed in Per chi suona la campana.
Per dire, Frederic e Catherine in Addio alle armi mangiano in un hotel di Milano, fra le altre cose, Beccaccia flambé all’Armagnac, Soufflé di patate, Brioche, e bevono vino St. Estephe

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Il palato di Hemingway si affina però nella Parigi descritta in Festa mobile, dove decide di trasferirsi nei mitici anni ’20 abitando modeste e fredde camere d’albergo e cercando di evitare le strade inondate dai profumi emanati dai bistrot.

Tarderà un po’ a trovare il coraggio di presentarsi a Gertrude Stein, la grande intellettuale e collezionista d’arte impressionista, che già viveva con Alice Toklas. Conoscerà ben presto i luoghi cult come de La Closerie des Lilas e il Café du Dôme a Montparnasse, imparerà a distinguere le pregiate ostriche marennes dalle portugaises, e ad apprezzare i vini di Bordeaux e di Borgogna. E conoscerà Fitzgerald, che sveniva per il troppo bere, si addormentava a tavola e veniva colto da forti crisi ipocondriache.


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:) ;) Buon pomeriggio.

Compagna dell'eccentrica, geniale, Gertrude Stein, che animò il salotto parigino in rue de Fleurus dove erano di casa esponenti delle avanguardie storiche francesi e scrittori americani espatriati, Alice Babette Toklas ha pubblicato nel 1954 I biscotti di Baudelaire, ricettario narrativo dove piatti e menu sono associati a persone e incontri.

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Quando, tra il 1934 e il 1935, le due amanti andarono invece negli Stati Uniti per una serie di conferenze: a Baltimora le riceve proprio Francis Scott Fitzgerald che serve il tè con un’infinita varietà di canapés per ricordare loro i fasti della sua esperienza a Parigi. Si tratta tartine di pane morbido spalmate di burro e farcite con i più succulenti ingredienti e salse.

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Mentre in Francia passano dal branzino Picasso, decorato con maionese uova sode, tartufi ed erbe tritate, al burro alle erbe dell'attrice Fania Marinoff , dal maiale alla pizzaiola del compositore Virgil Thomson agli gnocchi alla romana di fernanda Pivano sino all' Insalata Francillon di Alexandre Dumas figlio

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E ancora, il «punch caldo per una notte fredda attribuito a Flaubert, le uova di Francis Picabia”, le mele glassate del fotografo Cecil Beaton e la “Crema di Josephine Baker”.

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„Si potrà discutere se sia arte quella confezione di certi quadri di Miró che
in nulla differisce dalla confezione d'una pizza (Miró si fa aiutare da una
bambina a impiastricciare con pennelli e con le dita codesta torta estetica).“

Mario Praz (critico d'arte, critico letterario e saggista italiano 1896 - 1982)


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„Vorrei essere François Villon per cantare una nuova BALLATA DEGLI IMPICCATI
O penduli salami, cotechini di Bologna, soavi mortadelle con il grasso che cola a fior di pelle!
Profumati biroldi, salamini, sopressate stupende! O vaghe, o buone salsicce che pendete come liane!
O rosee, vaghissime collane! E tu, maestosissimo zampone […] A voi salve, o salumi bene amati,
e a quei maiali dei vostri antenati.“

Riccardo Morbelli
scrittore, paroliere e umorista italiano 1907 - 1966


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Tradizione vuole che nella Francia di Carlo VII i boia non fossero visti di buon occhio a causa del loro diretto contatto con la morte
e i fornai si rifiutavano di vendere loro il pane.

Il re, che rischiò di trovarsi senza più boia per le esecuzioni, emanò un editto (che arrivò fino a Torino) che obbligava i fornai a
produrre pane anche per i boia ma questi, accettando l’ordine controvoglia, mettevano a loro disposizione il pane riuscito peggio
e capovolto, in segno di disprezzo.
Altra piccola curiosità, quando questa tradizione cadde in disuso, i fornai iniziarono a preparare del pane a forma di mattone,
in modo tale che non si potesse capovolgere: fu così che nacque il pan carrè.



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„"Cosa c'è di così buffo?"
"Scusa", le rispose arrossendo di nuovo. "È che hai un sapore dolce."
"Cosa vuol dire dolce?" Lui si lecco di nuovo le labbra.
"Sai di miele." "Di miele?"
"Pensavo di impazzire quel giorno… be', sai di quale giorno parlo. Ma oggi è stato lo stesso.
La tua bocca è dolcisima. Non è proprio miele, è come… nettare. In effetti ha più senso se ci pensi."
"Fantastico. Ora mi toccherà spiegarlo a tutti quelli che bacerò per il resto della mia vita, a meno
che il fortunato non sia sempre tu o… un'altra fata."
Stava per dire Tamani e le sue dita volarono all'anello che portava al collo.
"Allora non baciare nessuno a parte me."“

Aprilynne Pike


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Durante i mesi scorsi i frutti di bosco hanno rallegrato più volte le tavole di questo bel 3ad OK!, ma anche in questa stagione la selva ci offre gustosissimi doni

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"Camminava come un cercatore di tesori, cercando funghi, e credendo di avvertire in se stesso il potere magico di scoprirli. Vedeva un bagliore. Sotto l’intrico grigio opaco del legno decomposto, risplendeva una luce da stanza del tesoro. [....] Il culmine del paese dei funghi era il fungo porcino: aveva sempre un bell’aspetto; il cappello luccicava ancora per l’umidità; mentre la carne del gambo era bianca, come se fosse appena spuntata dalle profondità della terra. ....

(Pietro Citati)


L'abbinamento principale quassù in Polentonia beh, è automatico

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deliziando il palato con i sapori e profumi intensi della cucina di casa :)
 
Ma ce ne sono altri

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E' arrivato il tempo delle castagne! :) Una regione eccellente per entrambi è la Lunigiana, nell'alta Toscana fino a la Spezia.



"Il buon odore delle caldarroste,
quando ritorno a casa da scuola,
si diffonde nell’aria e mi ristora.
C’è una vecchina con lo scialle viola
che mi sorride mentre le rivolta
sulla padella arroventata… Buone
son le castagne! E scaldano le dita.

Si aspetta un poco prima di mangiarle:
è tanto carezzevole il tepore
che si tiene con gioia fra le mani!


(Carlo Serafini)

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Mangiamo pane e castagne, in questo chiaro di luna
Le mani ben ancorate su questa linea
Domani ce lo diranno, dove dovremo andare
Ce lo diranno domani, cosa dovremo fare
Ci sta una terra di nessuno, da qualche parte del cuore
Come un miraggio incastrato tra la noia e il dolore
Domani ce lo diranno, dove dovremo arrivare
Ma c'è una terra di nessuno e ci si deve passare
Aspettami ogni sera, davanti a quel portone
E se verrai stasera, ti chiamerò per nome
Chissà che occhi avremo, chissà che occhi avrò

Francesco De Gregori - Pane e castagne


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Il cibo gioca sempre un ruolo importante nel cinema horror e a volte ne diventa perfino protagonista.
Succede se incontra la wacky comedy in stile “L’attacco dei pomodori assassini” (che ha avuto ben tre
sequel e tra i protagonisti del secondo c’è un George Clooney agli esordi) o nei b-movie in stile “Dead sushi”.
Il cibo può trasformarsi in un’arma del delitto, almeno nel caso in cui si tratti di un cosciotto d’agnello tra le
mani di Kathleen Turner ne “La signora ammazzatutti”
.

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In altri casi, invece, è utile ai fini della narrazione:
non esisterebbe la scena iconica de “L’esorcista” se non ci fosse stata la zuppa di piselli, anche se nella
maggior parte dei casi viene presentato in forme più estreme.


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„"Cosa c'è di così buffo?"
"Scusa", le rispose arrossendo di nuovo. "È che hai un sapore dolce."
"Cosa vuol dire dolce?" Lui si lecco di nuovo le labbra.
"Sai di miele." "Di miele?"
"Pensavo di impazzire quel giorno… be', sai di quale giorno parlo. Ma oggi è stato lo stesso.
La tua bocca è dolcisima. Non è proprio miele, è come… nettare. In effetti ha più senso se ci pensi."
"Fantastico. Ora mi toccherà spiegarlo a tutti quelli che bacerò per il resto della mia vita, a meno
che il fortunato non sia sempre tu o… un'altra fata."
Stava per dire Tamani e le sue dita volarono all'anello che portava al collo.
"Allora non baciare nessuno a parte me."“

Aprilynne Pike


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ma quanto mi piace il miele :D, magari di castagno :clap:



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"La tua pelle sa di miele e cannella e colline carezzate dal sole. Ma se mi avvicino al tuo collo sento un profumo particolare. Sa di strade nascoste, foreste selvagge e oscuri peccati."

(F. Caramagna)




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“Assaggiavo i cibi di Hitler"
Margot Woelk lavorava nella Tana del Lupo con altre 14 ragazze


Lei, come tutti i tedeschi durante la guerra, aveva fame.
E davanti le mettevano piatti sontuosi: asparagi bianchi con patate lesse e burro fuso, peperoni dolci con riso, insalata di mele noci e cavolo rosso, zuppa di piselli, strudel di mele, macedonia di frutta esotica.
Da mangiare, non da guardare. Ma non c’era gioia nel suo saziarsi, non poteva esserci: Margot Woelk era una delle quindici assaggiatrici addette alla cucina di Hitler nella Tana del Lupo, il quartier generale tedesco di Rastenburg nella Prussia orientale. Aveva 24 anni, un marito al fronte, la sua casa bombardata a Berlino. Per questo era sfollata dalla suocera nel paesino di Gross-Partsch - oggi Parcz in Polonia - dove sembrava di vivere in pace. Ma a nemmeno tre chilometri c’era la Wolfsschanze, gli ottanta bunker nascosti tra la foresta e le paludi, protetti da campi minati e filo spinato, dove Hitler passava lunghi periodi. La reclutò il sindaco di Gross-Partsch e lei - ancorché mai iscritta alla Gioventù hitleriana - non potè dire di no.
E per due anni e mezzo fu assaggiatrice ufficiale del Führer. Non lo incontrò mai, né mai vide un piatto di carne o di pesce: Hitler era strettamente vegetariano.

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ogni mattina alle 8 una SS passava sotto la sua finestra e gridava: «Margot, alzati!». Quando arrivava nella Tana, i cuochi avevano già cucinato. Il personale di servizio riempiva i piatti di verdure, salse, spaghetti, frutta e li disponeva su un grande tavolo di legno. Lì, tra le 11 e le 12, le 15 ragazze consumavano il loro tetro pasto. Poi, passata un’ora e constatato che erano ancora vive e vegete, i cibi venivano imballati dentro casse speciali e portati a Hitler. Girava voce che gli Alleati volessero avvelenarlo. In realtà, a tentare di ucciderlo furono alcuni ufficiali tedeschi, con una bomba nascosta in una valigetta e portata dal colonnello von Stauffenberg nella sala conferenze della Wolfsschanze. La bomba esplose uccidendo tre uomini, ma non Hitler. Era il 20 luglio 1944.

Quando l’Armata rossa era a pochi chilometri da Rastenburg, un ufficiale tedesco la prese in disparte, le disse: “Va’, scappa” e la mise su un treno per Berlino. Le salvò la vita: le altre 14 assaggiatrici furono tutte uccise dai sovietici.


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Cos'è il "bocon da praevi" ?
Un modo di dire molto antico e diffuso non solo a Genova ma anche in tutta Italia.
Il boccone del prete è quella parte dell'animale molto pregiata e deliziosa che potevano permettersi solo i più ricchi e dunque, il clero. E i preti.

La gola e la lussuria sono capaci di far compiere atti sconsiderati e hanno la stessa origine: l’istinto di sopravvivenza.
La golosità è una strada che porta dritto alla lussuria e così alla perdizione dell’anima. Forse è questo il motivo per cui i luterani, i calvinisti e gli aspiranti alla perfezione cristiana mangiano male. I cattolici invece, rassegnati al peccato originale e che grazie al sacramento della confessione possono tornare puri, sono più flessibili nei confronti della buona cucina, tanto da aver coniato l’espressione “boccone del prete” per definire una pietanza deliziosa.

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Il boccone del prete non deve essere confuso con il cappello del prete, un taglio di manzo o vitello ricavato dalla spalla dell'animale. Quest'ultimo deve il suo nome alla sua forma vagamente triangolare, che ricorda il tradizionale copricapo indossato appunto dai preti.

In Emilia il termine ha invece un significato diverso e può indicare sia un insaccato tipico di suino che una particolare varietà di zucche. Anche in questi casi il riferimento è alla forma, che ricorda quella del cappello indossato dal clero. Il significato di questo termine è quindi molto diverso rispetto al boccone del prete, con cui solitamente si indica il posteriore del pollo.


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Donne e cibo: le ricette mortali delle avvelenatrici

E' in cucina, per secoli luogo di reclusione sociale, che nel corso della storia le donne hanno sperimentato una prima forma di liberazione, rendendo il cibo uno strumento di seduzione e di vendetta, lenta e subdola.
Nel corso della storia, gli esempi di donne che si sono servite del cibo come mezzo per attirare nemici, mariti e avversari nella trappola della morte, non sono di certo pochi.

I funghi di Locusta: Il primo esempio di legame mortifero tra donne e cibo lo abbiamo nell’antica Roma dove Locusta, conosciuta come negoziante di filtri d’amore e veleni di ogni sorta, aiutò Agrippina nell’assassinio di Claudio. Si dice, infatti, che fu proprio Locusta a preparare il delizioso piatto di funghi velenosi, che nel 54 d.C. diede la morte all’imperatore.

Locusta era nata in Gallia, patria di Druidi Celtici, di maghi e di amanti delle scoperte della natura terrestre e divina. La “Gallia” era l’odierna Francia, ma anche parte dell’odierno Piemonte. Fu dunque la piemontese Locusta la prima “avvelenatrice” della storia antica? Questo è impossibile saperlo ma gli indizi sono tutti a suo favore
Quando qualcuno voleva sbarazzarsi di un rivale politico o raccogliere un’eredità, i Romani avevano come unico contatto Locusta, anche perché il suo lavoro era così perfetto che i decessi sembravano tutti causati da morte naturale. soprattutto grazie alla propria conoscenza delle piante e delle erbe, allora molto in voga, prevalentemente a base di arsenico, ma lei era solita usare, anche, funghi velenosi, cicuta, giusquiamo e altre piante.

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La stessa Messalina, per sbarazzarsi di Tito, l’amante di cui si era stancata, si rivolse a Locusta e Agrippina, l’ultima moglie dell’imperatore Claudio, decise di utilizzarla per sbarazzarsi del vecchio marito. L’Imperatrice ebbe a incontrarsi segretamente con Locusta per discutere il modo con cui uccidere Claudio. Nel frattempo, la donna era stata condannata come assassina avvelenatrice, così Agrippina, astutamente, le offrì salva la vita se avesse accolto la sua richiesta. Il giorno dopo consegnò una scatola piena di polvere bianca all’Imperatrice e le garantì che sarebbe stato sufficiente metterne una piccola dose nel cibo della persona che avesse voluto eliminare, e che quest’ultima sarebbe spirata al massimo nell’arco di mezza giornata. Sapendo che la vittima era molto amante dei funghi, preparò un miscuglio simile ai “miceti”, ma mortale. Così l’imperatore ingerì il veleno per ben due volte. Infatti, come se non bastasse, Locusta le somministrò anche della “coloquintide”, un’erba, che accelera gli effetti del veleno e impregnò con la stessa la piuma con la quale l’imperatore era solito farsi venire lo stimolo del vomito quando aveva mangiato troppo. Ciò era tipico presso i banchetti romani ed era chiamato “agébat emetikèn”, vale a dire che durante il pasto ci si procurava più volte il vomito in modo da poter mangiare la portata seguente.
Così, Il 12 ottobre del 54 d.C., dopo aver fatto bere molto vino al marito, Agrippina personalmente gli servì il piatto coi funghi. Mentre mangiavano, incoraggiò Claudio a ingerire il migliore: quello più grande. Fiducioso si avventò su di esso. Dopo sei ore dall’ingestione iniziò ad agonizzare, andando in coma e morendo poco dopo.” Per tutto il tempo Agrippina non smise un attimo di preoccuparsi del marito, interessandosi alle motivazioni dell’agonia di Claudio”.
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Ma per Locusta non fu l’ultimo ordine che ricevette dalla Famiglia Imperiale.
Il successore fu Nerone, figlio dell’Imperatrice, mentre Locusta era rinchiusa in una segreta del palazzo, Nerone aveva in mente di eliminare Britannico, il figlio di Claudio, un ragazzo che compiva 14 anni proprio quel giorno. Come la madre , senza indugi, gli offrì la libertà se avesse portato a termine il compito affidatogli. L’avvelenatrice assassina fallì, causando solo diarrea al giovane. Nerone, venuto a sapere dell’errore di Locusta, scatenò la sua ira, schiaffeggiando e minacciando di morte la stessa nel caso avesse fallito ancora. Per essere sicura di non sbagliare per la seconda volta, sperimentò prima il veleno su una capra, ma l’animale morì dopo 5 ore, così si provò con un maiale e con quella sostanza spirò più rapidamente. Durante il banchetto Nerone offrì del vino al giovane. Anche se venne prima testato da un assaggiatore di veleno, quel liquido risultò essere troppo caldo e dovette essere raffreddato con dell’acqua. Con grande astuzia, l’arsenico e la sardonia erano proprio intrisi in quella brocca d’acqua. Durante il banchetto, Britannico, cominciò a soffrire di terribili convulsioni. Nerone, impassibile, minimizzò dicendo che era una delle solite crisi epilettiche che a volte lo colpivano e lo trasportò personalmente fuori dalla stanza. Nessuno dei presenti osò ovviamente esprimere ad alta voce i propri sospetti in merito all’accadimento. Qualche ora dopo, il 14enne morì e fu sepolto la stessa notte. Il suo corpo, fu bruciato e sotterrato a Campo di Marte, senza pompa magna e senza dissimulare la fretta di quell’azione. Dione e Tacito diranno nei loro scritti che “in quel momento una pioggia violenta cadde evidenziando la furia degli dei”.

Nerone ricoprì Locusta di onori e parole grandiose, le donò una preziosa terra e le permise di aprire una scuola per insegnare i segreti delle piante. I veleni, da allora, vennero testati sugli animali, e talvolta sui criminali condannati a morte, nella nuova dimora dell’assassina, in un bel quartiere vicino al Palatino, dove vivevano molti cittadini potenti che iniziarono a frequentare la sua abitazione in cerca di un rimedio adatto al loro caso. Locusta si coricava presto la sera, salvo quando veniva visita da qualche amante anonimo, e la mattina portava a spasso i cani, che comprava di frequente perché utilizzati nello sperimentare i veleni associati a certuni schiavi ormai vecchi e malridotti.
Tacito dirà che “l’Imperatore era così affezionato a lei, che per paura di perderla, metterà vicino alla sua casa degli uomini che la sorveglieranno affinché non le succeda niente”. Ma dopo la caduta di Nerone, finì anche la fortuna di Locusta.

La sua carriera prosegue luminosa tra insegnamenti dei segreti delle piante nel suo laboratorio-scuola con test di veleni e servizi su commissione fino alla morte del suo protettore Nerone, avvenuta nel 68 DC per suicidio tramite veleno, procuratogli probabilmente dalla stesa sua amica Locusta. L’Imperatore Galba, suo successore, nel mese di gennaio del 69 d.C., l’accusò di 400 omicidi e la condannò a morte. Certamente discendente di una qualche tribù’ celtica, Locusta aveva sicuramente una vasta cultura, conoscenze in ambito di erbe e persino di rudimentale medicina, ma non era semplicemente un’altra delle tante avvelenatrici, ma ” L’avvelenatrice di Roma”.


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Pudding e miele:
Siamo nel 1806 quando Mary Bateman convince i coniugi Perigo che i sui magici pudding e un cucchiaio di miele fossero la cura perfetta contro i malanni di stagione.
Peccato che i Perigo non fossero a conoscenza dell’ingrediente segreto di Mary: arsenico.


Mary che affermava di avere poteri soprannaturali, ebbe molti profitti da questo mercato, raggirando persone vulnerabili con false profezie e pozioni, d’altronde siamo alla fine del XVIII secolo e si sapeva molto poco della medicina, ma molti credevano nella stregoneria.
Fu intorno a quel periodo che le attività criminali di Bateman passarono ad un livello di atrocità superiore.

Per rendere le sue truffe più credibili ed attirare più vittime, Mary inventò "Mrs Moore" e "Mrs Blythe" due donne inesistenti che, a suo dire, avrebbe sempre consultato prima di decidere il corretto rimedio dei suoi clienti.

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La donna vendette le sue pozioni a due sorelle ed alla loro madre che vivevano a St Peter's Square, nel quartiere di Quarry Hill, sopra al loro negozio di tessuti, queste pozioni erano avvelenate e dopo la morte delle tre donne, Mary rapinò sia il negozio che la casa.

Quando alla donna fu chiesto come fossero morte le tre, rispose semplicemente che erano morte di peste e la spiegazione, per quanto ci possa sembrare strano, fu presa per buona, le indagini, come la medicina di quel tempo, non erano quelle che sono ora e Mary si salvò.

Tale era la fama e la sicurezza di Mary, che la donna non si rese conto del campanello di allarme che era suonato e continuò con i suoi affari, ma alla fine commise un errore.

Nel 1806, una coppia benestante di mezza età e senza figli di nome William e Rebecca Perigo richiese i servigi di Mary Bateman: Rebecca soffriva di palpitazioni e dolori al petto e sosteneva di essere perseguitata da un cane nero e altri spiriti, Mary fiutò l’affare e li convinse di essere al servizio di un oracolo, la signora Blythe, che possedeva i poteri per vedere nel futuro dei Perigo.

Mary convinse la coppia di essere sotto l’effetto di una maledizione e che per liberarsene avrebbero dovuto mangiare budino per diversi giorni, almeno così recitava una lettera inviata ai due dalla Signora Blyte, per il suo tramite.

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Così li avvelenò entrambi: mettendo del cloruro di mercurio nel budino, la signora Perigo mangiò tutto il budino, secondo le istruzioni, entrambi si ammalarono violentemente, ma mentre William, che ne aveva mangiato meno, si riprese sebbene lentamente, Rebecca Perigo si ammalò gravemente e alla fine morì.

Rendendosi conto che erano stati avvelenati e che sua moglie era stata assassinata, William organizzò un incontro con Mary con la scusa di comprare dell'altra pozione della signora Blythe, ma non andò solo all’appuntamento, questa volta William portò con sé un poliziotto.

Mary andò all’appuntamento portando con sé una bottiglia contenente una miscela di farina d'avena ed arsenico che serviva a zittire William e fu catturata dal poliziotto, in seguito gli oggetti inviati dalla signora Blythe furono trovati a casa dei Bateman, mentre i resti della miscela che Rebecca aveva ingerito contenevano il veleno cloruro di mercurio.

Nel marzo del 1809, fu giudicata colpevole, nonostante si professasse innocente, di frode ed omicidio e venne condannata a morte, Mary tentò di evitare l’esecuzione sostenendo di essere incinta, ma un esame medico non trovò segni di alcuna gravidanza.

Il 20 marzo del 1809 fu giustiziata dal boia William "Mutton" Curry davanti a una folla di migliaia di persone e, dopo la sua esecuzione, il suo corpo fu messo in mostra ed alcune strisce della sua pelle furono vendute come amuleti per prevenire gli spiriti maligni, siamo ad inizio del 1800 e lei era considerata una strega.


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Le domeniche pomeriggio di tanti anni fa c'era in tv una trasmissione con i comici torinesi. Il duo con Lola Falana (la cantante che poi avrebbe avuto una crisi mistica) intonava un tormentone che terminava con "Carola, una cabaret di pastarelle".

Nell'Italia degli Anni 60 c'era ancora la tradizione di scambiarsi le "visite" la domenica pomeriggio e in queste visite cosa si portava se non i pasticcini? E in questo Torino ha sempre avuto il primato in Italia, non c'è altra città che abbia un numero così grande di pasticceria in grado di fare pasticcini di così alta qualità.
Al centro o al Sud esiste un'ottima pasticceria (pensiamo a quello che si fa in Sicilia con la pasta di mandorle) ma per i pasticcini non c'è battaglia. E pensando a Ric e Gian mi viene in mente Bamby, che era una pasticceria all'angolo di via Gorizia con via Rovereto. Faceva degli chantilly stupendi e dei funghetti che ancora ricordo a distanza di quarant'anni, come ricordo quelle attese la domenica mattina perchè c'era sempre la coda.
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Così scoprii Amore che stava e sta in corso Sebastopoli, quasi allo Stadio e ha la particolarità che il laboratorio e a vista, ma subito non te ne accorgi così sei un po' spiazzato perché dietro il bancone vedi bottiglie e poi credi ci sia uno specchio e invece stanno lavorando a torte e bignè. I bignè di Amore sono sempre squisiti e continuano la tradizione del formato "normale".

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I mignon li ho scoperti negli Anni 80 da Falchero, in via San Tommaso. Più che una pasticceria era una gioielleria, ma faceva dei pasticcini mignon d'incanto, quasi commoventi quanto erano buoni.

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Quando ha chiuso è stato un colpo al cuore (e alla gola) ma per fortuna in via Spotorno c'è Stillitano: fa mignon che riescono a non far rimpiangere Falchero. Solo che la domenica mattina c'è sempre la coda e mi sembra di tornare bambino quando sono lì ad aspettare e sento la gente ordinare "mi metta quattro funghetti", "no, quelli alla frutta non li voglio", "ha mica finito gli chantilly?". E pensare che da bambino le bignole non mi piacevano per via della glassa, così la toglievo e mia madre mi rimproverava.

https://www.lastampa.it/blogs/2007/12/09/news/un-cabaret-di-pastarelle-1.37239616/

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Io me lo ricordo il cabaret di paste. Un vassoio dorato, finemente
incartato e poi scartato alla velocità della luce. La divisione a metà era rigorosa: da una parte le paste,
da tagliuzzare in due, quattro, sei "così le assaggio tutte", dall'altra le pastine mignon, che finivano sempre
troppo presto. Litigi velati per il bignè al cioccolato e la giacenza del cestino di frolla con la frutta (che non
fa gola a nessuno, ma va preso per forza), sono tra i ricordi più dolci della mia infanzia in famiglia.


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A Treviso il cabaret delle paste, quello tradizionale da domenica in famiglia, sprofondati nel divano con Quelli che Il Calcio alla Tv, si prende all'Antica Pasticceria Nascimben. Aperta dal 1956, conserva ancora tutta l'allure rassicurante che ognuno di noi cerca quando viene illuminato dalla missione: cabaret di pastine.

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Flego è un nome storico e imprescindibile per tutti gli aficionados del cabaret di paste a Verona. Pasticcini tradizionali, innovativi, macaron e tortine gioiello

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L'Hotel Pasticceria Fiori è uno di quei posti dove vorresti restare chiuso, dopo aver buttato via la chiave. Siamo a Belluno e si respira l'aria buona di montagna mischiata al dolce aroma delle paste appena confezionate. Un piccolo concentrato di golosità che ha come specialità lo strudel.


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